Giorno per giorno – 14 Giugno 2018

Carissimi,
“Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna” (Mt 5, 21-22). Forse, almeno i cristiani, potrebbero ricordarsi di queste severe istruzioni del Maestro, ogni volta che si accingono a navigare nelle reti sociali, che. come tutti coloro che vi indulgono sanno, oltre ad essere strumento spesso prezioso per lo scambio di notizie e informazioni, sono anche, e sempre di più, sentina di comunicazioni a base di disprezzo, insulti e aggressioni. Gli “altri”, le cui opinioni divergono dalle mie, sono sempre, come minimo, stupidi, e coloro che credono diversamente da me sono anche diversamente insensati, miscredenti, sacrileghi, bestemmiatori, empi. Ebbene, Gesù ci mette in guardia: il disprezzo e l’insulto sono già forme di omicidio. La Legge orale del resto già avvertiva a quei tempi: “Chi fa anche solo impallidire il suo prossimo è come se ne versasse il sangue” (TB, Bava Metzia 58b). Di questo siamo già, ogni volta, giudicati. A causa di questo le nostre vite finiscono nell’immondezzaio della storia (la Geenna, Ge-Hinnom, era la valle a sud di Gerusalemme in cui si bruciavano i rifiuti della città). Non basta, dunque, un’osservanza solo formale della Legge e, nel caso specifico, del precetto “Non uccidere”, ma bisogna andare al cuore del nostro sguardo sull’altro. Negarci all’atteggiamento fraterno e solidale nei confronti del prossimo, chiunque egli sia, è negare la paternità, e perciò l’amore, universale di Dio, e quindi Dio stesso. È forma dell’ateismo o, se si preferisce, dell’idolatria.

Oggi noi si fa memoria di Mauricio Silva Iribarnegaray, prete-spazzino municipale, piccolo fratello del Vangelo, martire in Argentina, e di Cosme Spessotto, martire in El Salvador.

Kléber Silva Iribarnegaray era nato il 20 settembre 1925 a Montevideo (Uruguay), quarto di cinque figli di un’umile famiglia contadina. Dopo la morte del padre, avvenuta in coincidenza della nascita dell’ultimo figlio, il giovane Kléber (cui avevano nel frattempo sostituito il nome con quello di Mauricio per provvedergli un santo in paradiso), lavorò alcuni anni per sostenere la già debole economia famigliare. Poi, però, decise di raggiungere in seminario dai salesiani il fratello minore, Jesús Ramón, e nel 1948 cominciò i suoi studi di teologia a Córdoba (Argentina). I suoi compagni lo descrivono come un giovane alto, dall’apparenza forte e sana, sempre allegro e comunicativo, molto esigente con se stesso, dall’interiorità profonda, amante della lettura e dello sport, appassionato di chitarra. Ordinato prete nel 1951, fu inviato come missionario nella Patagonia argentina. Quando però la madre si ammalò, nel 1960, risolse sia pure a malincuore di lasciare la congregazione salesiana, al fine di aiutarla economicamente. Chiese e ottenne, ancora una volta assieme al fratello Jesús, lui pure salesiano, di passare al clero dell’arcidiocesi di Montevideo, dove fu destinato alla parrocchia di san Giovanni Battista, a Pocitos. Superata la difficile congiuntura famigliare, i due fratelli decisero di tornare ad una vita comunitaria. Attratti dalla spiritualità di Charles de Foucauld, entrarono nel 1970 nella fraternità dei Piccoli fratelli del Vangelo a Fortin Olmos, nella provincia di Santa Fé, dov’era superiore Arturo Paoli. Dopo il noviziato, Mauricio lavorò per un po’ con la gente delle discariche di Rosario, con quanti, cioè, traggono dalla spazzatura i loro mezzi di sostentamento. In seguito, a Buenos Ayres, si impiegò come netturbino. La mattina del 14 giugno 1977, alle cinque e mezza, uscì come al solito per recarsi al lavoro. Poco prima, nella cappella, aveva pregato e meditato un testo della Lettera a Filemone, in cui Paolo accenna alle catene portate a causa del Vangelo. Alle otto e mezza, tre uomini in divisa, scesi da una Ford Falcón bianca, avvicinarono Maurizio che stava svolgendo le sue funzioni all’angolo di Terrero e Magariños Cervantes, nella Capitale Federale, parlottarono con lui e lo scortarono fino all’auto. Da allora Mauricio sparì nel nulla, seguendo la sorte di altre migliaia di argentini.

Cosme Spessotto era un francescano italiano, missionario in El Salvador. Fu per 27 anni parroco e vicario episcopale della diocesi di San Vicente. La mattina del 14 giugno 1980, fu assassinato da quattro individui armati, che penetrarono in chiesa mentre pregava. Pochi giorni prima aveva lasciato scritto: “Prevedo che, da un momento all’altro, alcuni fanatici potrebbero uccidermi. Chiedo al Signore che, al momento opportuno, mi dia la forza per difendere i diritti di Cristo e della Chiesa. Morire martire sarebbe una grazia che non merito. Lavare, con il sangue versato da Cristo, tutti i miei peccati, difetti e fragilità della vita passata, sarebbe un dono gratuito del Signore. Perdono in anticipo e chiedo al Signore la conversione degli autori della mia morte. Ringrazio tutti i miei fedeli che con le loro espressioni e manifestazioni di stima, mi hanno animato a dar loro quest’ultima testimonianza di vita. Possano anche loro essere buoni soldati di Cristo. Spero di continuare ad aiutarli dal cielo”.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
1° Libro dei Re, cap.18, 41-46; Salmo 64; Vangelo di Matteo, cap.5, 20-26.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

È tutto, per stasera. Prendendo spunto dalla memoria di Mauricio Silva, scegliamo di congedarci offrendovi in lettura una citazione di Arturo Paoli, che fu suo maestro di noviziato. Tratta da una sua omelia, tenuta il 26 agosto 2001, XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C), che troviamo sotto il titolo “La porta stretta” nel sito di “Giovani e Missione”, è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Gesù colloca la persona religiosa davanti alla decisione: o ti impegni o te ne vai. Non mi far perdere il tempo. Il giovane ricco vuole andare a scuola di spiritualità. Come fare per essere più buono, tu che sei buono devi avere la ricetta. È come la signora che vede un’amica con una pettinatura perfetta e le chiede l’indirizzo della parrucchiera. Ma Gesù non ha formule e mette subito il giovane di fronte alla decisione. E lui parte. Anche questo insuccesso illumina lo stile di Gesù: non mette il laico in uno stato di dipendenza, ma di fronte a una libertà di scelta. O ti decidi o te ne vai; a Gesù non piacciono le persone incapaci di decidersi. L’altra maniera per sfuggire al colpo di spada è quella di indugiare su un’esegesi scientifica della Parola. In questo brano Gesù parla di una porta stretta, evidentemente è la porta del paradiso. Allora saranno pochi quelli che si salveranno? C’è chi dice molti, chi dice tutti e c’è chi ha visto scendere all’inferno tanta gente come fiocchi di neve. E così andando dietro alle diverse opinioni si specula, si indaga, si rimanda la decisione. Ma, benedetti discepoli di Gesù, pensate qui, all’oggi: la porta stretta è lo straniero che disprezzate, sono le occasioni quotidiane che vi disturbano, che vi obbligano, che scomodano il vostro io che preferisce la calma e le pantofole. Martin Buber ha detto che l’ebreo è colui che vive la sua vita allo scoperto, sotto lo sguardo di Dio, Gesù, non dimentichiamolo, è ebreo. Davanti a tanti rifiuti nascosti sotto le apparenze di docilità e di obbedienza alla Parola, Gesù finisce per dirigersi agli ultimi, agli esclusi, ai disprezzati. Davvero ti sei ricordato di noi? Davvero vieni a trovarci nelle cloache dove ci hanno spinto a vivere? Possibile che ti lasci toccare da questa fetida prostituta? E sarà questa sorpresa, questo accorgersi improvvisamente che avviene l’incredibile, ciò che mai si sarebbe osato sperare, la risposta unica che Dio attende dall’uomo. (Arturo Paoli, La porta stretta).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle dlela Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 14 Giugno 2018ultima modifica: 2018-06-14T22:57:28+02:00da fraternidade
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