Giorno per giorno – 15 Giugno 2018

Carissimi,
“Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore. Fu pure detto: Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto di ripudio; ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di prostituzione, la espone all’adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio” (Mt 5, 27-28. 31-32). Gesù non si proponeva di dettare norme per un redigendo diritto canonico, se no, ci sarebbe andato più leggero. E, meno male che i futuri canonisti presero poi (abusivamente, aggiungiamo noi) per norme assolute solo alcune delle sue affermazioni. Diversamente sarebbero ben pochi i sopravvissuiti, considerando che, in questo caso, l’adulterio (quindi anche quello solo con lo sguardo) avrebbe dovuto essere punito con la lapidazione. Ma pensiamo ad altre sue sentenze relative a chi si rendeva responsabile di qualche colpa: meglio che si cavi un occhio, si tagli la mano, o il piede, sia buttato a mare con una macina al collo. Quanto al divorzio e alle difficoltà o agli ostacoli che pone, molti dei nostri le evitano semplicemente non sposandosi (in chiesa o civilmente), anche per i costi. Convinti del resto che “juntado (o amigado) com fé, casado é”, l’unione o la relazione amorosa con fede è matrimonio di per sé. Senza gli impacci della legge, civile o ecclesiastica. La pretesa di Gesù è di proporre il modello di una giustizia superiore, a cui tendere. Col non ridurre gli altri, nel caso del matrimonio, a semplice oggetto del desiderio, del piacere o di altri interessi. Quanto al divorzio, si richiede che non sia frutto del capriccio o anche della colpa di un momento (come permettevano le scuole del tempo), ma che sia motivato solo da una relazione ridotta a prostituzione (che traduce il termine generico “porneia”), quando, cioè, invece che il dirsi del dono reciproco e incondizionato nell’amore dei coniugi, viene a mancare rispetto, devozione, fedeltà e cura, e tutto si riduce ad un uso dell’altro, con prestazioni forzate, disprezzo della persona, violenze o indifferenza. Quando evidentemente il matrimonio non esiste più. Diciamo allora che è bene ricominciare, ogni giorno da capo, per ricordare o riscoprire Chi è che tiene insieme e dà significato alla vita in comune, per testimoniare poi a chi ci sta intorno la gioia, certo a volte anche faticosa, delle nostre famiglie, che si vogliono icone dell’amore trinitario, nel dono di uno all’altro e all’altro ancora, in un circolo virtuoso senza fine.

La data di oggi ci porta le memorie di Evelyn Underhill, mistica e predicatrice anglicana, e di Germaine Cousin, pastorella e contemplativa.

Evelyn Underhill era nata a Wolverhampton il 6 dicembre 1875, figlia unica di Sir Arthur Underhill e di Alice Lucy Ironmonger. Dopo gli studi in Storia e Botanica al King’s College di Londra, sposò nel 1907 Hubert Stuart Moore, un avvocato suo amico d’infanzia. L’anno del suo matrimonio vide anche la sua conversione alla fede cristiana. Il fascino in lei esercitato dalla Chiesa cattolica fu tuttavia presto soffocato dalla violenta lotta anti-modernista, cui diede il via, quello stesso anno, la gerarchia romana. Nel 1911, la pubblicazione del suo primo libro, Misticismo, le offrì l’opportunità di conoscere il barone Friedrich von Hugel, padre spirituale di un’intera generazione di anglicani, sotto la cui guida si pose e da cui comprese l’importanza della fedeltà alle proprie radici, nell’apertura tuttavia al dialogo e all’amicizia con le altre denominazioni cristiane. Da allora prese a organizzare la sua giornata, scrivendo la mattina, e dedicando il pomeriggio alle visite ai poveri e alla direzione spirituale. Fu solo nel 1921 che si integrò pienamente nella comunione Anglicana. Nel 1922 raccolse in un libro le conferenze tenute al Manchester College di Oxford, con il titolo La vita dello Spirito e la vita di oggi. Nel 1924 cominciò a guidare ritiri spirituali, i cui contenuti saranno oggetto di successive pubblicazioni. Nel 1936, mentre si dedicava alla stesura di Adorazione crebbe il suo interesse per la Chiesa greco ortodossa, che la portò a integrarsi nell’Associazione dei Santi Albano e Sergio. Pacifista intransigente, raccolse le sue riflessioni su questo tema nell’opuscolo La Chiesa e la guerra (1940). Donna di personalità vivace, con uno spiccato senso di humor e grande delicatezza, mostrava una certa timidezza e ritrosia, trattando con la gente e soprattutto con i suoi allievi, per la ripulsa, diceva “di comandare alle anime”. Tuttavia quanti si rivolsero a lei con fiducia trovarono chi seppe farli crescere, non al suo o al loro passo, ma a quello di Dio. Evelyn Underhill morì il 15 giugno 1941.

Germaine Cousin nacque a Pribrac, non lontano da Tolosa nel 1579. Figlia di Lourent Cousin, un piccolo contadino, che nel 1573-74 era stato sindaco della cittadina, Germaine rimase orfana di madre ancora bambina. Privata dell’uso della mano destra per una malformazione congenita e malata di scrofolosi, una malattia che le deturpava il volto, quando il padre si risposò, fu considerata dalla matrigna una presenza di cui ci si doveva vergognare e fu perciò mandata a pascolare il gregge, lontano dagli occhi di vicini e conoscenti. Tuttavia la ragazzina seppe superare il dolore del rifiuto e si mise nelle braccia del buon Dio. Apprese a pregare e ogni giorno, affidando alla custodia dei suoi angeli il gregge, se ne andava alla chiesa del paese per partecipare alla messa. Quello che apprendeva, poi, lo ripassava a modo suo, agli altri piccoli compagni di sventura come lei confinati alla guardia delle greggi. A essi, appena poteva, allungava anche qualche pagnotta che riusciva a rimediare di nascosto in casa. Basta, la sua vita fu tutta qui. La trovarono un giorno che era già morta, nel sottoscala della stalla, dove era confinata a dormire. Aveva solo ventidue anni. Quarant’anni dopo, quando la tomba della famiglia Cousin fu aperta, per seppellire un parente, trovarono il suo corpo ancora intatto.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
1° Libro dei Re, cap.19, 9a. 11-16; Salmo 27; Vangelo di Matteo, cap.5, 27-32.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

Ieri sera, l’avvistamento della prima sottilissima falce della luna nuova ha segnalato che, terminato il mese di Ramadan, siamo entrati nel mese di Shewal (1439 del calendario egiriano, così chiamato perché data a partire dall’Egira). È, dunque, per i nostri amici musulmani la festa Id al–Fitr, cioè, la Festa della Rottura [del digiuno], chiamata anche Id al-Saghir, la Festa Piccola. Durerà tre giorni, dedicati al ringraziamento, al perdono, alle benedizioni, alla misericordia e alla pace. Eid Mubarak!

Prendendo spunto da questa festività islamica, scegliamo di proporvi, nel congedarci, un brano del discorso che Giovanni Paolo II rivolse alle autorità musulmane, il 14 febbraio 1982, a Kaduna, durante il suo viaggio in Nigeria. Un buon esempio di dialogo interreligioso, che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Tutti noi, cristiani e musulmani, viviamo sotto il sole di un unico Dio misericordioso. Crediamo tutti in un solo Dio Creatore dell’Uomo. Acclamiamo la signoria di Dio e difendiamo la dignità dell’uomo in quanto servo di Dio. Adoriamo Dio e professiamo una sottomissione totale a lui. In questo senso possiamo dunque chiamarci gli uni gli altri fratelli e sorelle nella fede in un solo Dio. E gli siamo grati per questa fede, perché senza Dio la vita dell’uomo sarebbe come il cielo senza il sole. Per questa fede che abbiamo in Dio, il Cristianesimo e l’Islam hanno molte cose in comune: il privilegio della preghiera, il dovere della giustizia accompagnata dalla compassione e dall’elemosina, e soprattutto un sacro rispetto per la dignità dell’uomo che è alla base dei diritti fondamentali di ogni essere umano, incluso il diritto alla vita del nascituro. […] Consentitemi di accennare ad alcuni altri settori in cui i cristiani ed i musulmani possono collaborare maggiormente. Per avviare un dialogo per comprenderci meglio sia come studiosi sia nelle relazioni tra persona e persona, nella famiglia e nei luoghi di lavoro e di divertimento. Possiamo promuovere una maggiore onestà e disciplina nella vita pubblica ed in quella privata, maggior coraggio e saggezza nella politica, l’eliminazione degli antagonismi politici, e l’abolizione della discriminazione basata sulla razza, sul colore della pelle, sull’origine etnica, sulla religione e sul sesso. Possiamo entrambi promuovere il principio e la pratica della libertà religiosa, assicurandone l’applicazione specialmente nell’istruzione religiosa dei figli. Quando il diritto dei figli ad adorare Dio è completato dal diritto all’istruzione religiosa, tutta la società viene arricchita ed i suoi membri sono ben preparati per la vita. L’istruzione religiosa assume una importanza sempre maggiore oggi, perché alcuni elementi della società cercano di dimenticare e perfino di distruggere l’aspetto spirituale dell’uomo. Perché parlo con voi di questi problemi? È perché siete musulmani e come noi cristiani credete in un solo Dio che è sorgente di tutti i diritti e valori dell’uomo. Sono anche convinto che se uniamo le nostre forze in nome di Dio, possiamo fare molto bene. Possiamo lavorare insieme per l’armonia e per l’unità nazionale, in uno spirito di sincerità e di reciproca fiducia. Possiamo collaborare nella promozione della giustizia, della pace e dello sviluppo. (Giovanni Paolo II, Discorso alle autorità musulmane).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 15 Giugno 2018ultima modifica: 2018-06-15T22:40:00+02:00da fraternidade
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