Giorno per giorno – 27 Giugno 2018

Carissimi,
“Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi” (Mt 7, 15-17). Stasera, ci dicevamo che, ogni pagina di vangelo, dobbiamo vederla indirizzata a noi, prima di sognarci di applicarla ad altri. È noi stessi, perciò, che dobbiamo interrogare per primi, per verificare se non si sia noi, per caso, quei “falsi profeti” contro cui ci allerta Gesù. Cosa resta nel nostro agire del Vangelo che siamo abituati a proclamare (dato che finora almeno non lo si è cambiato), o delle liturgie che celebriamo (considerato che i segni – il dono della vita per la vita degli altri – sono quelli di sempre)? Possiamo davvero dire che le nostre parole, gesti, azioni, scelte siano sempre e in ogni caso coerenti con la fede che professiamo o ci scopriamo anche noi, qualche volta almeno, lupi rapaci, che cedono alla violenza, all’aggressività, all’intolleranza, dimentichi del vangelo della pace, della buona notizia del regno, dell’annuncio della liberazione per i poveri? Dove sono finiti i frutti buoni, che fine ha fatto la capacità di denuncia profetica dei mali della società, il coraggio di una testimonianza controcorrente in situazioni che vedono ogni volta di più l’affermarsi della ragione dei più forti a cui un’accorta regia, seminando discordia, riesce a piegare il consenso dei deboli, contro il loro stesso interesse? Davvero come cristiani non sapremo fare la differenza?

Oggi è memoria di un martire piccolo, oscuro, di quelli che, forse, non entreranno mai nei martirologi ufficiali della Chiesa: Juan Pablo Rodriguez Ran, pastore che diede la vita per il suo gregge.

Juan Pablo era un prete indigeno, parroco nella chiesa di S. Domenico, a Cobán (Guatemala). La sua predicazione a favore della giustizia e contro l’oppressione della sua gente è considerata “sovversiva” dall’esercito e dalla polizia e il prete è più volte avvertito che conviene “smetterla di sollevare il popolo” perché gli squadroni della morte lo stanno cercando. Di queste minacce sono al corrente anche gli altri preti della parrocchia e perfino il suo arcivescovo, che lo consiglia di mettersi calmo e tranquillo. Ma come restare calmi e tranquilli davanti alla sofferenza di tutto un popolo? La morte lo coglierà significativamente, al termine di un’Eucaristia, mentre torna in canonica. “Persone in uniforme militare” trasportate da un camion verde oliva (come gli automezzi dell’esercito) con la targa coperta, gli sparano per strada, uccidendolo brutalmente. Era il 27 giugno 1982.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
2° Libro dei re, cap.22, 8-13; 23, 1-3; Salmo 119; Vangelo di Matteo, cap.7, 15-20.

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti, lungo i cammini più diversi, perseguono un mondo di giustizia, fraternità e pace.

Noi ci congediamo qui. E, prendendo spunto dalla memoria di Juan Pablo Rodriguez Ran, vi proponiamo in lettura un brano di Jon Sobrino, tratto dal suo libro “Gesù Cristo liberatore” (Cittadella Editrice). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
La sofferenza di Dio nella croce dice in sostanza che il Dio che lotta contro la sofferenza umana ha voluto mostrarsi solidale con gli esseri umani che soffrono, e che la lotta di Dio contro la sofferenza avviene anche alla maniera umana. Non sarà forse una verità filosofica, né sappiamo se sia molto presente in altre tradizioni religiose, ma è essenziale alla tradizione biblica, certamente a quella cristiana, il dovere di lottare decisamente contro il peccato per sradicarlo, ma con una lotta che passa attraverso il portare su di sé il peso del peccato. Ciò che fa luce sulla sofferenza di Dio in una storia di sofferenza è che tra il dilemma di accettare la sofferenza sublimandola, oppure di eliminarla restandone fuori, si può e si deve introdurre un nuovo elemento: il prenderla su di sé. Però occorre anche aggiungere che Dio prendendo su di sé tale sofferenza dice da che parte egli sta, con quali lotte si sta mostrando solidale. Il silenzio di Dio nella croce, come silenzio di dolore per Dio stesso, si può interpretare in modo decisamente paradossale come solidarietà con Gesù e con i crocifissi della storia: è la quota che spetta a Dio di quella sofferemza necessariamente richiesta dalla lotta storica per la liberazione. In questo senso sono del tutto corrette le parole di L. Boff: “Se Dio tace davanti al dolore è perché egli stesso patisce e fa propria la causa dei martirizzati e di quelli che soffrono (cf Mt 25, 31). Il dolore non gli è estraneo; se però lo ha assunto non è stato per eternarlo e lasciarci senza speranza, ma perché vuole porre fine a tutte le croci della storia”. (Jon Sobrino, Gesù Cristo liberatore).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 27 Giugno 2018ultima modifica: 2018-06-27T22:07:17+02:00da fraternidade
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