Giorno per giorno – 09 Agosto 2018

Carissimi,
“Ma Gesù, voltandosi, disse a Pietro: Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!” (Mt 16, 23).Così, in pochi attimi, colui che Gesù aveva definito pietra di fondazione della sua chiesa, diventa pietra di scandalo, impedimento al rivelarsi del suo disegno di salvezza. Il testo greco non dice: “Lungi da me, satana!”, ma: “Mettiti dietro me, satana!”, ovvero, mettiti alla mia sequela, non credere di inventarti tu i cammini di Dio. Riconoscere in Gesù il Messia, il Cristo, il Figlio di Dio, come aveva fatto Pietro, non è ancora cogliere cosa questo significhi e implichi per i suoi discepoli. Potrebbe, infatti, ridursi all’ennesimo travestimento di una qualche volontà di potenza, di successo, in cui si intravede la rivincita da tante umiliazioni, frustrazioni, sconfitte, sensi di impotenza e di inutilità. Il cammino di fede, della fede in Gesù di Nazareth, corre così il rischio di essere visto come occasione di riscatto, in forma individuale o comunitaria, da una condizione di debolezza congenita, di una sostanziale incapacità di tener testa alle sfide che ci fronteggiano. Espressione, dunque, del risentimento e della vendetta vincenti, nei confronti degli altri e della stessa vita. Tale riscatto avrebbe la sua riprova nelle benedizioni che, inevitabilmente, costellerebbero l’esistenza dell’individuo, del suo gruppo, delle istituzioni, organizzazioni, popoli o nazioni, che esplicitamente si rifacessero a quella fede. Senza accorgersi che si cederebbe così alla suggestione del serpente, che propone l’obiettivo di divenire, sì, come Dio, ma in un significato distorto di Dio, come figura del potere più grande possibile, invece che nella figura, come Dio è, dello spogliamento, e del dono incessante, fino all’annichilimento, per la vita dei suoi figli. Se e quando cadessimo in questa tentazione, anche noi, come Pietro, diventeremmo pietra di scandalo per l’opera di Dio, che è la Croce. Figura della solidarietà universale, che abbraccia perciò tutti i crocifissi, al fine di tutti insieme risorgere a un mondo nuovo, dove tutti, quale ne sia l’etnia, la cultura, la religione, la filosofia di vita, siano riconosciuti e amati come figli dell’unico Padre, e perciò fratelli e sorelle tra di loro.

Oggi il calendario ci porta le memorie di Edith Stein, martire, assieme al suo popolo, dell’idolatria nazista; Frantz Jägerstätter, profeta e martire della non-violenza; e Betinho, testimone di giustizia e solidarietà.

Edith Stein nacque a Breslavia (allora in Germania, oggi in Polonia), il 12 ottobre 1891, nella festa ebraica di Yom Kippur, ultima degli undici figli di Siegfried e Auguste Courant, coniugi ebrei di fede profonda e grande rigore morale. Allieva brillante, discepola e poi collaboratrice del filosofo Husserl, si fece presto conoscere negli ambienti accademici. Il 1o gennaio 1922 fu battezzata nella chiesa cattolica, assumendo come nome di battesimo quello di Teresa. Continuò tuttavia a frequentare regolarmente con la madre la sinagoga, pregando i salmi della liturgia. Il 14 ottobre 1933, lo stesso anno in cui Hitler salì al potere, all’età di quarantadue anni, entrò nel convento carmelitano di Colonia, dove prese il nome di Teresa Benedetta della Croce. Nell’agosto del 1942, con sua sorella Rosa fu arrestata dalle SS naziste e portata con moltissime altre donne al campo di sterminio di Auschwitz. Come milioni di altri fratelli ebrei, Edith, fu uccisa in una camera a gas e cremata il giorno 26 del mese di Av de 5702 (9 agosto 1942).

Franz Jägerstätter nacque il 20 maggio 1907 nella cittadina di St. Radegund (Austria). In tempi di conformismo e di apatia politica, non esitò ad esprimere pubblicamente la sua opposizione al regime nazista. Sposato a Franziska Schwaniger e padre di tre figlie, quando fu chiamato a servire nell’esercito, Frantz chiese consiglio ad almeno tre sacerdoti e ad un vescovo, che cercarono di tranquillizzare la sua coscienza, assicurandogli che il servizio militare era del tutto compatibile con la fede cristiana. Jägerstätter non si lasciò convincere. Incarcerato, fu processato da una corte militare e decapitato il 9 agosto 1943. Lasciò scritto nel testamento: “Scrivo con le mani legate, ma preferisco questa condizione al sapere incatenata la mia volontà. Non sono il carcere, le catene e nemmeno una condanna che possono far perdere la fede a qualcuno o privarlo della libertà […]. Perché Dio avrebbe dato a ciascuno di noi la ragione ed il libero arbitrio se bastava soltanto ubbidire ciecamente? O, ancora, se ciò che dicono alcuni è vero, e cioè che non tocca a Pietro e Paolo affermare se questa guerra scatenata dalla Germania è giusta o ingiusta, che importa saper distinguere tra il bene ed il male? ”.

Betinho (Herbert de Souza) nacque il 3 novembre 1935, a Bocaiuva, in Minas Gerais (Brasile), terzo di otto fratelli. Ancora giovane, fece parte della dirigenza nazionale dei giovani cattolici che rappresentavano le aspirazioni di trasformazione sociale, rinsaldate in seguito dal Concilio Vaticano II. Sociologo, dopo il golpe del 1964, partecipò alla resistenza contro la dittatura militare. Il che gli costò l’esilio. Tornato in Brasile nel 1979, entrò di peso nelle lotte sociali e politiche. Pubblicò libri, articoli, saggi, sempre con la stessa preoccupazione di criticare le strutture che rendono la vita difficile e ingiusta per milioni di persone. Emofiliaco dalla nascita, contrasse il virus dell’Aids attraverso una trasfusione di sangue. La sua presenza nei mass-media si trasformò in simbolo delle vittime di questa malattia e della lotta per la salute della popolazione. Morì a Rio de Janeiro il 9 agosto 1997, a 61 anni di età.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Geremia, cap.31, 31-34; Salmo 51; Vangelo di Matteo, cap.16, 13-23.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

Dal 1995, su iniziativa dell’ONU, si celebra oggi la Giornata internazionale dei popoli indigeni del mondo, 5.000 etnie che comprendono 300 milioni di abitanti – gli Adivasi in India, gli Indiani delle Americhe, i Tuareg negli stati sahariani, i Pigmei delle foreste tropicali centrafricane, i Penan in Malesia, le popolazioni di montagna in Bangladesh e Birmania, gli Ainu in Giappone, i Maori in Nuova Zelanda, gli Aborigeni in Australia, gli Inuit (Eschimesi) nelle regioni artiche o i Sami (Lapponi) in Scandinavia e nella penisola russa di Kola -, sempre più marginalizzate e a rischio di sopravvivenza. Disinformazione, silenzio e indifferenza sono sempre colpevoli.

Bene, è tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura, un brano di Edith Stein, tratto dal suo “Il mistero del Natale. Incarnazione e umanità” (Queriniana). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Nella nostra vita dobbiamo far spazio al Salvatore eucaristico, affinché possa trasformare la nostra vita nella sua: è questa una richiesta esagerata? Abbiamo tempo per tante cose inutili: per leggere ogni genere di libri, riviste e quotidiani futili, per bighellonare da un caffé all’altro e passare quarti d’ora e mezzore a chiacchierare per la strada, tutte ‘distrazioni’ in cui sprechiamo e disperdiamo tempo e energie. Non ci è proprio possibile riservare ogni mattina un’ora, in cui non ci distraiamo, ma ci raccogliamo, in cui non ci logoriamo, ma accumuliamo energia per poi affrontare col suo aiuto i nostri compiti quotidiani? Ma naturalmente ci vuole più di una semplice ora del genere. Essa deve animare tutte le altre, sì da rendersi impossibile “lasciarci andare”, foss’anche solo momentaneamente. Non possiamo sottrarci al giudizio di colui che frequentiamo quotidianamente. Anche se non dice una parola, sentiamo qual è il suo atteggiamento nei nostri riguardi. Cerchiamo di adattarci al nostro ambiente, e se la cosa non ci riesce, la convivenza diventa un tormento. Così succede anche nei rapporti quotidiani col Salvatore. Diventiamo sempre più sensibili nel discernere ciò che gli piace e gli dispiace. Se prima eravamo tutto sommato molto contenti di noi, ora le cose cambiano. Troveremo che molte cose sono cattive e nei limiti del possibile le cambieremo. E scopriremo alcune cose che non possiamo ritenere belle e buone, e che pur risulta tanto difficile cambiare. Allora diventiamo a poco a poco molto piccoli e umili, pazienti e indulgenti verso le pagliuzze presenti negli occhi altrui, perché abbiamo da fare con la trave presente nei nostri; e infine, impariamo anche a sopportarci nella luce inesorabile della presenza di Dio e ad affidarci alla sua misericordia, che può venire a capo di tutto ciò che si fa beffe delle nostre forze. Lungo è il cammino per passare dall’autocompiacimento del “buon cattolico”, che “compie i suoi doveri”, legge un “buon giornale”, “vota nella maniera giusta”, ecc., ma per il resto fa come gli piace, aduna vita che si lascia guidare per mano da Dio ed è caratterizzata dalla semplicità del bambino e dall’umiltà del pubblicano. Chi però l’ha imboccato una volta, non lo rifà più a ritroso. (Edith Stein, Il mistero del Natale. Incarnazione e umanità).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 09 Agosto 2018ultima modifica: 2018-08-09T22:38:42+02:00da fraternidade
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