Giorno per giorno – 07 Luglio 2018

Carissimi,
“Allora gli si accostarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: Perché, mentre noi e i farisei digiuniamo, i tuoi discepoli non digiunano? E Gesù disse loro: Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro? Verranno però i giorni quando lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno” (Mt 9, 14-15). Stasera, a casa di Genesy e Ercy, ci dicevamo che, a pensarci bene, quando si è innamorati, non ci si pone proprio il problema di saltare qualche pasto, pur di stare in compagnia della persona amata. La sua presenza, infatti, basta (entro ragionevoli limiti) a saziarci. Se, invece, esso richiama la nostra attenzione, è perché si tratta di un digiuno in qualche modo forzato, o perché manca proprio il cibo, o perché lo si fa in omaggio a qualche precetto o tradizione religiosa, o perché non c’è un amore che riempia la nostra vita. Il che ne fa una cosa triste. Come era nel caso di quei solerti e un po’ importuni religiosi che, in difesa della fede e della morale, si mettevano così spesso alle calcagna di Gesù e dei suoi. Scandalizzati, in questo caso, per il fatto che, oltre a non digiunare, costoro non esitassero a sedere a tavola con persone di pessima fama. E Gesù, pazientemente, a spiegare a loro (e a noi), che non serve digiunare, se e quando le nozze del regno sono allestite, ossia, se regna fraternità, solidarietà e giustizia. Sarà invece necessario tornare a digiunare ogni volta che queste condizioni vengano a mancare. Il digiuno non consisterà allora semplicemente nel privarsi di cibo, ma, secondo la parola del profeta nel “sciogliere le catene inique, rimandare liberi gli oppressi, dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri, senza tetto, vestire uno che vedi nudo” (Is 58, 6-7). Che è il digiuno più difficile da compiere, perché esige uno sguardo nuovo sulla vita, che poi è quello antico, quello del primo amore (cf Ap 2, 4). Che vede e pone amore – e la sua gioia – in tutto.

Oggi facciamo memoria del patriarca Atenagora, profeta di ecumenismo.

Aristokles Pyrou (questo il suo nome all’anagrafe) nacque il 25 marzo 1886, a Tsaraplana (Grecia). Metropolita di Corfú e successivamente arcivescovo della comunità greco-ortodossa di New York, fu eletto nel 1949 patriarca ecumenico di Costantinopoli, diventando presto una figura di primo piano nello sviluppo della Chiesa ortodossa e del movimento ecumenico. Sognava una Chiesa evangelica, in cui le diverse confessioni potessero incontrarsi come Chiese sorelle, sulla base della comune fede apostolica, nella fedeltà alla tradizione dei Padri e all’ispirazione dello Spirito. Nella sua visione, il primato romano doveva essere una presidenza nell’amore, non sulla Chiesa, ma nel cuore della sua comunione e al suo servizio. Del cristianesimo sottolineò non l’aspetto normativo, ma l’ispirazione creatrice, la fraternità tra gli individui, il miracolo delle creature vive, l’umile illuminazione del quotidiano, attraverso la “presenza nell’assenza” dello Sconosciuto che divenne il nostro Amico segreto. Cercò anche di aprire il dialogo con l’Islam. Morì incompreso e isolato dagli ambienti moderati e fondamentalisti della sua stessa Chiesa, il 7 luglio del 1972. Aveva detto un giorno: “La Chiesa deve partorire uomini liberi, capaci d’inventare liberamente la loro vita alla luce dello Spirito Santo”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Amos, cap.9, 11-15; Salmo 85; Vangelo di Matteo, cap.9, 14-17.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

E anche, per stasera, è tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi una citazione del Patriarca Atenagora, tratta dal libro di Olivier Clément “Dialoghi con Atenagora” (Gribaudi). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Chiesa e cristianesimo debbono ora affiancarsi per iniziare insieme un nuovo periodo, glorioso, ma in umiltà, della storia del cristianesimo. La scienza bussa alla porta dell’incognito, ma non è la scienza che potrà dare un significato alla vita. Il significato sta nella risurrezione racchiusa nell’eucaristia. L’umanità si unifica, ma questa unificazione non potrà sfuggire alla violenza e alla massificazione, se non rispetterà e favorirà il carattere unico di ogni persona, l’originalità di ogni popolo. E l’esempio, il lievito di questa unità nella diversità, non può essere che la chiesa, sul modello della Trinità. L’uomo moderno cerca la libertà e la responsabilità, ma troverà la sostanza di questa libertà solo nell’amore; e l’amore, per poter vincere la morte, deve nutrirsi dell’eucaristia. Bisogna ricercare in ogni cosa ciò che è buono, dice l’apostolo. La ricerca di libertà, di giustizia, di collaborazione fraterna, la ricostruzione del mondo per mezzo della tecnica e dell’intelligenza dell’uomo, una più equa ripartizione dei beni della terra, la rinascita di popolazioni e di culture da molto tempo asservite, l’emancipazione della donna, la valorizzazione dei lavoratori: tutto dev’essere segretamente vivificato dalla risurrezione, tutto deve convergere verso la trasfigurazione finale. Ci vuole un rinnovamento che fiorisca un po’ dappertutto nel mondo cristiano. Ma io credo che la condizione principale, basilare, non può essere che l’unione dei cristiani, chiamati a uscire insieme nel mondo per porsi al servizio dell’uomo. Il Cristo ha pregato perché noi fossimo una cosa sola, affinché il mondo creda. Poco per volta la fiducia viene a sostituire la paura e il disprezzo, che così a lungo hanno dominato fra le chiese, o meglio all’interno della chiesa di Cristo, perché non esiste che una sola chiesa. (Oliver Clément, Dialoghi con Atenagora).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 07 Luglio 2018ultima modifica: 2018-07-07T22:30:53+02:00da fraternidade
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