Giorno per giorno – 25 Giugno 2018

Carissimi,
“Non giudicate, per non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati. Perché osservi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello. (Mt 7, 1-3. 5). Dio non giudica, né condanna nessuno. Come sa bene, chi ama per davvero. Del resto, non potrebbe esigere da noi di non giudicare, se non lo evitasse per primo Lui. Di questo abbiamo conferma nel vangelo di Giovanni, là dove è detto: “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui” (Gv 3, 17). L’unica sua preoccupazione è la salvezza del mondo, neppure solo l’umanità, ma il mondo intero, l’aria, l’acqua, la flora, la fauna. Quanto al giudizio e alla condanna, la pronunciamo su di noi da noi stessi, ogni volta che, dimentichi della nostra vocazione ad operarci per la liberazione e la salvezza degli altri, ci attardiamo a giudicare e condannare, negando così Dio e ostacolando l’avvento del suo Regno e il dispiegarsi del suo amore. Ci dicevano proprio in questi giorni di un’usanza presso una qualche popolazione africana: quando qualcuno commette un errore, lo si chiama al centro dell’assemblea e lì, tutti gli rinfacciano… tutte le cose buone che ha fatto nelle più diverse occasioni della vita. Questo parte dal presupposto che tutti si venga al mondo come un desiderio di bene, di amore, di felicità e nel considerare l’errore come un grido di aiuto, a cui la comunità è chiamata a rispondere attivamente per ristabilire la comunione compromessa. Questo metodo è detto “Nabajyotisaikia!”, che significa “ti rispetto, mi importi”. Ci sembra rispecchi bene l’insegnamento del vangelo di oggi.

Oggi il nostro calendario ci porta le memorie di Sadhu Sundar Singh, mistico indiano, e di José María Díez-Alegría Gutiérrez, prete e teologo della liberazione.

Sundar Singh era nato nel 1889 a Rampur, nel Punjab (India), da una famiglia di proprietari terrieri di religione Sikh. Adolescente, inviato dal padre presso la locale scuola delle missioni, cominciò a prendere di mira i missionari e a deridere apertamente i compagni che si erano convertiti, arrivando un giorno a bruciare una Bibbia, pagina per pagina, in segno di sfida. Era il 16 dicembre 1904. Tre notti dopo, come egli racconterà, vide “la potenza del Cristo vivente” e udì una voce che diceva: “Quanto tempo ancora mi perseguiterai? Io sono morto per te; per te ho dato la mia vita”. Decise allora che sarebbe stato cristiano. Espulso per questo di casa, l’anno successivo chiese di essere battezzato nella chiesa anglicana, decidendo tuttavia di inaugurare, anche esteriormente, una maniera indiana nella sequela di Gesù: indossando il turbante e la tunica arancione degli asceti, senza fissa dimora, né possesso alcuno, vivendo di elemosine, predicando e testimoniando Cristo con una vita di preghiera e povertà. Dopo aver servito per qualche tempo in un lebbrosario, entrò nel Divinity College, a Lahore, per ricevere una formazione come predicatore. Quando ne uscì, due anni più tardi, riprese la sua vita di sadhu itinerante nell’India settentrionale, nei paesi buddhisti dell’Himalaya, in Tibet, paese quest’ultimo, dove incontrò una violenta ostilità, al punto di essere imprigionato. Fu anche invitato a tenere una serie di incontri in Inghilterra e negli Stati Uniti, ma rimase assai deluso del materialismo dell’Occidente. Pur frequentando la chiesa anglicana, Singh volle sempre relazionarsi liberamente con le più diverse denominazioni cristiane. Nell’aprile del 1929, nonostante le ormai fragili condizioni di salute, decise di tornare in Tibet e si mise in viaggio. Non se ne seppe più nulla. Ucciso forse dagli stenti, dal freddo, dalla malattia, o da possibili malintenzionati.

José María Díez-Alegría Gutiérre era nato il 22 ottobre 1911, a Gijón, nel Principato delle Asturie, figlio di María Gutiérrez de la Gándara e di Manuel Díez-Alegría García, che era direttore dell’agenzia locale del Banco de España. Entrato nella Compagnia di Gesù, nel 1930, fu ordinato prete nel 1943. Dopo aver ottenuto la licenza in Sacra Teologia e il dottorato in Filosofia e in Diritto, fu professore di Etica nell’Università di Alcalá de Henares dal 1955 al 1961, quando fu chiamato a insegnare Dottrina sociale della Chiesa alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, dove rimase fino al 1972. Quando, nella sua vita, cambiò tutto. O quasi. A causa di un suo libro, dal titolo “Credo nella Speranza”, uscito in quell’anno senza l’imprimatur, tradotto subito in diverse lingue e divenuto ben presto un best-seller. Per non creare difficoltà alla Compagnia di Gesù, scelse di uscire dall’Ordine e andò ad abitare in una baracca al Pozo del Tio Raimundo, un barrio di Vallecas, sobborgo di Madrid, dove da tempo operava tra i più poveri un altro gesuita, padre José María de Llanos Pastor (1906-1992), chiamato il prete rosso. Non per il colore dei capelli. Da allora P. Díez Alegría non ha mai cessato di creare salutari grattacapi a Santa Madre Chiesa e passando comunque indenne tra le maglie della repressione franchista. Come, del resto, P. de Llanos, figlio di un generale questo, figlio di un banchiere e fratello di generali il nostro. Si è spento nella residenza dei gesuiti di Alcalá de Henares, il 25 Giugno 2010, prossimo ai novantanove anni. A chi gli chiese un giorno perché non fosse uscito dalla Chiesa, dopo le ruvide critiche rivoltele per aver ceduto alla tentazione della ricchezza e del potere, rispose: “No, no, non potrei mai. Perché sono rimasto nella Chiesa? È grazie alla Chiesa che ho conosciuto Gesù Cristo. Se non ci fosse stata la Chiesa, non sarei mai arrivato a lui”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
2º Libro dei Re, cap.17, 5-8. 13-15. 18; Salmo 60; Vangelo di Matteo, cap.7, 1-5.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

È tutto, per stasera. Noio ci si congeda, offrendovi in lettura una pagina di Sundar Singh, che troviamo nel suo libro “Enseñanzas del Maestro” (The Bruderhof Foundtion Inc.) e che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Dio ci ha creati con poteri e facoltà spirituali, ma questi devono essere usati, se no, diminuiscono e si perdono. Dobbiamo concentrare la nostra fede sul Dio vivente, diversamente l’irriverenza e il peccato saranno la norma, con cui ci caricheranno di dubbi e alla fine distruggeranno ogni fede. A volte c’è chi dice che crederà in Dio a condizione di liberarsi dal dubbio e trovare soddisfazione. Si può andare dal medico e chiedergli di rimuovere il dolore di un braccio rotto prima che l’osso sia stato saldato? Tale affermazione sarebbe ridicola perché il dolore è il risultato della frattura. Una volta che il membro sia sistemato, il dolore andrà via da sé. I dubbi sono dolori spirituali che emanano dal nostro peccato; l’irriverenza ha fatto venir meno la nostra unità spirituale con Dio. Per prima cosa dobbiamo ripristinare l’unità spirituale con Dio e poi i dubbi sull’esistenza di Dio o sulla divinità del Maestro scompariranno da sé. Solo allora il dolore svanirà. Solo allora sperimenteremo la meravigliosa pace spirituale che il mondo non può darci, né portarci via. Il Maestro ci rivela Dio in modo che l’unione tra l’uomo senza peccato e Dio possa essere ripristinata. Il Maestro ci ha aperto la strada per entrare nel regno dei cieli. Qualsiasi uomo che cerchi sinceramente la verità con cuore aperto troverà la rivelazione nel Maestro. Non abbiamo bisogno di conoscere l’ebraico o il greco, ma abbiamo bisogno di essere uniti allo Spirito. Questo Spirito ha guidato i profeti e discepoli che hanno trascritto le sue parole, e solo questo Spirito può rivelarci il vero significato di quelle parole. Il linguaggio del Maestro è spirituale e possiamo capirne il significato solo se manteniamo lo spirito sveglio. Non abbiamo bisogno di sapere o capire nulla su questioni teologiche o critiche. In verità, un bambino può cogliere più facilmente rispetto agli adulti gli insegnamenti del Maestro, perché il bambino è ancora unito al mondo spirituale da cui proviene. Ma coloro che possiedono la sapienza solo di questo mondo, non potranno mai capirli poiché lo spirito del Maestro non è in loro. (Sundar Singh, Enseñanzas del Maestro).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 25 Giugno 2018ultima modifica: 2018-06-25T22:54:44+02:00da fraternidade
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