Giorno per giorno – 11 Ottobre 2016

Carissimi,
“Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria. Stolti! Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno? Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro” (Lc 11, 39-41).
È la parola severa di Gesù rivolta al fariseo (il religioso) che è in noi, alla cui mensa non si nega, come, men che meno, si nega alla mensa di quanti noi giudichiamo peccatori. In altre parole, Gesù accetta di fare eucaristia con noi, nella speranza che noi si apprenda da lui la pratica della misericordia e si faccia così di essa la sua celebrazione. Nella chiesa (anche noi, perciò), nei modi più diversi, si rischia di ridurre spesso la commensalità con Gesù, vuoi a un rito, più o meno soggetto a minuziose prescrizioni (per nostra disperazione e legittima soddisfazione dei liturgisti, che ci dedicano la vita), di cui ci sentiamo fruitori privilegiati – noi battezzati (come Gesù non era – certo, nel senso delle abluzioni – , quando si mise a tavola con il fariseo, scandalizzandolo per questo), vuoi ad una qualsiasi riunione, quasi mondana, in cui ci si lascia facilmente distrarre e portare a sguardi e/o chiacchiere, che esprimono, tanto quanto il rito, nel suo gelo ed esteriorità, l’avidità (dell’io giudicante) e la cattiveria (verso l’altro giudicato), denunciate da Gesù. A rimedio delle quali, c’è un solo modo, suggerito dallo stesso Gesù, l’equivalente di una vera e propria confessione sacramentale, che consiste nel condividere le nostre sostanze e il nostro stesso essere con i più poveri, non semplicemente come gesto isolato e/o volontaristico, ma come progetto di vita: “ed ecco, per voi tutto sarà puro”.

Oggi il calendario ci porta la memoria padre João Bosco Penido Burnier e Tutti i Martiri dell’America Latina. Ricordiamo anche, in questa data, l’Apertura del Concilio Vaticano II.

Era la sera dell’11 ottobre 1976. Due contadine, Margarida e Santana, erano sotto tortura nella prigione del presidio di polizia di Ribeirão Bonito, nel Mato Grosso, località del latifondo prepotente, del bracciantato semischiavo, della brutalità poliziesca. La Comunità celebrava l’ultimo giorno della novena della patrona, N.S. Aparecida. E, in quel giorno erano arrivati in paese il vescovo, dom Pedro Casaldáliga e padre João Bosco Penido Burnier, un gesuita missionario tra gli Indios Bakairi. Informati di quanto stava succedendo, i due si recarono al commissariato per intercedere a favore delle due donne torturate. Quattro poliziotti li aspettavano sul posto. Solo un accenno di dialogo: Sapete che non potete fare questo. Dovete smetterla. Come tutta risposta, uno degli agenti colpì il p. João Bosco prima con un pugno, poi con il calcio della pistola infine gli sparò. Durante l’agonia che seguì, il prete riuscì a sussurrare: Offro la mia vita per il CIMI (Consiglio Indigenista Missionario) e per il Brasile. Poi invocò il nome di Gesù, ripetutamente, e ricevette l’unzione degli infermi. Fu trasportato a Goiânia e morì il giorno dopo, festa della Vergine Aparecida, coronando così con il martirio una vita santa. Le sue ultime parole furono le stesse del maestro: “Abbiamo compiuto la nostra missione”. In questo giorno le Comunità cristiane dell’America Latina uniscono alla celebrazione del martirio di p. João Bosco, la memoria di tutti i martiri del nostro continente. Memoria di uomini, donne e perfino di bambini, di differenti razze, fedi e culture, assassinati per il solo fatto di lottare per un mondo più giusto e fraterno, per affermare i diritti degli indigeni, dei negri, delle minoranze, dei lavoratori, contro la violenza e la tortura, per la riforma agraria, la protezione dell’ambiente e la pace.

“Spesso avviene che ci vengano riferite le voci di alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano però i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio. Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa. A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo”.. È un passo del discorso “Gaudet Mater Ecclesia” con cui, l’11 ottobre 1962, Giovanni XXIII inaugurava il Concilio Vaticano II, questa rinnovata e gioiosa Pentecoste della Chiesa, che qualcuno, più o meno dissimulatamente, vorrebbe dimenticare, archiviare, o anche solo annacquare. E che invece è ancora tutta da incentivare e da compiere.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Galati, cap.5, 1-6; Salmo 119; Vangelo di Luca, cap.11, 37-41.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

Oggi il maestro buddhista Thich Nhat Hanh compie novantanni, essendo nato a Thūra, in Vietnam, l’11 ottobre 1926. “Giovanissimo, a soli sedici anni, aveva lasciato la famiglia per entrare in un monastero e da allora ha dedicato la vita allo studio e alla pratica dello Zen. Il Vietnam è il solo paese in cui il Buddhismo Mahayana sia fiorito assiemne al Theravada in comprensione e tolleranza reciproche. Ecco perché dall’insegnamento di Thich Nhat Hanh emerge una meravigliosa sintesi di entrambi i sistemi. Il suo insegnamento è profondamente segnato dalla guerra, i drammi, i problemi che il mondo moderno è chiamato ad affrontare e di cui il Vietnam, con la sua storia degli scorsi decenni è stato uno specchio ghiacciante. Durante la guerra Thich Nhat Hanh ha rinunciato all’isolamento monastico per aiutare attivamente il suo popolo, e da allora ha sempre affiancato alla pratica religiosa un impegno sociale e politico per la pace. Oggi vive in Francia dove dirige una piccola comunità di attivisti per la pace, scrive, insegna, si occupa di giardinaggio e si adopera a favore dei profughi di tutto il mondo”. Nel novembre del 2014 è stato colpito da una seria emorragia cerebrale, dalla quale tuttavia si sta lentamente ma costantemente riprendendo. Dei suoi rapporti con i cristiani suole dire: “I cristiani sono miei fratelli. Non voglio farne dei buddhisti. Voglio aiutarli ad approfondire la loro tradizione”.

Ed è a Thich Nhat Hanh, che scegliamo di cedere la parola, nel congedarci, offrendovi una citazione tratta da un suo scritto che troviamo in rete sotto il titolo “La pratica della preghiera”, che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Mandate il vostro amore a tutti coloro che sono in pericolo. Non dovete pensare che possano badare del tutto a se stessi. Noi ci influenziamo a vicenda, moltissimo. Per la felicità vostra e dei fratelli e sorelle nel Dharma, oltre che della vostra famiglia, mandate ovunque il vostro amore. Ad ogni passo mando compassione a me stesso ed ai fratelli e alle sorelle vicini e lontani. Mi prendo cura di me e anche di loro. Mandare amore alle persone non è superstizione, è qualcosa di scientifico. Quando ci sediamo insieme creiamo una grande energia collettiva, che può aiutare molte persone, vicine e lontane. La coscienza collettiva può essere guidata dalla comprensione o dall’ignoranza: più spazio avrà l’ignoranza più le malattie affliggeranno i nostri corpi e le nostre menti. Al contrario, la comprensione sviluppa in noi l’amore compassionevole e crea le condizioni adatte per la guarigione e la salute. Nella “medicina dell’unità della mente” la coscienza collettiva gioca un ruolo significativo per la realizzazione della felicità nostra e dei nostri cari. Dobbiamo cercare la cause primarie dei nostri malanni, la maggior parte dei quali ha origine nella coscienza deposito collettiva. Nelle facoltà di medicina non si insegna come entrare nel regno dell’inconscio. L’inconscio degli psicologi occidentali è solo una piccola parte delle coscienza collettiva e la cura della maggioranza delle malattie deriva proprio da questa. Se vogliamo dare cura dobbiamo preoccuparci di creare una buona coscienza deposito. Praticate la meditazione seduta, camminata, il parlare e il mangiare consapevoli. Annaffiate i semi di pace e gioia in voi, ogni giorno. Gioite del momento presente e condividete pace e amore con gli altri. Questa è vera preghiera. (Thich Nhat Hanh, La Pratica della Preghiera).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 11 Ottobre 2016ultima modifica: 2016-10-11T22:50:45+02:00da fraternidade
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