Giorno per giorno – 02 Dicembre 2016

Carissimi,
“Mentre Gesù si allontanava, due ciechi lo seguirono gridando: Figlio di Davide, abbi pietà di noi! Entrato in casa, i ciechi gli si avvicinarono e Gesù disse loro: Credete che io possa fare questo? Gli risposero: Sì, o Signore! Allora toccò loro gli occhi e disse: Avvenga per voi secondo la vostra fede. E si aprirono loro gli occhi” (Mt 9, 27-30). Non basta entrare in casa (immagine della comunità, della chiesa), e neppure semplicemente starci. Occorre, ad un certo punto, renderci conto del fatto che siamo ciechi, in relazione a lui, in primo luogo, e, per conseguenza, in rapporto a tutti gli altri e alla multiforme realtà che ci circonda. Dato che non sappiamo ancora scorgere in quelli i figli del nostro Padre comune, e perciò nostri fratelli, e in questa la nostra più vera casa comune, che Dio vuole senza confini, muri, barriere e fili spinati. Noi, invece, questa verità, l’evento di Gesù, l’abbiamo tradotta, spesso, in una religione tribale. E doveva essere, nella nostra testimonianza, riverbero della sua luce, “la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1, 9), che disvela il senso ultimo di ogni storia, la dignità di ogni persona, il valore di ogni creatura. Siamo ciechi, sì. E la nostra preghiera deve essere ancora, anche per noi, “Figlio di Davide, abbi pietà di noi!”. Lui, come allora, ci aprirà gli occhi.

Il nostro calendario ci porta la memoria di Ita Ford, Maura Clarke, Dorothy Kazel, Jean Donovan, martiri nel Salvador; quella di Jan van Ruusbroec, mistico e maestro spirituale. Ad esse aggiungiamo il ricordo di don Danilo Cubattoli (don Cuba), prete dei carcerati e mistico.

Il pomeriggio del 2 dicembre 1980, le quattro donne venivano fermate all’uscita dall’aeroporto di El Salvador da cinque soldati salvadoregni in borghese. Trascinate in un luogo isolato, erano poi state stuprate e uccise. Si trattava di quattro missionarie nordamericane: Ita Ford, nata il 23 aprile 1940, e Maura Clarke, il 13 gennaio 1931, erano entrambe della Congregazione di Maryknoll, Dorothy Kazel, nata il 30 giugno1939, era orsolina, e Jean Donovan, nata il 10 aprile 1953, era invece laica. Le prime erano da molto tempo impegnate nel lavoro con la gente più povera ed emarginata. Prima di arrivare nel Salvador di mons. Romero, Ita aveva lavorato in Cile, sotto la dittatura di Pinochet, Maura in Nicaragua, Dorothy con gli indiani americani dell’Arizona, mentre la giovane Jean, solo due anni prima, aveva abbandonato una carriera promettente per diventare missionaria. Alla sequela di Gesù, queste donne seppero amare i poveri, non esitando a dare la vita per loro. Nel 1984, i cinque uomini, riconosciuti colpevoli, sarebbero stati condannati a 30 anni di carcere. Tre di loro sono stati liberati nel 1998 per buona condotta.

Jan van Ruusbroec era nato nel 1293 a Ruusbroec (l’odierna Ruysbroeck), da cui prese il cognome. A undici anni, lasciata la famiglia, si stabilì presso uno zio, Jan Hinckaert, canonico della collegiata di Santa Gudula a Bruxelles, che curò la sua istruzione e la sua formazione spirituale. Ordinato presbitero nel 1317, fu per ventisei anni canonico a Santa Gudula, di cui divenne vicario. In questi anni compose diverse opere spirituali di grande valore, tra cui quello che è il suo capolavoro, “Le nozze spirituali”. Nel 1343, anche per l’inimicizia che si era procurato con le sue denuncie contro l’imborghesimento del clero e contro l’imperversare nella regione di pseudopredicatori fanatici, risolse, assieme allo zio e a un altro confratello, Vrank van Coudenberg , di ritirarsi a Groenendael (Valverde), nella foresta di Soignes, dove sorgeva un romitaggio, messso a disposizione dal duca Giovanni III di Brabante. Nel 1344 il vescovo di Cambrai concesse agli eremiti di erigere una cappella e nel 1349 Ruusbroec, per dare un assetto regolare alla vita della comunità, fondò una prepositura adottando la regola dei canonici regolari di sant’Agostino. Eletto priore, ricoprì tale carica fino alla morte. Si acquistò una grande fama come scrittore mistico, divenendo amico di Geert Groote e, forse, di Giovanni Taulero, sui quali esercitò una notevole influenza. Attraverso Groote influì anche sui Fratelli della vita comune e su Tommaso da Kempis. Morì il 2 dicembre 1381, dopo circa due settimane di grave malattia, assistito sino all’ultimo momento dai confratelli e dai discepoli, con 89 anni di età e ben 64 di sacerdozio.

Danilo Cubattoli era nato a San Donato in Poggio (Fi), il 24 settembre 1922, da Adele e Giuseppe Cubattoli. Tredicenne, entrò nel seminario minore di Montughi a Firenze, città di cui, dal 1931, era arcivescovo Elia Dalla Costa, personalità di primo piano della Chiesa italiana, per umanità, dottrina, capacità di dialogo e profondità di spirito. Durante gli studi nel seminario maggiore di Cestello, Danilo ricevette dai compagni il soprannome di Cuba, che gli restò per tutta la vita. Ordinato prete l’11 luglio 1948, visse la stagione d’oro della chiesa fiorentina, quella di don Giulio Facibeni, Lorenzo Milani, Renzo Rossi, Silvamo Piovanelli, Ernesto Balducci, Raffaele Bensi, Bruno Borghi, Giorgio La Pira. Ispirato da quest’ultimo, alla fine degli anni Quaranta, dette vita all’associazione “Obiettivo Giovani di San Procolo”, che aveva come finalità l’assistenza e l’avviamento professionale di giovani provenienti dai ceti più poveri. Negli anni Cinquanta fu cappellano presso le carceri di Santa Teresa e delle Murate e, successivamente, presso l’istituto di pena di Sollicciano. E fu proprio per alleviare la pena dei detenuti e favorirne il reinserimento, che don Cuba prese a occuparsi di cinematografia, collaborando negli anni successivi con registi come Pasolini, Fellini, Bellocchio, Olmi, Benigni. Amatissimo da tutti e specialmente dai più giovani per la sua carica di allegria e di entusiasmo, e per la coerenza cristallina della sua testimonianza, don Danilo, il “prete dei carcerati”, è morto a Firenze il 2 Dicembre 2006.

I testi che la liturgia propone oggi alla nostra riflesione sono tratti da:
Profezia di Isaia, cap.29, 17-24; Salmo 27; Vangelo di Matteo, cap.9, 27-31.

La preghiera del venerdì è in comunione con le comunità islamiche che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.

Bene, noi ci congediamo qui, offrendovi in lettura il brano di una riflessione del teologo Jon Sobrino, dedicata a “Il martirio delle religiose nordamericane Maura, Ita, Dorothy e Jean”, che potete trovare nel suo libro “Tracce per una nuova spiritualità” (Borla), e che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Davanti ai cadaveri di Maura, Ita, Dorothy e Jean sono sorti in noi gli stessi sentimenti provati tante altre volte, dall’assassinio di Rutilio Grande – quasi quattro anni fa – in poi. Allora i martiri erano un sacerdote gesuita, amico e compagno, e due contadini di Aguilares. Adesso i martiri sono due sorelle di Maryknoll, una sorella orsolina e una promotrice sociale della diocesi di Cleveland. Fra i due martirii, elenco interminabile di sacerdoti, seminaristi, studenti, contadini, maestri, operai, professionisti e intellettuali. Anche se la morte è già divenuta la triste compagna del popolo del Salvador, ogni volta che ci riuniamo per dare l’addio ai nostri martiri e testimoni della fede, sorgono gli stessi sentimenti; da un lato, indignazione e tristezza, e la preghiera del Salmo: “Fino a quando, Signore?”, dall’altro, la decisione, la fermezza e la promessa del Signore: “Rallegrati, Gerusalemme. La liberazione è vicina”. Questa volta, tuttavia, nessuno poteva nascondere una sensazion nuova e diversa; dall’assassinio di Mons. Romero, mai si era prodotta una simile commozione, né all’interno né fuori del paese, mai vi è stato un così universale ripudio e mai vi è stata la sensazione che la pazienza di Dio sia giunta al limite e che questi quattro martirii sono preannunzi della vicina liberazione. Noi 300 sacerdoti e religiose riuniti nell’Arcivescovado abbiamo udito la voce di Mons. Rivera, che suonava nuova e diversa, denunciando, smascherando e responsabilizzando i corpi di polizia e la giunta democratico-cristiana. La verità risuonava di nuovo limpida e chiara, e – con la verità – la fortezza e la decisione cristiana di restare uniti accanto al popolo massacrato, anche se di nuovo la Chiesa dovesse camminare verso la croce. Si ripeteva la prima pasqua cristiana: l’orrore, l’abbandono e la solitudine della croce di Gesù portarono i suoi discepoli a nascondersi nel cenacolo, ma lo spirito di Gesù – più forte della morte – aprì le porte e ne uscirono confortati e decisi a predicare la resurrezione e la vita, ad annunciare la buona notizia del regno dei poveri. L’Arcivescovado divenne un nuovo cenacolo; vi si rese presente il Dio della vita, più forte della morte, l’oppressione, la repressione, più forte di noi stessi, delle nostre paure, dei nostri timori. Vi si rese presente il paradosso cristiano, in presenza dei quattro cadaveri, davvero, dove abbondarono il crimine e il peccato sovrabbondarono la vita e la grazia. (Jon Sobrino, Il martirio delle religiose nordamericane Maura, Ita, Dorothy e Jean).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 02 Dicembre 2016ultima modifica: 2016-12-02T22:51:18+01:00da fraternidade
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