Giorno per giorno – 29 Settembre 2016

Carissimi,
“In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo” (Gv 1, 51). È la conclusione del dialogo tra Gesù e Natanaele, l’ “israelita autentico”, come lo definì Gesù, che Filippo ha convinto a venire a conoscere colui “di cui hanno scritto Mosè e i profeti”. Senza ancora aver visto né ascoltato niente di prodigioso, uno dopo l’altro, cadono nella rete del Maestro i primi discepoli. Come in una storia d’amore, in cui, a volte, basta uno sguardo. Natanaele era, forse, fariseo, studioso della Torah, cui sembra alludere il suo “stare sotto il fico”, un’espressione che, nella tradizione rabbinica, presentava tale significato. Pur con una certa supponenza intellettuale nei confronti della gente tacciata d’incolta – “Da Nazaret può venire qualcosa di buono?” – doveva essere fondamentalmente onesto nella sua ricerca della verità, pronto a ricredersi in qualsiasi momento, di fronte a evidenze inaspettate, per semplici che potessero essere. Ed è questo che Gesù loda in lui. Forse è questo che Gesù si attende anche da noi, prigionieri così spesso dei nostri schemi, dei nostri concetti, incapaci di aprirci alle novità attraverso cui lo Spirito non cessa di scrivere nella storia la vicenda e il significato del Figlio dell’uomo, in cui, da allora, siamo racchiusi tutti. Tutti, perciò destinatari dei messaggi di cui sono, ogni volta, latori gli angeli, che esprimono la maniera di essere di Dio – il suo amore incondizionato, la sua cura, la sua misericordia, la sua volontà di salvezza – verso la sua creazione e con i suoi figli e figlie. Noi, sapremo ricordarcene?

Il Calendario delle Chiese cattolica, luterana e anglicana, porta oggi la festa di Michele, Gabriele, Raffaele e di tutti gli Angeli.

Con questi nomi la Bibbia, nel suo linguaggio peculiare, ci presenta “esseri celesti” che, nelle missioni loro attribuite, rivelano in realtà la maniera con cui Dio si rende presente nella storia umana. “Michele”, che significa “Chi come Dio?” ci ricorda la trascendenza di Dio e ci è presentato nel libro di Daniele e soprattutto nell’Apocalisse come vincitore dell’Avversario per eccellenza, simbolo della forza del male; “Gabriele”, che significa “Dio è forte”, annuncia gli interventi di Dio in favore del suo popolo e, più specificamente, la venuta del Messia; “Raffaele” che vuol dire “Dio risana”, fu il compagno di viaggio di Tobia: è simbolo di ogni azione di cura e guarigione del Signore con il suo popolo. Gli angeli, infine, sono segno della parola, della guida e della protezione di Dio, presso ciascuno dei suoi figli e figlie.

Noi ricordiamo anche Riccardo Rolle, mistico inglese del XIV secolo, e Kazoh Kitamori, teologo della sofferenza di Dio.

Nato in una famiglia benestante (per altri storici, umile) di Thornton-le-Dale, nella contea dello Yorkshire in Inghilterra, intorno al 1300, Riccardo Rolle studiò per un certo tempo a Oxford, finché, diciannovenne, sentì la chiamata alla vita religiosa e lasciò così l’Università. L’incomprensione della famiglia, che lo prese per matto a causa della vita austera e penitente da lui adottata, indusse il giovane ad allontanarsene. Riccardo vagò per qualche tempo senza destino, per poi stabilirsi come eremita nella tenuta di un certo John Dalton a Pickering. Riprese più tardi la vita di eremita girovago. Il che gli procurò simpatia e seguito tra la popolazione più povera, ma anche l’opposizione di buona parte del clero, la cui vita mondana e frivolezza non mancava di denunciare con sana intemperanza. A partire dal 1345 si trasferì ad Hampole dove, nel locale monastero circestense, si dedicò, senza essere prete, alla direzione spirituale delle monache. Lì, vittima della peste nera, lo colse la morte il 29 settembre 1349. Per un certo tempo, la sua tomba fu meta di pellegrinaggi e luogo di pubblico culto.

Sono poche le notizie che abbiamo su Kazoh Kitamori, il maggior teologo giapponese del secolo scorso. Nato a Kumamoto (Giappone) nel 1916, durante gli studi liceali era rimasto così segnato da un opuscolo su Martin Lutero, da decidere, nel 1935, di recarsi a Tokio, per entrare nel Seminario teologico luterano, dove si laureò nel 1938. Si iscrisse, in seguito, alla Facoltà di Lettere dell’Università imperiale di Kyoto, dove ebbe come docente Hajime Tanabe, discepolo del filosofo giapponese Kitaro Nishida. Dopo la laurea, conseguita nel 1941, insegnò nella stessa Università come assistente fino al 1943, quando si trasferì nel Seminario teologico del Giappone Orientale (in seguito Seminario dell’Unione teologica di Tokio). Lì, a partire dal 1949, insegnò Teologia sistematica fino al ritiro dall’insegnamento nel 1984. Come teologo Kitamori giocò un ruolo decisivo, nella rifondazione della Chiesa Kyodan (Chiesa unita di Cristo in Giappone) e nella redazione della sua Confessione di fede. Lavorò come pastore, al servizio della sua Congregazione, per 46 anni. Benché fosse salutato come il teologo giapponese più letto di tutti i tempi, Kitamori fu ostracizzato dalla corrente evangelica maggioritaria del suo paese. Consapevole di questo, gli piaceva citare il testo della Lettera agli Ebrei, che dice che la morte di Gesù avvenne “fuori della porta della città” di Gerusalemme (Eb 13,12). Kitamori si considerò un “emarginato” che camminava e lavorava teologicamente “fuori della porta”. Il tema centrale della sua riflessione teologica è quello del “dolore di Dio”, a proposito del quale scrisse: “La teologia del dolore di Dio non significa che il dolore esiste in Dio come sostanza. Il dolore di Dio non è un ‘concetto di sostanza’, ma un ‘concetto di relazione’, un carattere dell’amore di Dio”. E ancora: “Il cuore del Vangelo mi è stato rivelato come il ‘dolore di Dio’. Questa rivelazione mi ha portato al percorso seguito dal profeta Geremia (Ger 31,20). Geremia era un uomo ‘che ha visto il cuore di Dio più in profondità’ (Kittel). Sono pieno di gratitudine, perché mi è stato permesso di sperimentare le profondità del cuore di Dio con Geremia”. Kitamori è scomparso il 29 Settembre 1998.

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono propri della festività odierna e sono tratti da:
Profezia di Daniele, cap.7, 9-10. 13-14; Salmo 138; Vangelo di Giovanni, cap.1, 47-51.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

Bene, per stasera, è tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura il brano di un’omelia di San Bernardo, tenuta in occasione di una festa di san Michele. Ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Sono tre i motivi, fratelli, che come funi tirano verso di noi, dall’alto del cielo, la sovreminente carità degli angeli. Essi vengono a consolarci, a visitarci, a darci aiuto a motivo di Dio, di noi e di se stessi. A motivo di Dio, gli angeli ci visitano, in modo da imitare la sconfinata misericordia divina. A motivo di noi, gli angeli vengono a consolarci, perché hanno compassione di chi ha una certa somiglianza con loro. A motivo di se stessi, infine, gli angeli accorrono in nostro aiuto, perché sperano di reclutare fra di noi gli esseri necessari per colmare i vuoti delle loro schiere. Infatti la lode che va resa alla maestà divina, alla fine dei tempi, spetta sia agli angeli sia agli esseri umani. Fin d’ora gli angeli celebrano le primizie di quella lode, che li riempie di altissimo diletto. Ma noi, esseri umani, siamo ancora come piccini che succhiano il latte, anche se un giorno completeremo e renderemo perfetta quella lode di gloria. Gli angeli perciò ci attendono con impazienza, incalzati come sono dalla brama dell’ultimo giorno. (S. Bernardo, In festo S.Michaelis, sermo I).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 29 Settembre 2016ultima modifica: 2016-09-29T22:12:46+02:00da fraternidade
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