Giorno per giorno – 02 Novembre 2016

Carissimi,
“Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno” (Gv 6, 37-39). Questa è la buona notizia che riassume tutte le altre. Che dice la sostanza del vangelo. Che dichiara il nome di Gesù (Dio-salva) unica verità del Padre. Tutto ciò che non coincida con questa volontà di salvezza universale è menzogna del maligno, che tende ad allontanarci da Dio e dalla sua pratica. Tutto giunge a Gesù, tutto passa attraverso la sua azione salvifica; non siamo infatti noi che ci salviamo, né con le nostre professioni di fede, né con la pratica dei sacramenti, meno ancora per qualche nostra devozione: tutte queste cose hanno senso se attestano che la nostra salvezza promana dalla libera, indisponibile, sovrana, gratuita volontà di Dio, che si è regalato a noi nel Figlio, a rischio, ogni volta, di morte, di cui, per altro, anticipatamente, ci perdona. Questo fa, perché noi si apprenda a fare lo stesso – donarci, soccorrere, servire, perdonare -, partecipando così, già qui ed ora, della sua vita eterna. Al di là del qui ed ora, è problema suo. Di cui ha già svelato il fine e la fine, cioè il senza fine. Quando Lui sarà tutto in tutti, avendo eliminato in noi ogni traccia di male. E noi ci incontreremo buoni, meno buoni, ex-cattivi, a fare festa insieme per l’eternità. Senza annoiarci.

La Memoria di Tutti i [fedeli e infedeli] Defunti, che celebriamo oggi, è nata come memoria monastica dei fratelli defunti dell’abbazia di Cluny. Voluta dall’abate Odone, nel 998. Che poi, col tempo, i semplici cristiani si devono esser detti: perché ricordare solo i monaci? Noi siamo cristiani di serie B? E la Chiesa latina l’ha così estesa a tutti quanti. Magari calcando un po’ troppo la mano sulla faccenda delle indulgenze, che l’avrebbe resa invisa ai fratelli riformati. Ma, oggi, sono cose superate. Noi celebriamo la comunione di amore e di preghiera che lo Spirito tesse tra noi tutti, vivi e defunti, superando ogni barriera di tempo, di spazio, di religione, di cultura.

Il calendario ecumenico ci trae oggi la memoria di Mor Gregorius Gheevarghese, pastore della Chiesa Ortodossa Siriaca Malankarese.

Gheeevarghe era nato il 15 giugno 1848 a Mulanthuruthy (India), da Mariam e Mathai Pallithatta Thanagattu, una famiglia di ecclesiastici della locale Chiesa ortodossa siriaca. Fin da bambino si distinse per la vita disciplinata, l’amore alla preghiera e la pratica del digiuno. A dieci anni fu ordinato diacono, e, negli anni seguenti, in rapida successione, ricevette l’ordinazione ai differenti gradi dello stato presbiterale. Il 7 aprile 1872 divenne monaco, assumendo il nome di Gregorius, e nel 1876, ventottenne, fu consacrato vescovo della diocesi di Niranam e Thumpamon dal Patriarca Pietro IV, in conformità alla decisione presa dal sinodo di Mulanthuruthy. Mor Gregorius visse gli anni del suo ministero pastorale, dedito alla preghiera, alla meditazione e alla cura sollecita del gregge affidatogli. Morì in fama di santità il 2 Novembre 1902, a soli cinquantaquattro anni. Nel 1947, il sinodo della Chiesa ortodossa malankarese, in risposta alla pressione popolare, decise di procedere alla sua canonizzazione. I suoi resti mortali sono sepolti nella chiesa di San Pietro, a Parumala, nello Stato del Kerala (India).

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono propri della Memoria dei Defunti e sono tratti da:
Libro di Giobbe, cap. 19 1.23-27; Salmo 27; Lettera ai Romani, cap. 5, 5-11; Vangelo di Giovanni, cap.6, 37-40.

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano l’Assoluto della loro vita nella testimonianza per la pace, la fraternità e la giustizia.

Ed è tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano del teologo olandese Edward Schillebeeckx, tratto dal suo libro “Narrare il Vangelo” (Queriniana). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
È l’assurdità della morte l’ultimo termine della vita umana? Nella sua visione del cielo nuovo e della terra nuova, di cui la risurrezione di Gesù è stata il motivo ispiratore, il lieto annunzio del vangelo dice: No! Esiste effettivamente un futuro, perfino per chi è morto. Non è una certezza calcolabile che possiamo inserire nella programmazione di una vita umana manipolabile; è una speranza fiduciosa che si fonda sulla preghiera e professione di fede: “Mio Dio e mio tutto!”. Chi vive nella fede nel Dio vivente si può affidare a Dio anche nell’assurdità della morte. L’assurdità della morte rimane, come rimane la sicurezza nella mano di Dio. Il devoto dell’Antico Testamento oscillava ancora nei suoi salmi tra queste due certezze. Dio, che era amore ma anche giustizia, e che perciò riversava sul suo popolo sia ira che misericordia, non si era ancora definitivamente e decisivamente rivelato. Il piatto della bilancia non si era ancora inclinato a favore del verbum irae o del verbum misericordiae. In Cristo sappiamo che il giudizio finale di Dio sul mondo è una parola di misericordia e di riconciliazione gratuita: immeritata sovrabbondanza di senso di fronte alla nostra sovrabbondanza di nonsenso. Il fedele ora sa che la vivente presenza di Dio è più forte, penetra più profondamente dell’assurdità della morte; perciò si affida al suo Dio. In questo Gesù ci ha preceduto, ha reso possibile anche per noi questa fiducia. La nostra fede nella risurrezione e l’attesa della nostra risurrezione non abbracciano di più. Ma questa è una sovrabbondanza inimmaginabile. È un essere disponibili ad un avvenimento che non è identico all’assurdo avvenimento della morte: è l’evento dell’essere divino di Dio stesso, che accade anche all’uomo già morto e che è accaduto a Gesù, come promessa per noi. Il nostro essere disponibili a questo avvenimento finale si fonda perciò sull’evento già realizzato in Gesù Cristo. Possiamo descrivere questo evento con l’aiuto di differenti modelli di interpretazione, ma essi sono tutti secondari. La vittoria sulla morte è fondamentalmente l’eternamente giovane evento di Dio stesso, interiorizzato nella donazione dell’uomo al suo Dio nonostante l’assurdità della morte: una donazione che nella morte giunge a una radicale autoespropriazione nella quale Dio diventa tutto in tutti. Ma questo diventare ‘tutto in tutti’ di Dio non sta, incomprensibilmente, in concorrenza con il massimo compimento del nostro essere umano, che si è donato. In che modo noi stessi giungiamo, in tutto questo, al massimo autodispiegamento in comunione con altri nello shalom di un mondo giunto a perfezione, questo è il mistero di Dio, che in quanto mistero si rivelerà anche per noi come una eterna sorpresa. (Edward Schillebeeckx, Narrare il Vangelo).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 02 Novembre 2016ultima modifica: 2016-11-02T22:32:13+01:00da fraternidade
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