Giorno per giorno – 08 Luglio 2018

Carissimi,
“Molti ascoltandolo rimanevano stupiti e dicevano: Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani? Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi? E si scandalizzavano di lui” (Mc 6, 2-3). Forse il brusco passaggio dallo stupore iniziale allo scandalo finale in quanti si trovarono quel sabato ad ascoltare Gesù nella sinagoga di Nazareth fu determinato da una qualche “pretesa” di troppo avanzata da lui a riguardo della sua persona. Di cui reca traccia il racconto parallelo a questo che troviamo nel vangelo di Luca (cf Lc 4, 21). Noi, a nostra volta, non dovremmo meravigliarci troppo facilmente di quel cambiamento. Perché è, in realtà, ciò che caratterizza il nostro stesso atteggiamento davanti a Gesù, nel passaggio da ciò che sappiamo di lui (e noi se ne sa molto di più dei suoi conterranei di allora, al punto che possiamo accettare tranquillamente il fatto che sia anche figlio di Dio, purché questo risponda all’immagine che noi abbiamo di Dio e ci sia così di qualche utilità) alla scoperta di quel di più che egli possa pretendere da noi. Ribaltando le nostre visioni e le nostre attese, comprese quelle relative al Cristo e Figlio di Dio, che sceglie di tirarsi giù dal trono, per farsi uno di noi, meno di noi, fino a perdersi per salvarci. E per costituirci, se riusciamo a superare lo scandalo, “chiesa in perdita”, in vista della liberazione e salvezza degli altri. Abbiamo bisogno di profeti, diceva stamane frei Marcos, nella sua omelia, non di cappellani dell’impero (o dei piccoli regni che ci creiamo) e di guardiani dei loro (e nostri) interessi. Anche se, nel nostro scegliere la profezia, altri potranno storcere il naso, scandalizzarsi, appunto, andare a cercare altrove la conferma di un’immagine più tranquillizzante di Gesù, che permetta loro di servire il dio che immaginano e di confidare nel Mammona della ricchezza accumulata a spese degli altri.

I testi che la liturgia di questa XIV Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Ezechiele, cap.2, 2-5; Salmo 123; 2ª Lettera ai Corinzi, cap.12, 7-10; Vangelo di Marco, cap.6, 1-6.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le Chiese e comunità cristiane.

Oggi il calendario ci porta la memoria di Procopio, martire in Palestina.

Su Procopio, che lo storico Eusebio addita come primo martire della Palestina, disponiamo di un buon numero di racconti leggendari, ma di poche notizie storicamente accertate. Secondo queste, Procopio era nato nella seconda metà del III secolo, ad Aelia Capitolina (così i Romani avevano ribattezzato Gerusalemme, dopo la sconfitta dell’insurrezione guidata da Simon Bar Kochba, nel 132) e si era poi trasferito a Scitopoli (l’ebraica Beit She’an, all’incrocio tra la valle del Giordano e quella di Jezreel), dove era contemporaneamente lettore, interprete di siriaco ed esorcista. Dedito fin da giovanissimo ad una vita ascetica e allo studio della Parola di Dio, durante la persecuzione di Diocleziano, fu denunciato assieme ad altri compagni come cristiano e condotto a Cesarea, per essere interrogato dal governatore Firmiliano e del giudice Flaviano. Richiesto di sacrificare agli dei, si rifiutò. Invitato a fare delle libagioni ai due imperatori e ai due Cesari in carica, rispose, citando Omero “Una moltitudine di comandanti non è mai una buona cosa, ci deve essere un solo dominatore, un solo re”. E, per quel che lo riguardava, aveva scelto di porre la sua fiducia in Cristo. Pare che la risposta non piacque ai suoi giudici, dato che fu decapitato seduta stante.

Oggi compie 97 anni Edgar Nahoum, filosofo e sociologo francese, di famiglia ebrea sefardita, più noto con lo pseudonimo di Edgar Morin, che noi scegliamo di omaggiare, offrendovi, nel congedarci, una citazione tratta da un suo articolo apparso sul quotidiano Avvenire l’ 11 febbraio 2013 col titolo Pascal, la scommessa del “ben pensare”, che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
“Ben pensare” significa per me abbandonare i punti di vista dei saperi separati che non sanno vedere l’urgenza e ciò che è essenziale; abbattere le barriere tra i saperi, vedere il tutto nelle parti e le parti nel tutto; sforzarsi di concepire delle solidarietà fra gli elementi di un tutto, e da lì tendere a suscitare una coscienza di solidarietà; conoscere i contesti e riconoscere le complessità delle situazioni in cui dobbiamo agire, comprendere in particolare che c’è una «ecologia dell’azione», che può spesso sviare le nostre azioni dal loro senso desiderato e orientarle perfino in senso contrario, per cui le nostre intenzioni morali possono sfociare in risultati immorali; riconoscere e affrontare incertezze morali e contraddizioni etiche, comprendere che il bene e il male non possono essere sempre distinti facilmente, sapere che i nostri doveri etici sono spesso antagonistici, e perfino inconciliabili, poiché abbiamo doveri verso noi stessi, verso i nostri cari, verso la società, verso la specie, verso la nostra Terra-patria; riconoscere le potenze d’accecamento o di illusione dello spirito umano, il che comporta una lotta contro le deformazioni della memoria, le dimenticanze selettive, l’autogiustificazione, l’autoaccecamento; includere nella conoscenza oggettiva la conoscenza soggettiva del soggetto che conosce, nella conoscenza degli oggetti la comprensione umana, cioè il riconoscimento della complessità umana… Ecco un po’ di tutto quel che intendo quando parlo di “ben pensare”. (Edgar Morin, Pascal, la scommessa del “ben pensare”).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 08 Luglio 2018ultima modifica: 2018-07-08T22:43:12+02:00da fraternidade
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