Giorno per giorno – 22 Maggio 2016

Carissimi,
“Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future” (Gv 16, 12-13). Gesù avrebbe potuto scodellarci tutta la verità in una volta sola, ci avrebbe risparmiato un sacco di fatica, complicazioni, liti, fraintendimenti, eresie, scismi, scomuniche vicendevoli. E, invece, misurando le nostre scarse forze, i nostri limiti culturali, il peso delle tradizioni, ha preferito procedere con prudenza, lasciarci in sospeso, dirci l’essenziale, seminare curiosità, coinvolgerci, attraverso il suo Spirito, nel gioco dell’interpretazione, dare spazio alla nostra creatività, spingerci a coniugare la sua Parola, la Parola incarnata da lui, alla parola della vita e a quella che, irripetibile, cresce con assoluta originalità in ciascuno di noi. Festa della Trinità, che, come si usa dire qui, è la “migliore comunità”. Noi la si è vissuta con gli amici e amiche di Fé e Luz, ciascuno con i suoi propri limiti, in gita all’antica chácara del Lar São José, per cogliere, appunto, nel procedere della storia che costruiamo assieme un altro pezzo della verità, che lo Spirito incessantemente ci rivela. E la verità non è fatta di teorie astratte, ma della contemplazione (teoria anch’essa, ma reale) dei volti concreti di ciascuno di noi, con le attese, le domande, i sentimenti, le allegrie e le sofferenze, che esprimono, e dei gesti, delle parole, e degli sguardi con cui vi si risponde o ci si fa carico. La Trinità è questa circolarità del bene che siamo in grado di volerci, la condivisione dei doni che abbiamo e che siamo gli uni per gli altri. O, almeno, è un suo riflesso. Non c’è altro modo di crederla e di celebrarla se non viverla, con profonda empatia verso tutti. Allora non c’è più giudizio, né tanto meno condanna, disprezzo, odio, irrisione, ma solo comprensione profonda e un moto gratuito di solidarietà e di affetto.

I testi che la liturgia di questa Domenica della Santissima Trinità propone alla nostra riflessione sono tratte da:
Libro dei Proverbi, cap.8, 22-31; Salmo 8; Lettera ai Romani, cap.5, 1-5; Vangelo di Giovanni, cap.16, 12-15.

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le Comunità e Chiese cristiane.

Il nostro calendario ecumenico ci porta oggi le memorie di Rita da Cascia, sposa, madre di famiglia e contemplativa; di Israel ben Eliezer, il Baal Shem Tov (Signore del nome buono), mistico, guaritore e carismatico ebreo del XVIII secolo, fondatore del Chassidismo; e di don Andrea Gallo, prete di strada.

Rita era nata nel 1381, in Umbria, nel villaggio di Roccaporena, da Antonio Lottius e Amata Ferri, una coppia non più giovanissima, che aveva dovuto sudare dodici anni l’arrivo della figlia. Mandata in sposa dai genitori ad un giovane rissoso e violento, tale Paolo di Ferdinando, tanto s’impegnò e fece che, un giorno, ottenne mettesse la testa a posto. Troppo tardi, però, per riuscire a sottrarlo al desiderio di vendetta di antichi rivali che, neanche a dirlo, ne fecero ritrovare il cadavere lungo la strada di casa. E cominciarono le preccupazioni per i figli, Giangiacomo Antonio e Paolo Maria, perché: Uomini siamo, dobbiamo vendicarlo! E lei cominciò a pregare Dio: piuttosto che farne strumenti di morte, prenditeli con te. E solo una madre sa cosa significa una preghiera così, perché sa cos’è dare la vita. E pensa anche alle altre, di madri. I due figli, vai a sapere come, si ammalarono e morirono entrambi. Lei fu allora a bussare al convento delle agostiniane a Cascia. Le quali, per via della biografia complicata, mica volevano riceverla e la rimandarono a casa. Ma inutilmente, perché Lui la voleva là. Finalmente ammessa in convento, vi rimase, edificando tutte le buone monachelle, fino alla morte, il 22 maggio 1447.

Israel ben Eliezer era nato a Okop, un piccolo viaggio dell’Ucraina, al confine russo-polacco il 18 Elul del 5458 (25 agosto 1698). I suoi genitori, Eliezer e Sara, erano vecchiotti quando lui nacque e morirono che era ancora bambino. La sua educazione fu allora affidata alla comunità. Lui era uguale in tutto agli altri bambini, ma anche un po’ diverso. Gli piaceva appartarsi, vagare per campi e foreste, aprendo il suo cuore a Dio. Divenuto adolescente, lo misero sotto, a lavorare nella scuola locale. Più tardi, cominciò a lavorare nella sinagoga e questo gli permise di studiare e approfondire una gran mole di testi ebraici, compresa la Kabbalah, mantenendo tuttavia sempre la sua immagine di semplicità. Trasferitosi a Brody, una cittadina vicina, trovò lavoro come insegnante. Qui conobbe, Rabbi Efraim di Brody, che seppe intuire chi si nascondeva dietro quelle semplici apparenze e gli offrì in sposa la figlia, Leah Rochel. Dopo il matrimonio, la coppia si trasferì in un villaggio sui Carpazi, dove, Israel, con l’aiuto della moglie, si dedicò ad una vita di preghiera e di studio. Fu solo a trentasei anni che egli si manifestò per il maestro che era, stabilendosi dapprima a Talust e poi a Medzibosh, nell’Ucraina occidentale, dove visse per il resto della vita e dove fondò il movimento chassidico. La sua fama si diffuse rapidamente e molti rabbini e studiosi di valore divennero suoi discepoli. Insegnava l’importanza della preghiera gioiosa, del canto, della danza, dell’amore di Dio e del prossimo e diceva che questi cammini portano a Dio come e quanto lo studio della Torah. Il Baal Shem Tov morì il secondo giorno di Shavuoth, la Pentecoste ebraica, il 7 Sivan del 5520 (22 maggio 1760).

Nato a Genova il 18 luglio 1928, Andrea Gallo si sentì attratto fin da bambno dalla spiritualità dei salesiani di don Bosco e entrò così, nel 1948, nel loro noviziato a Varazze. Nel 1953, dopo gli studi di filosofia a Roma, chiese di andare in missione e fu inviato a São Paulo, in Brasile, dove iniziò gli studi teologici. La situazione politica esistente nel paese, sotto il governo di Getulio Vargas, lo costrinse l’anno seguente a fare ritorno in Italia, dove, al termine degli studi, ad Ivrea, fu ordinato presbitero il 1 luglio 1959. Un anno dopo venne inviato come cappellano alla nave-scuola Garaventa, noto riformatorio per minori, dove cercò di sostituire i metodi unicamente repressivi con una pedagogia basata sulla fiducia e su margini maggiori di libertà. Dopo tre anni fu tuttavia destinato, senza troppe spiegazioni, ad un altro incarico. Nel 1964, decise di lasciare la congregazione salesiana, che sentiva troppo stretta e istituzionalizzata, e chiese di essere incardinato nella diocesi genovese, dove negli anni successivi fu via via spostato a mansioni diverse, finché nel 1970 fu accolto dal parroco di San Benedetto al Porto, don Federico Rebora, e insieme a un piccolo gruppo diede vita alla sua comunità di base, la Comunità di San Benedetto al Porto, con la quale si è impegnato, con coraggio, fantasia e determinazione, sui temi della pace, della Resistenza, della democrazia, dell’impegno politico, e, soprattutto, nell’accompagnamento ad ogni forma di emarginazione. Sempre in prospettiva evangeliza e sui passi di Gesù. Fino alla morte, avvenuta, a Genova, il 22 maggio 2013, all’età di 84 anni.

E, per stasera, è ciò che si aveva da dire. Noi ci si congeda qui, offrendovi un brano di don Andrea Gallo, tratto dal suo libro autobiografico “Così in terra, come in cielo” (Oscar Mondadori). Che è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Anni fa ero in questura per aiutare una transessuale brasiliana di nome Roberta a ottenere il permesso di soggiorno. Da diversi anni si trovava in Europa, prima era stata ballerina in un club parigino, poi era stata raggirata e attirata in Italia con le solite promesse non mantenute e infine introdotta in un giro di prostituzione. Si era rivolta al Sert di Savona ma nessuna comunità ligure voleva accoglierla. Da noi invece si era ben inserita, lavorava seriamente da un anno e mezzo eppure non riuscivamo a metterla in regola coi documenti. Stufo dell’ennesimo inceppo burocratico domandai al questore: “Scusa, son vecchio sai, soffre di amnesie. Puoi dirmi dov’è il Brasile?”. Il questore dapprima mi guardò sbalordito, poi si alzò, si avvicinò alla cartina geografica appesa dietro la scrivania e indicò: “È qui”. “Allora è un Paese della Terra!” esultai. “Mi vuoi dire perché una cittadina di questo pianeta deve vedersi negata da sbirri come voi la possibilità di stare a Genova?”. A causa della presenza quotidiana dei nostri ragazzi in questura, con chi lavora lì mi posso permettere qualche confidenza, cerchiamo di aiutarci reciprocamente. “Caro questore, Lei è cattolico?” proseguii. “Sì”. “Nel Vangelo di Matteo Gesù dice: ‘Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dissetato, ero straniero e mi avete accolto’. Ci erano arrivati duemila anni fa”. “Hai ragione Gallo, queste leggi sono ‘na fetenzia”. Roberta soffriva di saudade, quel sentimento misto di nostalgia, malinconia, dolore dell’assenza. Tornò a São Paulo, dove fu inghiottita da chissà cosa. La cercammo per ospedali e cimiteri, ma di lei non so più nulla. (Don Andrea Gallo, Così in terra, come in cielo”).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 22 Maggio 2016ultima modifica: 2016-05-22T22:26:48+02:00da fraternidade
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