Giorno per giorno – 29 Aprile 2018

Carissimi,
“Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15, 4-5). Il contesto del vangelo di oggi è quello dei discorsi d’addio, che l’evangelista pone sulla labbra di Gesù nell’ultima cena. Discorsi che la liturgia riprende durante questo tempo pasquale, per introdurci al significato della dipartita del Signore, e aiutarci così a viverne le implicazioni. La vite non viene meno, anche se i tralci proiettati verso l’oltre [della loro funzione/missione], non la vedono. Sentono però la sua vita scorrere in loro, se ne alimentano, crescono, fioriscono e fruttificano. Stamattina, durante l’Eucaristia in monastero, ci dicevamo che, a giudicare dai frutti, non potremmo giurare che noi, come chiesa, comunità, battezzati, si sia rimasti sempre e in ogni caso uniti alla nostra vite, ed essere così segno/sacramento dell’umanità nuova che Dio sogna per il suo mondo. Ma, forse, ci si consolava, è solo perché non è ancora la stagione dei frutti. L’importante è che lasciamo scorrere in noi la sua linfa, che è lo Spirito di misericordia, di dedizione e di servizio, che ha guidato lungo tutta l’esistenza Gesù, fino a portarlo, dopo essere vissuto per amore, a morire per amore. E così a rivivere. E se il divino Agricoltore, il Padre, trovasse in noi qualcosa (ne troverà molte) di non conforme alla Vite che ci porta, si dia da fare Lui a potarla o toglierla, per bruciarla poi, subito, nel fuoco del suo amore. In modo che si possa cominciare così a vedere qualche frutto in più. Nel segno di una società che, superata questa interminabile stagione dei molti egoismi, dell’odio e dell’intolleranza, s’incammini finalmente sui sentieri del dialogo, dell’accoglimento dell’altro, della giustizia e della pace.

I testi che la liturgia di questa V Domenica di Pasqua propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.9, 26-31; Salmo 22; 1ª Lettera di Giovanni, cap.3, 18-24; Vangelo di Giovanni, cap.15, 1-8.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

Oggi è memoria di Caterina da Siena, contemplativa e messaggera di pace.

Caterina era nata a Siena il 25 marzo 1347, penultima dei venticinque figli di Jacopo Benincasa e di Monna Lapa Piangenti. A sei anni ebbe la prima visione e a sette emise il voto di verginità. Nonostante la prosperità della famiglia, i genitori non la fecero studiare: è fatica inutile e spreco di denaro, un buon matrimonio, precoce quanto lo consentono i tempi, porterà vantaggio a tutti. Così, quando la ragazza compì dodici anni, tutto era già pronto per le nozze. Ma, lei deve aver detto: Avete mica capito. Io sono già sposata. E si rifiutò. E in casa presero a trattarla come una serva. Lei, però, aveva un Complice e con Lui si costruì una cella segreta, dove ritirarsi di tanto in tanto, nei momenti liberi dalle sfacchinate quotidiane. E, alla fine, l’ebbe vinta. A quel punto, tutti pensavano si sarebbe fatta monaca. Avete mica capito, deve aver detto: “ La mia cella non sarà fatta di pietre o di legno, ma di auto-conoscenza”. E, sulle prime, neppure lei deve aver compreso bene cosa significasse. Ma il suo Complice si prese più tardi la briga di spiegarglielo: “Sappi, figlia mia, che io sono Colui che è, e tu sei quella che non è”. Questa è auto-conoscenza. E le parve tutto meraviglioso. Seguirono tre anni duri come pochi, con aridità, dubbi, visioni demoniache, e quant’altro. Ma finirono e quando il Complice riapparve, lei gli fece: Dove te ne stavi rintanato in tutto questo tempo? E Lui, pronto: Nel tuo cuore, sciocchina. Cominciò per lei un tempo di attività vulcanica. Adottò la regola di vita delle terziarie domenicane. A casa sua cominciarono a ritrovarsi uomini e donne desiderosi di impegnarsi, fare qualcosa. I tempi, infatti non erano uno scherzo. Li chiameranno i Caterinati, che presero a chiamarla mamma. E lei dettava loro le sue istruzioni, moltiplicando poi le sue attività di apostolato caritativo e politico: assistenza ai poveri, ammalati e carcerati, diffusione della parola di Dio e riappacificazione fra famiglie, città e stati rivali. Richiamava con severità gli uomini politici del suo tempo: “Nessuno Stato si può conservare nella legge civile in stato di grazia senza la santa giustizia”. Cercò di porre pace anche nella Chiesa, dilaniata dallo scisma d’Occidente. E, proprio durante questa missione, a Roma, Caterina si ammalò e morì, a soli 33 anni, il 29 aprile 1380.

È tutto. Noi ci si congeda, offrendovi in lettura una pagina di Caterina da Siena, tratta dal suo “Dialogo della Divina Provvidenza”. Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
In molti inconvenienti cade l’anima che è salita solo con il timore servile e con l’amore mercenario. Devono invece gli uomini levarsi da questo stato ed essere figlioli, servendo me senza rispetto di se stessi. Tuttavia io, che sono rimuneratore di ogni fatica, rendo a ciascuno secondo il suo stato e le sue opere. Se costoro non lasciano l’esercizio dell’orazione santa e delle altre buone opere, ma vanno con perseveranza aumentando la loro virtù, giungeranno alla perfezione dell’amore filiale verso di me. Io li amerò d’amore filiale, perché corrispondo con quel medesimo amore con cui sono amato. Se ami me, come il servo ama il suo signore, io, come Signore, ti rendo quanto ti è dovuto, secondo il tuo merito; ma non manifesto me stesso a te, perché le cose segrete si manifestano solo all’amico, che è una sola cosa con l’amico. È vero che il servo può crescere nella virtù e nell’amore che porta al suo padrone, fino a divenirgli amico carissimo; così avviene di alcuni. Finché stanno nell’amore mercenario, io non mi manifesto loro; ma se, sentendosi mossi dal dolore della loro imperfezione e dall’amore delle virtù, sradicano con odio la radice dell’amor proprio, saliranno sul seggio della coscienza per tenervi giudizio. E se non lasceranno passare nel cuore i movimenti del timore servile e dell’amore mercenario senza correggerli al lume della santissima fede, diverranno tanto piacevoli a me che giungeranno all’amore dell’amico. Allora mi manifesterò ad essi, come affermò la mia Verità: Chi mi ama, sarà una cosa sola con me, ed io con lui, e mi manifesterò a lui e faremo dimora insieme. Questa è la condizione in cui si trovano due amici carissimi: sono due corpi e un’anima sola per affetto di amore, perché l’amore trasforma l’amante nella cosa amata. Se egli si è fatto un’anima sola con l’amico, nessuna cosa gli può essere segreta. Perciò disse la mia Verità: Verrò a lui e prenderemo dimora insieme. (Caterina da Siena, Dialogo della Divina Provvidenza, LX).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 29 Aprile 2018ultima modifica: 2018-04-29T22:41:42+02:00da fraternidade
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