Giorno per giorno – 02 Giugno 2016

Carissimi,
“Hai detto bene, Maestro, e secondo verità che egli [Dio] è unico e non v’è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore e con tutta la mente e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso val più di tutti gli olocausti e i sacrifici” (Mc 12, 32-33). E, per una volta (o almeno questa volta i vangeli lo registrarono), Gesù e i farisei si trovarono d’accordo. Amare Dio e amare il prossimo, o forse, meglio ancora: amare Dio è amare il prossimo. Perché, come si premurerà di ricordarci Giovanni in una delle sue lettere: “Se uno dicesse: Io amo Dio, e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello. (1Gv 4, 20-21). Il che è bello e facile a dirsi, ma, per l’esperienza che ne abbiamo, è decisamente difficile a praticarsi, con un atteggiamento che non sia quello selettivo e discriminatorio a cui siamo così spesso abituati. Eppure, “tutta la Legge e i Profeti” (che era poi l’intera Bibbia conosciuta da Gesù e, a maggior ragione, è quella che, da allora, include il nucleo del suo annuncio) dipende da questo comandamento (cf Mt 22, 4), cioè ha in esso il suo unico e definitivo criterio di interpretazione. Quanti fanno, perciò, della Bibbia uno strumento di divisiome, di contrapposizione e persino di odio, si pongono automaticamente, ne siano consapevoli o no, al di fuori della comunità cristiana. Se avessimo bisogno di un’ulteriore conferma, ecco che ci viene detto che la pratica del comandamento vale più di ogni attività di culto, di ogni liturgia, di ogni esercizio di devozione, che si vedranno riconosciuto il loro valore, solo se alla pratica concreta dell’amore risulteranno finalizzate. Anche per questo, nel discorso della montagna Gesù aveva ammonito: “Se dunque stai per offrire la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì la tua offerta davanti all’altare, e va’ prima a riconciliarti con tuo fratello; poi vieni a offrire la tua offerta” (Mt 5, 23-24). Quante volte dovremmo rinunciare a recarci in chiesa, per il fatto di operare, fuori di essa, in senso contrario, nelle relazioni famigliari, sociali, ecclesiali, e nelle nostre scelte politiche, alla logica della riconciliazione, cui ci impegna il vangelo? Riusciremo a cominciare ad essere un po’ più coerenti?

Il calendario ci porta oggi le memorie di Blandina e compagni, martiri in Gallia, di Jacques de Jesus, carmelitano, martire sotto la dittatura nazista, e di Giulio Facibeni, prete per gli altri.

Il documento conosciuto come Atti dei Martiri di Lione è una lettera che le Chiese di Lione e di Vienne inviarono a quelle d’Asia e Frigia, con il resoconto delle persecuzioni scatenate contro i cristiani negli anni 177 e 178. Il tutto era stato originato da un pogroom anticristiano, a cui il magistrato rispose con un’azione giudiziaria generalizzata. Contro le vittime, naturalmente, non contro gli aggressori. Blandina era una schiava che faceva parte del gruppo capeggiato dal vescovo Potino ed era stata arrestata assieme alla sua padrona. Condotta inizialmente nell’anfiteatro e appesa ad una croce, aveva pregato ad alta voce e le fiere l’aveva risparmiata. Successivamente, fu costretta ad assistere alla morte atroce dei suoi compagni, mentre lei superava il tormento della graticola ardente. Infine, rimasta sola, fu lasciata in balia della furia di un toro, che colpendola con le corna, la lanciò più volte in aria. Fu finita con la spada.

Lucien Louis Bunol nacque a Barentin (Francia), quarto di otto figli della famiglia di Zoé Pauline Pontif e Alfred Joseph Bunol. Seguendo la chiamata al sacerdozio, entrò a dodici anni entrò nel seminario minore di Rouen. L’11 luglio 1925 fu ordinato prete. Dopo aver insegnato per alcuni anni, sentendosi attratto dalla vita contemplativa, prese contatto, nel 1927, con il Carmelo di Havre e cominciò ad insistere con il suo vescovo perché gli permettesse di lasciare la diocesi per entrare nel Carmelo. Il che avvenne il 28 agosto 1931. Un anno più tardi emise i suoi primi voti, assumendo il nome di Jacques de Jesus. Nel 1934 il Consiglio Provinciale dell’Ordine gli affidò la direzione di un collegio fondato a Avon e il frate ci si dedicò anima e corpo. Il 3 settembre 1939 la Francia entrò in guerra e anche padre Jacques fu inviato al fronte. Fatto prigioniero il 18 giugno 1940, fu liberato a novembre. Nel gennaio del 41 la scuola riaprì. Nel 1943, d’accordo con i suoi superiori, accolse e nascose in collegio tre ragazzini ebrei per salvarli dalla deportazione ed entrò in contatto con la Resistenza per offrire una via di scampo a quanti fuggivano dalla deportazione dei civili decisa da Hitler per fornire mano d’opera schiava all’industria di guerra tedesca. Il 15 gennaio, in seguito ad una spiata, padre Jacques fu arrestato assieme ai tre ragazzi ebrei dalla Gestapo. (Le circostanze saranno narrate nel film di Louis Malle, Au revoir, les enfants). Rinchiuso nella prigione di Fontainebleau, fu trasferito qualche mese più tardi a Compiègne, poi nel campo di rappresaglia di Sarrebrück, infine a Mauthausen et a Gusen, ovunque esercitando nascostamente il suo apostolato. Il 5 maggio 1945, il campo di Gusen fu liberato dagli americani. Trasferito all’ospedale di Linz, in Austria, padre Jacques si spense dolcemente. Le sue ultime parole furono: “Negli ultimi momenti, lasciatemi solo”. Era il 2 giugno 1945. Nel memoriale di Yad Vashem, a Gerusalemme, Jacques Bunol è onorato dagli ebrei come “Giusto tra le nazioni”.

Giulio Facibeni era nato a Galeata, in provincia di Forlì, il 29 luglio 1884, in una famiglia poverissima di risorse, ma ricca di figli, ed era cresciuto, per dirla con le sue parole “con l’ansia degli studi e dell’impossibilità di compierli”. Dopo il liceo, nel 1904, si spostò a Firenze, dove s’iscrisse alla Facoltà di Lettere, lavorando nel contempo come assistente nel semiconvitto delle Scuole Pie fiorentine, per mantenersi agli studi. Fu qui che maturò la sua vocazione a prete. Ordinato nel 1907, per cinque anni si dedicò all’azione pastorale tra le figlie dei carcerati, nelle scuole parrocchiali serali e fra gli studenti medi. Nel 1912 fu mandato nella popolosa parrocchia di S. Stefano in Pane, nella zona industriale di Rifredi. Lasciò così l’insegnamento, decidendo anche di rinunciare alla laurea, ormai prossima, per dedicarsi anima e corpo al nuovo campo di apostolato. A Rifredi, nel primo dopoguerra creò l’Opera della divina Provvidenza Madonnina del Grappa: “una famiglia per chi non ha famiglia”, come diceva lui. Si trattava degli orfani che la guerra, l’inutile strage, aveva lasciato dietro di sé. Seppe amare quei ragazzi come un vero padre. Altre opere sarebbero seguite negli anni successivi. Durante la Seconda Guerra Mondiale profuse il suo impegno per salvare gli ebrei, vittime delle leggi razziste emanate dal regime fascista. Nel 1948, fu colpito dal morbo di Parkinson, che lo rese, per gli ultimi dieci anni di vita, sempre più dipendente dagli altri. Morì a Rifredi il 2 giugno 1958. Aperto, sulla sua scrivania, aveva il libro Esperienze Pastorali di don Lorenzo Milani, a cui aveva promesso una recensione ampiamente favorevole. Ma potè presentarla solamente lassù.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
2ª Lettera a Timoteo, cap. 2,8-15; Salmo 25; Vangelo di Marco, cap.12,28-34.

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una pagina tratta da “I fioretti del Padre don Giulio Facibeni” (Opera Madonnina del Grappa). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Durante l’ultima guerra il pane è tesserato. L’acquisto della farina per le Comunità avviene attraverso l’immediato pagamento. Il fornaio dell’Opera, il Sali, impensierito, aspetta il Padre sulla porta della Cappella. Deve venire a celebrare. Appena lo scorge: “Oggi non si può fare il pane. Non c’è un pugno di farina”. – Torni dopo la S. Messa. Dopo aver celebrato, il Padre s’intrattiene nella piccola sacrestia per il ringraziamento. Una vecchia col capo avvolto in una pezzola nera vuole salutarlo. Dopo un breve colloquio, prima d’accomiatarsi, la buona fa scivolare nelle mani del Padre un fagottino avvolto nella carta paglierina. Appena partita, il Padre svolta il fagottino e vi trova i soldi sufficienti per l’acquisto della farina. La lotta è dura, incalzante. Anche le Banche hanno le loro esigenze. Le tratte non pagate passano al Notaro. Umiliazione. Anche se non ha soldi il Padre sente il bisogno di portarsi in Banca. Almeno per chiedere scusa. Appena messo il soprabito e raggiunte le scale di casa: – Scusi, è lei don Facibeni? – Sì. – Ho questa lettera per lei. – Attenda che scrivo un rigo di risposta. – Non importa. La persona che mi manda vuole rimanere incognita. La Provvidenza gli ha dato modo d’assolvere al suo impegno. Molto spesso era solito, dopo cena, prima di coricarsi, di raccogliere le tratte dal suo tavolo, di farne un mazzetto e di portarsi in Pieve. Al fioco lume della lampada che ardeva dinanzi al Santissimo, raggiungeva l’altare e dopo essersi prostrato a lungo, alzava le tovaglie e vi deponeva le tratte. – “Ti prego Signore, pensaci tu questa notte. Concedimi di riposare un po’”. E la preghiera era esaurita, la fiducia nella Provvidenza premiata. (AA VV, I fioretti del Padre don Giulio Facibeni).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 02 Giugno 2016ultima modifica: 2016-06-02T22:19:02+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo