Giorno per giorno – 12 Ottobre 2016

Carissimi,
“Vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: Non hanno vino. E Gesù le rispose: Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora. Sua madre disse ai servitori: Qualsiasi cosa vi dica, fatela” (Gv 2, 1-5). Il vangelo di oggi si giustifica per il fatto che, qui da noi, è la festa di N. S. Aparecida, patrona del Brasile. E Dio solo sa quanto ci sia bisogno di qualcuno che ci dia una scrollata, ci svegli e ci aiuti a darci noi stessi una mano, nella situazione in cui ci siamo venuti a trovare da qualche mese (e forse anche più) a questa parte, quando, dentro e fuori il Paese, qualcuno ha deciso che la “festa” (poca cosa, per carità, ma sempre qualcosa, qualche diritto e qualche spicciolo in più) dovesse terminare, e i poveri tornassero a fare i poveri e i ricchi, se possibile, ne uscissero ancora più ricchi, marcando nuovamente le distanze dalla plebe. Innescando, prima, un golpe parlamentare e, subito dopo, cambiando, per facilitare le cose, la Costituzione (si sta parlando di noi, non di voi, di cui sappiamo poco). Con un paio di rabbiosi pastori fondamentalisti a far da cappellani alla corte dell’Erode da poco insediato, a cui, all’ultima ora si aggiungono persino due cardinali, timorosi forse di perdersi qualche generoso benefattore. Ora, che disobbediscano a Maria (“Fate quello che egli vi dirà”) i primi, nulla da ridire (dato che, tradizionalmente, non vedono di buon occhio nostra Signora), ma, un po’ perplessi ci lasciano i secondi (in questa chiesa di papa Francesco, per giunta). Ma, così è la vita. Noi, stamattina, ci dicevamo che, nella misura del possibile, continueremo a fare la nostra parte, riempendo le giare con l’acqua di cui disponiamo, e che Gesù saprà, al momento giusto, trasformare in vino. Per il benessere e l’allegria della nostra gente. Anche se può essere che ci voglia un po’ di tempo.

In Brasile, oggi, è la festa di N.S. Aparecida, che è chiamata anche la Vergine piccolina, Madre dei Poveri, Patrona del Brasile.

Contrariamente a quello che può far pensare il nome (aparecida = apparsa), non si tratta della storia di un’apparizione mariana. La piccola statua in terracotta della Vergine Madre di Gesù, che è venerata in Brasile con questo titolo, fu trovata da alcuni pescatori nelle acque del fiume Paraíba nell’anno 1717, nell’entroterra dello Stato di São Paulo, a 160 chilometri dalla capitale. Per quasi vent’anni restò custodita, con affetto e devozione, nella casa di uno dei pescatori. Nel 1737 fu deciso di collocarla in una cappella. Più tardi, nel 1745, fu costruita una chiesa, poi una basilica (1888), fino a giungere alla basilica attuale, consacrata nel 1980, meta di pellegrinaggi e luogo di preghiera.

Il nostro calendario ci porta anche la memoria di Elisabeth Fry, quacchera, amica dei carcerati e riformatrice delle prigioni, e di don Luigi di Liegro, prete dalle mani sporche.

Elizabeth Gurney era nata a Norwich, nel Norfolk, in Inghilterra, il 21 maggio 1780, in una famiglia quacchera. Diciottenne, durante un culto della Societa degli Amici, dall’amica Deborah Darby si era sentita rivolgere le parole: “Tu sei nata per essere luce per i ciechi, parola per i muti, piede per gli zoppi”. Ora, lei sapeva che quello non era semplicemente un messaggio della sua amica, ma la voce dello Spirito. Però non sapeva bene come e da dove cominciare. Decise di aprire una scuola domenicale, in casa. Dapprima fu solo per un ragazzino del vicinato, ma presto sarebbe stata una banda di un’ottantina di elementi ad invaderle la casa. La ragazza dava loro da mangiare, vestiti, e gli insegnava a leggere usando la Bibbia. A vent’anni sposò Joseph Fry, banchiere e anche lui quacchero osservante e si trasferì nella sua casa, nei pressi di Londra. Insieme ebbero undici figli, ma lei potè ugualmente diventare predicatrice famosa in seno alla Società. Nel 1812 fu per la prima volta a visitare la prigione femminile di Newgate e ne fu sconvolta. Le detenute vivevano ammucchiate coi loro bambini in piccole celle, dove dormivano sul pavimento, cucinavano da sé quel che potevano e provvedevano al bucato. Cominciò allora a dedicarsi alla missione di alleviare le condizioni di vita di quelle infelici, non solo a Newgate, ma presto in tutto il Paese e più tardi nel resto dell’Europa, sollevando il problema della riforma del sistema penitenziale. Nel frattempo, Elizabeth contribuì a creare un rifugio per i senzatetto, a Londra, fondò un’associazione di volontari con la finalità di visitare i quartieri più poveri, offrendo soluzione ai casi più difficili, aprì una scuola per infermiere, e via di questo passo. Poi, sessantacinquenne, il 12 ottobre 1845, riposò in pace.

Luigi Di Liegro nasce a Gaeta, in provincia di Latina, il 16 ottobre 1928, ultimo di otto figli, di una famiglia che conobbe la sofferenza, le umiliazioni e lo sfruttamento della condizione propria degli emigrati. Entrato in seminario giovanissimo, fu ordinato sacerdote il 4 aprile del 1953, ed esercitò il suo primo incarico pastorale nelle parrocchie di borgata. Nel 1958 si recò in Belgio per approfondire i temi della pastorale del lavoro e per conoscere da vicino le condizioni di vita e di sfruttamento degli emigrati italiani che lavoravano nelle miniere del posto. Nel 1964 fu nominato responsabile dell’Ufficio pastorale della diocesi. Ricoprendo questo ufficio, organizzò nel 1974 il convegno “sui mali di Roma”, che denunciò la pessima amministrazione democristiana della città, nonché l’ostilità e l’indifferenza di gran parte della comunità cristiana nei confronti dei poveri. Nel 1979 diede vita alla Caritas Diocesana di Roma. Scontrandosi con la resistenza e l’aperta avversione di numerosi ambienti, dedicherà gli anni successivi ad organizzare servizi che rispondessero alle necessità delle categorie più deboli ed emarginate della popolazione: anziani, malati, senza tetto, nomadi, immigrati, tossicodipendenti e aidetici. La sua azione si estese oltre i confini della sua diocesi e del suo Paese: in Irpinia, in Armenia, nel Sud Est Asiatico, in Palestina e in Albania. Nell’estate del ’97, fu ricoverato all’Ospedale S. Raffaele di Milano per una crisi cardiaca. Il 12 ottobre 1997, una nuova crisi ne provoca la morte. Aveva detto un giorno: “Non si può amare a distanza, restando fuori dalla mischia, senza sporcarsi le mani, ma soprattutto non si può amare senza condividere”. Lui l’ha fatto.

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono propri della festività odierna e sono tratti da:
Libro di Ester, cap.5, 1b-2; 7, 2b-3; Salmo 45; Libro dell’Apocalisse, cap.12, 1.5.13a.15-16a; Vangelo di Giovanni, cap.2, 1-11.

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti, lungo i cammini più diversi, perseguono un mondo di giustizia, fraternità e pace.

Da ieri sera, al tramonto, i nostri fratelli ebrei sono entrati nel 10 del mese di Tishri, quando si celebra Yom Kippur, il “Giorno del Perdono”, Shabbat shabbaton, il “Sabato dei sabati”, la maggior festività giudaica, quella di cui il libro del Levitico dice “In quel giorno si compirà il rito espiatorio per voi, al fine di purificarvi; voi sarete purificati da tutti i vostri peccati, davanti al Signore” (Lv 16, 30). È durante questa festa, che, nel kodesh ha-kodashim, il “Santo dei santi” del Tempio, per una sola volta durante l’anno, il sommo sacerdote, pronunciava il Nome di Dio (Jhwh), invocando per tutto il popolo il perdono dei peccati. L’intera giornata, ancora oggi, è caratterizzata dall’astensione da ogni tipo di lavoro, dal digiuno e dalla preghiera che, in sinagoga, dura quasi senza interruzione da mattina a sera. L’augurio che ci si scambia oggi è: “G’mar Hatimah Tovah” letteralmente “Un buon sigillo finale”, intendendo: “Possa tu essere inscritto nel Libro della Vita”. Amen!

Oggi compirebbe 120 anni il poeta Eugenio Montale. Ce lo fa sapere un’amica di lí, che ci manda anche una sua poesia dal titolo “Ho sceso dantoti il braccio”. E noi scegliamo di proporvela come nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale / e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. / Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio. / Il mio dura tuttora, né più mi occorrono / le coincidenze, le prenotazioni, / le trappole, gli scorni di chi crede / che la realtà sia quella che si vede. // Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio / non già perché con quattr’occhi forse si vede di più. / Con te le ho scese perché sapevo che di noi due / le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, / erano le tue. // (Eugenio Montale, Ho sceso dantoti il braccio).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 12 Ottobre 2016ultima modifica: 2016-10-12T22:34:00+02:00da fraternidade
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