Giorno per giorno – 10 Agosto 2018

Carissimi,
“In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo” (Gv 12, 24-26). “Se ti accusassero di essere cristiano, troverebbero delle prove contro di te?”: è una frase provocatoria e inquietante di Dietrich Bonhoeffer, che ci hanno sottoposto nei giorni scorsi, e che noi abbiamo girato alle persone presenti stasera alla liturgia della Parola, nella chiesetta dell’Aparecida. Le prime risposte sono state tutte in larga misura positive: in fondo siamo gente che frequenta la chiesa, partecipa alla messa, la domenica, e agli incontri di comunità, è abituata, perciò, a leggere e a commentare la Bibbia, e altre cose ancora. Tutto bene e, però, se ci facciamo questa domanda sullo sfondo del vangelo di oggi, forse, ci siamo detti, non saremmo così ottimisti. Perché essere cristiani, non è, in primo luogo, compiere atti di religione e neppure, di tanto in tanto, qualche atto di bontà, ma, letteralmente, servire Cristo, nei fratelli, e seguire Cristo sulla via della Croce, ovvero facendo della propria vita un costante dono d’amore. A questo punto, le “prove” a carico dell’accusa, diminuirebbero drasticamente. Se, insomma, essere cristiano, è poter dire con Paolo: “Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2, 20), dobbiamo confessare che, in realtà, non abbiamo ancora cominciato la nostra vita cristiana, chiamati come siamo ad essere pane spezzato per la vita degli altri. Altro che difesa della nostra “identità culturale” giudaico-cristiana, fatta da gente a cui nulla interessa della “rivelazione” giudaico-cristiana: “Chi ama la sua vita (e perciò anche la sua identità) la perde e chi odia la sua vita (e la sua identità) in questo mondo la conserverà per la vita eterna”. Paradossi di Dio che ci smascherano così facilmente.

Oggi, è memoria di Lorenzo, diacono della chiesa di Roma e martire, di Tito de Alencar Lima, frate domenicano, martire della dittatura in Brasile, e di Suor Ruth Pfau, “Madre dei lebbrosi”, in Pakistan.

Lorenzo soffrì il martirio durante la persecuzione di Valeriano. Era il primo dei sette diaconi della Chiesa di Roma. Ricopriva un ruolo di rilievo nello svolgimento degli uffici ecclesiastici. Come diacono, Lorenzo era incaricato di assistere il papa nelle celebrazioni, amministrava i beni della Chiesa, provvedeva alle necessità dei poveri, degli orfani e delle vedove, dirigeva la costruzione dei cimiteri. Il racconto della sua passione narra che, quando il prefetto gli intimò di consegnare le ricchezze della chiesa, Lorenzo chiese gli fosse dato il tempo necessario per riunirle. Dopo aver distribuito ai suoi assistiti le offerte ancora disponibili, si recò davanti al prefetto con una turba di mendicanti, malati ed emarginati e additandoli disse: “Ecco, i tesori della chiesa!”. Fu giustiziato con il papa Sisto II e i suoi collaboratori, il 7 agosto dell’anno 258. Una tradizione, registrata un secolo più tardi dal vescovo di Milano, Ambrogio, asserisce che fu bruciato vivo su una graticola, ma, più probabilmente, morì decapitato.

Tito de Alencar Lima era nato a Fortaleza, nel Ceará (Brasile), il 14 settembre 1945, da Isaura Alencar Lima e Idelfonso Rodrigues Lima. Dirigente regionale della Gioventù Studentesca Cattolica (ala giovanile dell’Azione Cattolica), partecipò nel 1964 alle prime manifestazioni studentesche contro la dittatura militare. Nel 1966, a Belo Horizonte, entrò nel noviziato dell’ ordine domenicano e il 10 febbraio 1967 fece la sua prima professione religiosa e si trasferì a São Paulo, per continuarvi gli studi. Il 4 novembre 1969 fu arrestato assieme a frei Betto, frei Fernando, frei Ivo e altri, accusati di sovversione e nelle settimane che seguirono fu torturato brutalmente dalla squadraccia agli ordini del delegato Sérgio Paranhos Fleury, capo del Dipartimento per l’Ordine Politico e Sociale (DOPS). Trasferito al Presidio Tiradentes, il 17 dicembre fu portato alla sede dell’Operazione Bandeirantes, dove il capitano Maurício Lopes Lima, gli disse: “Adesso conoscerai la succursale dell’inferno”. E così fu. Fu torturato per due giorni. Appeso al “pau-de-arara”, ricevette scariche elettriche alla testa, agli organi genitali, alle mani e ai piedi, pugni, bastonate e bruciature di sigaretta su tutto il corpo. Il capitano Albernaz sadicamente gli ordinò di aprire la bocca per ricevere l’ostia consacrata, e gli introdusse un filo elettrico che gli bruciò la bocca al punto di impedirgli di parlare. Nel gennaio 1971, incluso nel gruppo di prigionieri politici scambiati con l’ambasciatore svizzero, Giovanni Enrico Bücker, sequestrato dall’APR (Avanguardia Popolare Rivoluzionaria), fu mandato prima in Cile, poi a Roma e, infine, a Lione, in Francia. La piaga aperta dalla tortura psicologica non l’avrebbe, tuttavia, mai abbandonato. E con essa l’immagine del delegato Fleury che continuò ad accusarlo, dargli ordini, minacciarlo, accompagnarlo come un’ombra nel suo esilio in Cile e il Francia. Riuscì a liberarsene solo quando s’impiccò ad un albero, a vent’otto anni, in un pomeriggio torrido d’agosto, nella campagna francese. In quel 10 agosto 1974, Tito risuscitò alla vita, incontrando l’abbraccio amoroso del Padre. Il card. Paulo Evaristo Arns, ne accolse solennemente le spoglie nella cattedrale di São Paulo, il 25 marzo 1983.

Ruth Katharina Martha Pfau era nata il 9 settembre 1929,a Lipsia, in Germania, da una famiglia luterana. Nel 1951, durante gli studi di medicina all’Università di Magonza, chiese e ricevette il battesimo in una comunità evangelica. Ma, poco dopo, nel 1953, anche per l’influenza su di lei esercitata dagli scritti di Romano Guardini, scelse di passare alla Chiesa cattolica. Maturò nel frattempo in lei la vocazione religiosa. Nel 1957 si recò a Parigi ed entrò nella Congregazione delle Figlie del Cuore di Maria, un istituto fortemente caratterizzato dalla figura di Ignazio di Loyola. Nel 1960, sulla via dell’India, dove la congregazione l’aveva destinata a lavorare come ginecologa, dovette fermarsi per un problema di visto a Karachi, in Pakistan. Qui una consorella la condusse a visitare il ghetto dei lebbrosi della città, che la lasciò sconvolta e la portò a decidere di dedicare il resto della vita alla cura dei lebbrosi. Negli anni che seguirono contribuì alla creazione di 157 lebbrosari, e alla cura di quasi 60.000 lebbrosi. Grazie agli sforzi suoi e della sua equipe, l’Organizzazione Mondiale della Salute, nel 1996 ha dichiarato che il Pakistan era il primo paese asiatico ad avere controllato la diffusione della lebbra, scesa dai quasi ventimila casi agli inizi degli anni 80, ai 531 nel 2016. In una delle ultime interviste concesse, quando le chiesero se la sua vita non fosse stata un po’ pazzesca, suor Ruth rispose: “Sì, naturalmente. Del resto, il Signore non ci ha prospettato una vita logica. Io sono molto contenta di avere avuto questa possibilità di venire in Pakistan. Non volevo vivere una vita noiosa, e il fatto di diventare cattolica mi è sembrata la garanzia di scegliere una vita appassionante. E con Dio, fino ad oggi non mi sono mai annoiata”. Si è spenta il 10 agosto 2017, all’Aga Khan University Hospital, a Karachi. È stata la prima cristiana e la prima non-musulmana a vedersi riservato il dirittto a un funerale di stato, nella cattedrale di san Patrizio, seguito in diretta dalla televisione pakistana. I suoi resti riposano nel cimitero della città di Karachi.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono propri della memoria del Martire Lorenzo e sono tratti da:
2ª Lettera ai Corinzi, cap. 9,6-10; Salmo 112; Vangelo di Giovanni, cap. 12,24-26.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

È tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura il brano di un articolo di frei Tito de Alencar sulla situazione della Chiesa in Brasile, pubblicato pochi mesi dopo la sua liberazione sul “Front Brésilien d’Information”, n°3 – agosto, 1971. È, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Lo stato militare, instaurato dal colpo di stato del 1964, non adottò una politica di trasformazione sociale; al contrario, aggravò le condizioni di miseria del popolo, avendo scelto un modello di sviluppo capitalista, repressivo, fondato su una tecnocrazia militare, che schiaccia i movimenti popolari, installa un regime di forza mantenuto dai decreti istituzionali. Il cristianesimo non può tacere di fronte all’ingiustizia, perché tacere è tradire. Il suo dovere è diventare sale della terra, luce del mondo. Il movimento universitario fu uno dei primi a sollevarsi contro il regime di forza insediato. In occasione del trasferimento di Mons Helder Camara da Rio de Janeiro a Recife (Nord-Est), creammo un’offensiva per denunciare l’arbitrarietà del potere legale e militare. Nel 1967, l’Azione Cattolica Operaia del Nord-Est diffuse un documento che denunciava il tenore di vita degli operai della regione che ricevevano salari da fame. Nel 1968, Dom Cândido Padin pubblicò un documento che analizzava la dottrina della Sicurezza Nazionale, dei militari, alla luce del messaggio evangelico. In questo documento c’è un’eccellente critica della concezione pseudo-positivista dei gruppi militari brasiliani. I vescovi del Nord-est si organizzarono per la pubblicazione di una serie di documenti che testimoniano una notevole maturità politica e cristiana in difesa dei diritti umani. “Ho udito le grida del popolo” è il titolo calzante di questa dichiarazione. Oggi un terzo della Chiesa del Brasile ha fatto suo questo impegno: rinuncia a una rivoluzione cristiana e decide di partecipare alla lotta del popolo per i loro diritti fondamentali. A questa lotta sono invitati tutti coloro che vogliono un mondo più giusto e più umano. L’attuale regime brasiliano perseguita la Chiesa a causa della importanza data al Concilio. Le decisioni dell’Enciclica “Gaudium et Spes” così come quelle prese dall’incontro dei Vescovi latinoamericani a Medellin, in Colombia, sono avversate con violenza dal regime del generale Medici, attraverso gli Organi repressivi, come CENIMAR (Centro di Informazioni della Marina) e del CODI (Centro di Operazioni di Difesa Interna). I militari brasiliani, cioè gli ufficiali di più alto grado, si sono fatti carico di sottoporre a scosse elettriche e a torture i sacerdoti di molte parrocchie in Brasile. Più di 50 parroci sono stati torturati. Uno di loro, Padre. Henrique Pereira, di Recife, è stato assassinato dal DOPS (Dipartimento di Ordine Politico e Sociale) della città. (Frei Tito de Alencar, A situação da igreja no Brasil).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 10 Agosto 2018ultima modifica: 2018-08-10T22:42:05+02:00da fraternidade
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