Giorno per giorno – 30 Settembre 2016

Carissimi,
“Guai a te, Corazìn, guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che avvennero in mezzo a voi, già da tempo, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, nel giudizio, Tiro e Sidòne saranno trattate meno duramente di voi” (Lc 10, 13-14). Stasera, nella chiesetta dell’Aparecida, ce lo siamo detti una volta di più, dato che la tendenza è di dimenticarlo e l’immagine del dio minaccioso ce la portiamo dentro da sempre e alle religioni fa persino comodo sbandierarla: qui non si tratta di minacce, si tratta di un lamento sulle città del lago (ma anche dei mari e dei monti). A non convertirci, siamo noi che ci perdiamo, e non perché Lui finirà per sfogare su di noi le sue vendette, ma solo perché avremo scelto ciò che ci fa male. Ora, lui è venuto e viene per dissuadercene, e quando non ci riesce, ci piange su. Dato che i risultati sono quelli che ci vediamo intorno. Le civiltà peggiori, quelle che per Israele avevano i nomi dei tradizionali nemici, se avessero conosciuto il messaggio portato da Gesù, si sarebbero presto convertite. Non tanto ad un’altra religione, ma ad altre scelte di vita. Che tutelassero la vita, affermassero la giustizia, praticassero la solidarietà, esprimessero misericordia. Queste sono parole indirizzate a noi, in questo nostro tempo, in questo nostro Paese. Ogni giorno siamo giudicati (e condannati) dai nostri stessi atti, dalle valanghe di odio, dalle menzogne, dall’ipocrisia, dalla falsa giustizia, selettiva e di classe, che ci coinvolgono, fino a sommergerci. Lui aspetta solo che gli si dia occasione per riscattarci, redimerci, salvarci. Inaugurando tempi nuovi.

Oggi è memoria di Girolamo, monaco al servizio della Parola e padre della Chiesa. Il martirologio latinoamericano ricorda Jorge Luis Cerrón, universitario, martire dela solidarietà tra i giovani e i poveri, a Huancayo, in Perù.

Nato nel 347 da genitori cristiani a Stridone, tra la Dalmazia e la Pannonia, Sofronio Eusebio Girolamo compì a Roma gli studi di grammatica, retorica e filosofia. Ricevuto il battesimo, da papa Liberio, si recò a Treviri, nelle Gallie, per perfezionare gli studi teologici. Nel 373 fu ad Aquileia e poi ad Antiochia di Siria, che lasciò per stabilirsi come eremita nel deserto di Calcide, portandosi tuttavia appresso tutta la sua ricchissima biblioteca. Fu in questo periodo che Girolamo studiò l’ebraico e maturò il suo tormentato distacco dalla vita mondana e dalla cultura classica. Lui stesso in una lettera racconta di essersi trovato in sogno di fronte ad un giudice che gli chiedeva conto della sua identità ed avendogli egli risposto di essere cristiano, si sentì replicare: “Bugiardo, tu sei ciceroniano, non cristiano”. Si diede perciò ad una vita di preghiera, di studi rigorosi e di penitenza e venne ordinato sacerdote. Tornato a Roma nel 382, fu nominato segretario di papa Damaso, che lo incaricò della traduzione della Bibbia in latino, a partire dai testi originali. La sua traduzione è conosciuta ancora oggi come “Vulgata”. Ma non fu solo uno studioso. Fondò un luogo di preghiera e di studio rigoroso delle Sacre Scritture, in cui si impegnarono alcune donne dell’aristocrazia romana, tra cui Marcella, Paola e la figlia di quest’ultima, Eustochio, tutte desiderose di vivere la fede cristiana in maniera non banale. Cosa non facile, dopo che l’imperatore Teodosio aveva fatto del cristianesimo la religione di stato, spalancando le porte della Chiesa ad ogni pratica di corruzione e di opportunismo. Fenomeni che Gerolamo non esitò a denunciare e combattere con passione e veemenza. Alla morte di Damaso, nel 384, Girolamo sperò, forse, ma inutilmente, di succedergli. Fece allora ritorno in Palestina, a Betlemme, accompagnato da Paola ed Eustochio, con cui fondò un monastero maschile e uno femminile, oltre ad un ospizio per i pellegrini. Di carattere irruento e intrattabile entrò in polemiche dottrinali, non senza venature personali e accenti d’intolleranza, con molti grandi del suo tempo, compresi Giovanni Crisostomo, Ambrogio, Basilio e Agostino. Lasciò numerose opere scritte (lettere, trattati di esegesi, commenti biblici…). I suoi difetti temperamentali non sminuiscono in ogni caso la grandezza della sua opera. È chiamato “Dottore massimo delle Scritture”. Morì a Betlemme nel 420.

Jorge Luis Cerrón era uno studente universitario di 24 anni, prossimo a laurearsi in ingegneria agraria, all’università di Huancayo, capoluogo della regione di Junin e della provincia di Huancayo, in Perù, quando fu assassinato, il 30 settembre 1991, da una formazione di Sendero Luminoso. Il fatto che fosse membro attivo della Pastorale Giovanile e della Commissione arcidiocesana di Azione Sociale, oltre che, per la sua specialità di agronomo, collaboratore della Caritas nell’appoggio ai contadini e al Club delle madri, costituì motivo sufficiente perché Sendero Luminoso lo condannasse a morte. I compagni lo ricordano come umile, generoso, instancabile amico, con un’inesauribile riserva di buon umore per sollevare gli spiriti. Quando la violenza della repressione governativa o quella di Sendero Luminoso si scatenano, Jorge Luis è sempre pronto nella difesa della giustizia e della vita. E lo fa, senza timore, pubblicamente. Le sue riflessioni e le sue poesie sulla realtà sociale e il modo di essere cristiani sono ben noti nella cerchia degli amici.Al suo funerale, presieduta dall’Arcivescovo di Huancayo, sono presenti i contadini, i suoi coetanei, le madri. Con il cuore a pezzi, portano a spalle la bara di Jorge Luis, come fosse un trofeo, lungo quindici isolati, fino a il cimitero. Dove la paura ancora paralizza, serve il il suo esempio di martire per la causa di Gesù, che è la causa dei suoi fratelli, a rianimare e dare forza.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Giobbe, cap.38,1,12-21; 40, 3-5; Salmo 139; Vangelo di Luca, cap.10, 13-16.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

La memoria del sacrificio di Jorge Luis Cerrón ci offre lo spunto per proporvi, nel congedarci, un brano del teologo peruviano Gustavo Gutièrrez, tratto dalla sua difesa della tesi di dottorato, che ha come titolo “Teologia della Liberazione”. Lo troviamo nel sito di Giovani e Missione ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Sapere che il Signore ci ama, accogliere il dono gratuito del Suo amore è la sorgente profonda della gioia di colui che vive della Parola. Comunicare questa gioia è evangelizzare. È trasmettere la “Buona Notizia” dell’amore di Dio che ha cambiato la nostra vita. Annuncio in certo modo gratuito, come gratuito è l’amore che ne è all’origine. Al punto di partenza della missione evangelizzatrice c’è dunque sempre un’esperienza del Signore, un’esperienza viva dell’amore del Padre che fa di noi i suoi figli e figlie e ci trasforma, rendendoci più pienamente sorelle e fratelli di tutti. Annunciare il Vangelo è proclamare il mistero della filiazione e della fraternità, mistero nascosto da tutti i tempi e rivelato ora nel Cristo morto e risorto. Perciò evangelizzare è convocare en ekklesìa, è riunire in assemblea. Solo in comunità la fede può essere vissuta nell’amore, celebrata e approfondita, vissuta in un gesto unico di fedeltà al Signore e di solidarietà con tutte le persone umane. Accettare la Parola è convenirsi all’Altro negli altri. È con loro che viviamo questa Parola. Non si può vivere la tede su un piano privato e intimista: la fede è la negazione di ogni ripiegamento su di sé. Far diventare discepoli tutte le nazioni (cf Mt 28,19) è la missione che il Risorto affida ai suoi discepoli in Galilea, nel luogo stesso della predicazione di Gesù. L’universalità del messaggio porta così il segno provinciale di quella terra di Galilea dimenticata e disprezzata. II Dio annunciato da Gesù Cristo è il Dio la cui chiamata si presenta universale, indirizzata a ogni persona umana, ma è al tempo stesso un Dio che ama con amore di predilezione i poveri e i diseredati. L’universalità non solo non si oppone a questa preferenza, che – come dice la parola -non è esclusività, ma la richiede per precisare così il proprio senso. A sua volta la preferenza trova il suo orizzonte nella chiamata che Dio rivolge a ogni essere umano. Questa duplice esigenza di universalità e di preferenza è una provocazione per la comunità dei discepoli del Signore. È questo il luogo esplicito e autentico di quella che Giovanni XXIII chiama la “chiesa dei poveri”, in quanto vocazione di tutta la Chiesa; su di essa hanno in seguito insistito Medellìn, Puebla e Giovanni Paolo II (cf pure Istruzione IX, 9). Essa significa che è nel dinamismo stesso dell’annuncio della buona novella – la quale rivela che siamo figli del Padre e fratelli e sorelle tra noi – che si vive la creazione di una comunità, la Chiesa, capace di essere per tutti segno visibile della liberazione in Cristo. (Gustavo Gutièrrez, Teologia della liberazione).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 30 Settembre 2016ultima modifica: 2016-09-30T22:45:56+02:00da fraternidade
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