Giorno per giorno – 29 Ottobre 2016

Carissimi,
“Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: Cédigli il posto. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto” (Lc 14, 8-9). Gesù non sta dettando una regola di galateo (come, magari, a qualcuno, farebbe comodo), ci sta insegnando come stare nella chiesa. O, meglio, come si sta nella chiesa, se vogliamo che essa sia sacramento del Regno. Le nozze, il banchetto, prefigurano, infatti, le relazioni nuove del Regno che siamo chiamati a testimoniare. Nelle nostre celebrazioni, ma poi, soprattutto, nella vita. Celebrazioni sempre più ugualitarie, che tentano di recuperare la semplicità delle origini, il contrario del trionfalismo caro ai tradizionalisti, che affonda nel fasto dei culti pagani: noi qui ci riusciamo abbastanza, con la gente che ha diritto alla Parola, e che, durante la liturgia eucaristica, si dispone attorno all’altare, fianco a fianco del presbitero o del vescovo, a formare, anche visibilmente, il corpo unico e compatto della comunità. Più difficile è restare così, anche fuori, finita la celebrazione, riconoscere in tutti le membra di quel corpo di Cristo che abbiamo disegnato poco prima, e non per gioco. A tutti tributare rispetto e venerazione. Di tutti, a partire dai più deboli, prendersi cura, per non essere blasfemi. O, in altre parole, peccare contro lo Spirito. Che è il peccato che Dio non perdona.

Oggi il nostro calendario ci porta la memoria di Mons. Christophe Munzihirwa, martire in Congo; di Manuel Chin Sooj e compagni, catechisti, martiri in Guatemala; e di Valmir Rodrigues de Souza, martire del lavoro infantile in Brasile.

Christophe Munzihirwa Mwene Ngabo era nato a Lukumbo, nei pressi di Walungu (Kivu, Congo) nel 1926. Dopo essere stato ordinato prete nel 1958, nel 1963 chiese e ottenne di entrare nella Compagnia di Gesù. Dopo gli studi all’università di Lovanio, in Belgio, rientrò in Zaire, dove gli fu affidata la direzione spirituale dei gesuiti in formazione a Kimweza. Nel 1971 visse la stagione della contestazione studentesca che sfociò nell’arruolamento forzato degli studenti nelle file dell’esercito. Anche se per la sua età avrebbe potuto essere dispensato, scelse di condividere volontariamente l’arruolamento con i suoi studenti. Nel 1975 fece la sua professione religiosa solenne. Dal 1980 fu per sei anni provinciale dei gesuiti dell’Africa Centrale (Zaire, Ruanda e Burundi). Nel 1986 venne nominato vescovo coadiutore della diocesi di Kasongo, di cui divenne titolare quattro anni più tardi. Nel 1994 partecipò a Roma al Sinodo Speciale per l’Africa. Nominato arcivescovo di Bukavu, nel 1995, visse da vicino il dramma di centinaia di migliaia di rifugiati ruandesi. Durante i successivi due anni dedicò ogni sforzo per additare un cammino di pace alle forze in conflitto nella regione dei Grandi Laghi. Spirito libero, Mons. Munzihirwa si caratterizzò per uno stile di vita poverissimo e per il coraggio profetico con cui seppe in ogni occasione denunciare violenze, corruzione, ruberie, nonché i giochi e gli interessi delle grandi potenze, che agivano dietro le quinte. Fu ucciso a bastonate da alcuni soldati delle milizie ruandesi il 29 ottobre 1996.

Di Manuel Chin Sooj e dei suoi due compagni, rimasti senza nome, sappiamo solo che erano contadini e catechisti, membri del movimento organizzato dal sacerdote Andrés Girón, che lottava per ottenere terre per migliaia di contadini. Dei tre, sequestrati il 29 ottobre 1987, riapparve solo il cadavere di Manuel, con i segni di orribili torture, riconosciuto dai famigliari nell’ospedale di Mazatenango, nel dipartimento di Suchitepéquez. Rimase sconosciuta la sorte degli altri catechisti.

Valmir Rodrigues de Souza era um bambino di otto anni della regione di Barreiras (Bahia). Il 29 ottobre 1991, Toinho Chorenga, il fazendeiro per cui lavorava, lo massacrò di botte per non aver impedito che la ruota di un carro restasse presa in una buca. È simbolo di tutti i bambini vittime del lavoro infantile e della violenza nei campi.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Filippesi, cap.1, 18b-26; Salmo 42; Vangelo di Luca, cap.14, 1.7-11.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura alcuni stralci di un articolo del teologo Jon Sobrino, che documenta le radici in cui affonda il martirio di Mons. Christophe Munzihirwa e della sua gente. L’articolo, con il titolo “Una guerra dimenticata che nessuno vuole fermare” è apparso in Adista Documenti n. 8 del 24 gennaio 2009. Ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Nelle montagne orientali del Congo c’è coltan e niobio, oltre a oro, diamanti, rame e stagno. Il coltan, abbreviazione di columbo-tantalio, si trova in terreni di tre milioni di anni. Si usa con il niobio per fabbricare i condensatori per il flusso elettrico dei telefoni cellulari. Cobalto e uranio sono elementi essenziali per le industrie nucleare, chimica, aerospaziale e di armi da guerra. Circa l’80% delle riserve mondiali di coltan è in Congo. Per il controllo di questi minerali, che sono scarsi, c’è una guerra tremenda. I poteri multinazionali vogliono controllare l’attività mineraria della regione. Conclusione: “Il motivo del genocidio è dato da questi minerali ricercati dalle imprese”, che stanno anche distruggendo la seconda area verde del pianeta dopo l’altrettanto minacciata Amazzonia. Nel 1996, gli Stati Uniti hanno favorito l’invasione militare dei vicini Rwanda e Uganda. […] Le imprese dell’alta tecnologia trasformano il coltan nel prezioso tantalio in polvere e lo vendono a Nokia, Motorola, Compaq, Sony e ad altri fabbricanti di telefoni cellulari e di altri strumenti tecnologici “di punta”. […] Reti criminali, preparate e mantenute da queste multinazionali, praticano estorsione, corruzione, violenze e stragi. E ottengono benefici senza precedenti con la ricchezza mineraria del Congo. Ogni giorno escono dalla Repubblica Democratica del Congo fino a 6 milioni di dollari di cobalto grezzo. Tuttavia, queste compagnie non appaiono quasi mai nei rapporti sui diritti umani. […] Si sono fatte grandi fortune vendendo prodotti elettronici di alta tecnologia destinati ai nordamericani e agli europei, ai giapponesi e ai “nuovi ricchi” dell’America Latina, della Cina e dell’India. Non si può essere umani, né nel Salvador né a Roma, se non mettiamo al centro oggi il dolore del Congo. […] Per quanto riguarda la Uca (Università Centroamericana), mentre ricordiamo i nostri martiri gesuiti, sarebbe da irresponsabili non ricordare i gesuiti del Congo e i loro martiri. Un gesuita, Christophe Munzihirwa, arcivescovo di Bukavu, è stato assassinato nel 1996 per la sua difesa di centinaia di migliaia di rifugiati. Lo chiamano “il san Romero d’Africa”. […] La realtà del Congo smaschera la falsità del “mondo dell’abbondanza, civile e democratico”, lo accusa e lo giudica… Il nostro amico Luis de Sebastián ha scritto un impressionante libro dal titolo: “Africa, peccato d’Europa”. È bene ed è necessario ricorrere al termine religioso di “peccato”. Non è politicamente corretto, ma il linguaggio civile, corretto e democratico, non ha trovato una parola equivalente. In teologia, “peccato” è “ciò che dà la morte”: l’ha data al figlio di Dio e continua a darla a milioni di suoi figli e figlie. (Jon Sobrino, Una guerra dimenticata che nessuno vuole fermare).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 29 Ottobre 2016ultima modifica: 2016-10-29T22:28:23+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo