Giorno per giorno – 18 Aprile 2018

Carissimi,
“Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me; colui che viene a me, non lo respingerò, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno” (Gv 6, 37-39). E tutto ciò che il Padre ha dato a Gesù è semplicemente tutto, e perciò, tutti. E nulla e nessuno sarà perduto, perché questa è la volontà del Padre. Contro ogni nostra umana ignoranza, umana diffidenza e umana resistenza. Cosa potremo, infatti, se non arrenderci, fosse anche solo all’ultimo millesimo di secondo, nello scoprirci amati, come lo siamo da Lui. Nonostante noi. È una verità così incredibilmente bella e da brivido, che, come ci scriveva un amico, commentando questi versetti, si ha voglia di non crederla, perché ci scaraventa tra le braccia di una libertà, in cui il peccato, inteso come orizzonte finito di un vano tentativo di asservimento di cose o persone all’io, svela tutta la sua fallacia e si mostra solo come tristezza da fuggire, perché ritarda i tempi dell’amore. Ciò che, però, Gesù dice di sé è, una volta di più, anche la missione e maniera d’essere della chiesa e di ogni cristiano: chi viene a me, comunque venga a me, non lo respingerò, perché la volontà del Padre è che io non perda nessuno di coloro che incontro nel mio cammino. Ma lo aiuti a vivere una vita il più possibile piena già da ora. Questo è vivere da risorti.

Oggi, il Martirologio latino-americano ci porta le memorie di Francisco Marroquín, pastore e difensore degli Indios in Guatemala, e di José Eduardo Umaña Mendoza, avvocato, difensore dei diritti umani, martire in Colombia. Noi ricordiamo anche il Massacro degli ebrei del ghetto di Praga.

Non disponiamo di molte notizie su Francisco Marroquín, che fu il primo vescovo del Guatemala. Fu egli a fondare nel paese le prime scuole e i primi ospedali. Amico di Fray Bartolomé de Las Casas e dei vescovi del Messico, Juan de Zumárraga e Juan de Zárate, si unì a loro per studiare i metodi più efficaci per proteggere gli indios dallo sfruttamento e dagli arbitri dei colonizzatori spagnoli, e per riflettere sul modo migliore per esercitare l’ufficio di pastore. Morì il 18 aprile 1537.

Nato il 22 novembre 1946 da Graciela Mendoza e Eduardo Umaña Luna, Eduardo Umaña Mendoza, aveva intrapreso come il padre l’attività di avvocato, schierandosi sempre nella difesa dei settori popolari, in favore delle loro lotte e a tutela dei loro diritti. Durante il 1987 svolse un’intensa attività di sensibilizzazione e denuncia in Europa sulla situazione di violazione sistematica dei diritti umani in Colombia. Tra le sue attuazioni più importanti ricordiamo la difesa delle vittime del genocidio dell’Unione patriottica e del Partito comunista colombiano, da parte di gruppi appartenenti al paramilitarismo di estrema destra, la denuncia degli abusi e dell’uso sistematico della tortura nei confronti dei prigionieri politici e dei famigliari dei desaparecidos. Il 18 aprile 1998, due uomini e una donna al servizio della banda La Terraza (a quel tempo, l’organizzazione di sicari più pericolosa del paese al servizio delle “Autodefensas Unidas de Colombia”), facendosi passare per giornalisti, furono ricevuti nel suo ufficio, dopo aver bloccato la sua segretaria in una stanza. Di fronte al suo rifiuto di seguirli, gli spararono a bruciapelo. La frase che usava ripetere quando lo minacciavano di morte era sempre stata: “È meglio morire per qualcosa, piuttosto che vivere per niente”.

Al tramonto di un giorno come questo – il 18 aprile 1389 – le comunità ebraiche nel mondo intero entravano nel 15 Nissan 5149 ed aprivano così la grande celebrazione di Pesah. Fu una Pasqua tragica per la comunità ebraica di Praga. Al grido di “battesimo o morte” folle di cristiani fanatici invasero il ghetto, trascinando fuori dalle loro case quanti si accingevano a consumare la cena pasquale. Oltre tremila ebrei – uomini, donne e bambini – che rifiutarono di ricevere il battesimo furono massacrati e i loro cadaveri furono profanati, bruciati assieme a carcasse di animali. Inutile dire che, in nome di Cristo e da persone che si credevano cristiane, era Cristo stesso ad essere eliminato e ucciso, nel suo significato e nella persona dei suoi fratelli.

I testi che la liturgia odierna propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.8,1b-8; Salmo 66; Vangelo di Giovanni, cap.6,35-40.

La preghiera del mercoledì è in comunione con tutti coloro che dedicano la loro riflessione, vita e azione a creare le condizioni per un mondo di pace, fraternità e giustizia.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano dell’omelia pronunciata dal gesuita p. Javier Giraldo, ai funerali di Eduardo Umaña Mendoza. Ed è questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Consentite che come cristiano e come sacerdote, che non può prescindere da una chiave di lettura di fede di fronte a tali eventi, condivida un momento con voi, credenti e non credenti, alcune riflessioni che questa chiave ermeneutica mi suggerisce. Passione, Morte e Resurrezione, si amalgamano in un unico mistero per illuminare il senso della nostra travagliata storia umana. Al di là delle interpretazioni letterali dei racconti evangelici della risurrezione, in questi capitoli finali dei Vangeli scopriamo un bellissimo tessuto redazionale che ci porta a discernere, a partire dai valori ultimi della nostra esistenza, il significato di un profeta sconfitto. Uno scrittore cecoslovacco marxista, Milan Machovec, nel suo meraviglioso libro “Gesù per gli atei”, commenta un episodio della fine del quarto Vangelo, quando Pietro entra, sbalordito, nel sepolcro di Gesù, e guardando il suo vuoto CREDE in ciò che prima non era stato in grado di capire: che Gesù non poteva rimanere nella morte. Machovec commenta: “Il momento in cui Pietro scoprì che Gesù era ancora il vincitore, nonostante non ci fosse stato niente più che una desolante e concreta morte di croce, è stato uno dei momenti più grandi dell’umanità e della storia”. E il messaggio della risurrezione non è comprensibile se non come uno sguardo in profondità, o come un discenimento di senso, del dramma della croce. Né questo dramma è comprensibile se lo si separa dal progetto storico di Gesù, come ricerca di giustizia in un mondo non solidale e oppressore. La fede nella Risurrezione è, alla fine, scoprire il senso del non senso. Credere in un profeta sconfitto e crederlo vincitore, non per ingenuità o per autoinganno consolatore, ma perché è stato possibile, in un qualche momento, approssimarsi ai valori ultimi e assoluti dell’esistenza e della storia, e fare, a partire da lì, una scommessa esistenziale. (Javier Giraldo M., S.J., Despedida a José Eduardo Umaña Mendoza).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 18 Aprile 2018ultima modifica: 2018-04-18T22:35:46+02:00da fraternidade
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