Giorno per giorno – 12 Agosto 2018

Carissimi,
“Sta scritto nei profeti: E tutti saranno ammaestrati da Dio. Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6, 45. 51). “Tutti saranno ammaestrati da Dio”, tutti. Già nel prologo del suo Vangelo, Giovanni aveva affermato: “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1, 9). C’è dunque una rivelazione che raggiunge tutti, di cui l’evento di Gesù, per chi ne viene a conoscenza, costituisce la conferma più alta, capace di superare ogni aspettativa, ogni speranza, come di vincere ogni disperazione. La verità è quel farsi pane di Dio, per la vita del mondo. La verità è il nostro ascoltare il suo appello, il nostro lasciarci contagiare dalla sua stessa passione, e farci anche noi pane. L’egoismo di cui ci vogliono convincere con tutti i mezzi, crea solo infelicità, non solo in coloro che vengono sacrificati sull’altare delle nostre brame, dei nostri consumi, ma anche in noi stessi. Alimentati dal pane della sua Parola, dal pane dell’Eucaristia, diventiamo ciò di cui ci cibiamo: pane, cioè, vita al servizio del mondo, dell’umanità. Questa è la vita eterna.

I testi che la liturgia di questa XIX Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:
1° Libro dei Re, cap.19, 4-8; Salmo 34; Lettera agli Efesini, cap.4, 30 – 5,2; Vangelo di Giovanni, cap.6, 41-51.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

Oggi, il calendario ci porta le memorie di Margarida Alves, martire per la giustizia; padre Alfredinho Kunz, missionario del “Servo sofferente”; Dom Antônio Batista Fragoso, vescovo dei poveri; Karl Leisner, prete martire sotto il regime nazista.

Margarida Alves era nata il 5 agosto 1933 da una famiglia contadina di Alagoa Grande, nello Stato di Paraíba. Militante cristiana, fin da giovane, aveva imparato dall’ascolto del Vangelo la compassione per i suoi fratelli poveri e il desiderio di impegnarsi nella costruzione del Regno. Nel 1973 fu eletta presidente del Sindacato dei Lavoratori Rurali di Alagoa Grande. A partire da allora, per tutti gli anni in cui rivestì questo incarico, furono circa seicento le cause giudiziarie intentate dal sindacato nei confronti di latifondisti, coltivazioni di canna e zuccherifici della zona. La sua azione fu costantemente indirizzata alla difesa dei diritti di contadini e braccianti, alla rivendicazione della tredicesima, agli aumenti di salario dei “canaveiros” (i braccianti impiegati nelle piantagioni di canna), e a rivendicare per loro condizioni più umane di lavoro. Il 12 agosto 1983, Margarida fu assassinata sulla porta di casa con un colpo di fucile, sparato da una auto, che la raggiunse al volto, alla presenza del figlio e del marito. I mandanti facevano parte del Gruppo di Várzea, composto di 60 fazendeiros, 3 deputati e 50 sindaci della regione. La polizia identificò l’assassino, ma non riuscì a catturarlo. Il processo, protrattosi per anni, non fece giustizia. Dei responsabili e complici, alcuni morirono nel frattempo, altri furono arrestati con altre imputazioni, l’autista fu assassinato per eliminare un testimone scomodo. Ma l’esempio e l’insegnamento di Margarida rimane vivo nelle lotte della sua gente.

Alfred Kunz, il padre Alfredinho, era nato in Svizzera il 9 febbraio 1920. Fece parte della Gioventù Operaia Cattolica (JOC) e lavorò come operaio. L’esperienza della prigionia in un campo di concentramento nazista durante la Seconda Guerra Mondiale gli rivelò l’orrore che ogni guerra e violenza rappresentano e fece crescere e maturare in lui l’ideale e la pratica della nonviolenza attiva contro ogni tipo di oppressione. Divenuto sacerdote, giunse in Brasile nel 1968. Qui, nella diocesi di Crateús, definì e diede concretezza alla sua opzione radicale per i poveri, vissuta nella fatica del quotidiano, più che proclamata a parole, contentandosi dell’indispensabile, senza mai lasciarsi vincere dalla tentazione del consumismo o dello spreco, che così spesso attecchisce anche negli ambienti clericali. Nel 1988 si trasferì a Santo André (São Paulo), scegliendo di vivere la sua vita di preghiera e di condivisione tra i dannati della terra della favela Lamartine. Nel 1995, già settantacinquenne, estremista come ogni santo che si rispetti, decise di abitare con i barboni per le strade, sotto i viadotti, dormendo all’aperto, mantenendosi con i rifiuti della società dell’opulenza. Restò li finché la salute glielo permise. Poi tornò nella favela, dove morì il 12 agosto del 2000, nel silenzio e nell’abbandono. Aveva voluto seguire Gesù (il Servo Sofferente per eccellenza) servendolo nei poveri, condividendone la vita, mettendosi in ascolto del loro magistero. Fondò la Fraternità del Servo sofferente, che ne è l’erede spirituale. I suoi membri portano come segno di riconoscimento un pezzo di sfoffa che ricorda la divisa da detenuto e il numero di identificazione di Massimiliano Kolbe, martire e santo del campo di sterminio nazista di Auschwitz.

Antônio Batista Fragoso era nato a Teixeira (Paraíba) il 10 dicembre 1920. Dopo gli studi in seminario, venne ordinato sacerdote il 2 luglio 1944. Fu dapprima assistente ecclesiastico del Circolo Operaio di João Pessoa, poi, dal 1947, per dieci anni, assistente della Gioventù operaia cattolica (JOC) del Nordeste. Nominato, il 30 marzo 1957, vescovo ausiliare di São Luis do Maranhão, da Pio XII, Dom Fragoso ricevette la sua consacrazione episcopale il 30 maggio dello stesso anno. Nel 1964 Paolo VI lo nominò primo vescovo di Crateús (Ceará), poche settimane dopo il golpe, che privò il Brasile della sua libertà e inaugurò il ventennio dominato dal regime militare. In tutto questo tempo, Dom Antônio si dedicò instancabilmente alla difesa dei diritti umani e politici, soprattutto nei cosiddetti “anni di piombo” (1968-1974). Fece suo il progetto di vita tratteggiato dal Patto delle Catacombe, un documento sottoscritto da circa 40 padri conciliari il 16 novembre 1965, nelle catacombe di Domitilla, a Roma, poco prima della chiusura del Concilio Vaticano II. Con esso, i vescovi si impegnavano a condurre una vita di povertà, rifiutando ogni insegna, simbolo e collusione col potere e collocando i poveri al centro del loro ministero pastorale. S’impegnavano altresì a favorire lo sviluppo della collegialità e della corresponsabilità nelle relazioni ecclesiali, l’apertura al mondo e l’accoglienza fraterna. Sempre a partire dai tempi del Concilio, fece parte con Mons. Bettazzi e una ventina di Padri conciliari di diversi continenti della Fraternità dei Piccoli Vescovi, che si ispiravano alla figura e alla spiritualità di Charles de Foucauld. Assieme al Premio Nobel per la Pace, Adolfo Perez Esquivel, fondò il Servizio per la Pace e la Giustizia in America Latina (SERPAJ-AL), che contribuì grandemente alla difesa dei Diritti Umani e alla diffusione degli ideali e della pratica della Nonviolenza. Con Padre Alfredinho, di cui facciamo memoria in questo stesso giorno, aveva fondato la Fraternità del Servo Sofferente. Nel febbraio del 1998, lasciata, per raggiunti limiti di età, la sede di Crateús, si ritirò a vivere in una casetta accanto a una favela di João Pessoa. Morì il 12 agosto 2006.

Karl Leisner era nato, il 28 febbraio 1915, a Rees, in Vestfalia (Germania). Giovane studente aveva militato nelle file dell’Azione Cattolica, dove crebbe nella passione per il Vangelo, nel senso dell’appartenenza e nella dedizione alla Chiesa, nell’amore per l’Eucaristia. Quando il nazismo salì al potere, nel 1933, venne schedato dalla Gestapo per alcuni suoi articoli di critica al regime. Dopo un periodo di discernimento, nel maggio del 1934, entrò in seminario. Studiò filosofia e teologia nell’università di Münster e di Friburgo, dove contribuì a costituire gruppi clandestini di opposizione al nazismo. Nel marzo 1939 venne ordinato diacono. Un’improvvisa tubercolosi ne rinviò l’ordinazione sacerdotale e lo costrinse ad un ricovero in sanatorio. Qui, alcune sue esternazioni portarono al suo arresto e al suo avvio per il campo di concrentramento di Sachsenhausen, e, più tardi, il 14 dicembre 1941, a Dachau. Il 17 dicembre 1944, un suo compagno di prigionia, il vescovo francese Gabriel Piguet, lo ordinò prete. La tubercolosi che seguiva nel suo decorso gli consentì di celebrare un’unica messa. Quando Dachau fu liberata dalle truppe alleate, il 4 maggio 1945, Leisner fu ricoverato all’ospedale di Planegg, nei pressi di Monaco, dove però morì tre mesi dopo, il 12 agosto 1945.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda, offrendovi in lettura il brano di una lettera di Frédy Kunz, tratto dal libro, scritto con Joseph Bouchaud, “A burrinha de Balaão numa favela brasileira” (Edições Loyola). Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Mio caro Yvan, [..] Il 16 maggio 1970, nella notte tra sabato e domenica, il quartiere dove sorge la prigione, fu terrorizzato fino a mezzanotte dalle grida dei prigionieri comuni, torturati. Uno di loro, Raimundo, di diciotto anni, ricevette sessanta colpi di bastone sulle mani, al punto da non potere più, nei giorni successivi, tenere il cucchiaio per mangiare. Il giorno dopo, la città parlava, sottovoce, dell’accaduto. Sordo rimprovero, rivolta delle coscienze… La settimana successiva, un tenente della prigione si presentò con molta fretta allo sportello di un servizio pubblico. L’impiegata, Antonieta, una giovane di 22 anni, gli chiese di attendere un poco, fino a risolvere il caso di una madre, che aveva lasciato i figli a casa e che oltretutto era incinta.Il tenente cominciò ad alzare la voce, e, dato che Antonieta si ostinava a voler risolvere prima il caso della sua cliente, le disse: “Lei si ostina a discutere con me, come se non sapesse chi sono io!”. Antonietta, la piccola impiegata, lo guardò dritto negli occhi e gli disse subito: “Sì, signore. So che lei è quello che tortura i detenuti nella prigione di Crateus!”. Vedi, Yvan, esistono nel nostro Terzo Mondo migliaia di Antonio e di Antonieta coraggiosi, che con una parola, un gesto, restituiscono all’uomo più dignità e grandezza di quanta siano in grado di distruggerne gli approfittattori e i perversi. Antonieta è la proiezione di quel che sarà il nostro mondo domani, perché lo spirito di amore e di giustizia, che abita questa “piccola” è più forte di tutti i sistemi di oppressione dei “grandi”. Antonieta è un’anticipazione di quel che saremo noi domani, grazie a lei. Ogni città dovrebbe avere la sua “rue Antonieta”, “Antonieta strasse”, “rua Antonieta”, “Antonieta street”, ecc., a cominciare dalla tua città di Saint-Hilaire! E quando, un giorno, la tua piccola Patricia e il tuo piccolo Patrick ti chiedessero: “Papà, perché hai voluto che la nostra via si chiamasse via Antonieta?”, tu risponderai loro: “Perché è il nome della piccola brasiliana in cui si è rifugiata la speranza di un mondo nuovo, in cui voi vivrete”. Un abbraccio fraterno dal tuo amico Frédy. (Joseph Bouchaud, Frédy Kunz, A burrinha de Balaão).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 12 Agosto 2018ultima modifica: 2018-08-12T22:21:07+02:00da fraternidade
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