Giorno per giorno – 29 Settembre 2015

Carissimi,
“In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo” (Gv 1, 51). Il vangelo racconta l’incontro di Gesù con Natanaele e la liturgia della festività odierna ce lo propone per via del riferimento che Gesù fa a questa visione degli angeli. Dei quali possiamo dire poco, se non ciò che la Bibbia con il suo linguaggio simbolico e immaginifico, ci ha trasmesso, e cioè che sono i messaggeri, attraverso cui Dio comunica le sue volontà, o che esprimono la sua azione di assistenza, guida, cura, protezione nei confronti del suo popolo o, più in generale, dell’essere umano. Come che sia, la frase enigmatica di Gesù, riportata dal Vangelo, della cui collocazione originaria gli studiosi non sanno decidere se fosse questa o altra, esprime la consapevolezza, a partire forse dal Battesimo, della sua esistenza – nei segni concreti che andrà compiendo – come rivelazione della gloria di Dio. Gli angeli sono allora questa rivelazione, che dice insieme l’obbedienza gioiosa e perfetta del Figlio nei confronti del Padre (gli angeli che salgono) e l’assenso e beneplacito del Padre nei confronti del Figlio (gli angeli che scendono), in ogni gesto del quale vedrà affermarsi il suo progetto di amore e perciò di vita per tutte le sue creature. Possano gli angeli salire e scendere ad ogni momento anche su di noi e sul nostro operato.

Il Calendario delle Chiese cattolica, luterana e anglicana, porta oggi la festa di Michele, Gabriele, Raffaele e di tutti gli Angeli.

Con questi nomi la Bibbia, nel suo linguaggio peculiare, ci presenta “esseri celesti” che, nelle missioni loro attribuite, rivelano in realtà la maniera con cui Dio si rende presente nella storia umana. “Michele”, che significa “Chi come Dio?” ci ricorda la trascendenza di Dio e ci è presentato nel libro di Daniele e soprattutto nell’Apocalisse come vincitore dell’Avversario per eccellenza, simbolo della forza del male; “Gabriele”, che significa “Dio è forte”, annuncia gli interventi di Dio in favore del suo popolo e, più specificamente, la venuta del Messia; “Raffaele” che vuol dire “Dio risana”, fu il compagno di viaggio di Tobia: è simbolo di ogni azione di cura e guarigione del Signore con il suo popolo. Gli angeli, infine, sono segno della parola, della guida e della protezione di Dio, presso ciascuno dei suoi figli e figlie.

Noi ricordiamo anche Riccardo Rolle, mistico inglese del XIV secolo, e Kazoh Kitamori, teologo della sofferenza di Dio.

Nato in una famiglia benestante (per altri storici, umile) di Thornton-le-Dale, nella contea dello Yorkshire in Inghilterra, intorno al 1300, Riccardo Rolle studiò per un certo tempo a Oxford, finché, diciannovenne, sentì la chiamata alla vita religiosa e lasciò così l’Università. L’incomprensione della famiglia, che lo prese per matto a causa della vita austera e penitente da lui adottata, indusse il giovane ad allontanarsene. Riccardo vagò per qualche tempo senza destino, per poi stabilirsi come eremita nella tenuta di un certo John Dalton a Pickering. Riprese più tardi la vita di eremita girovago. Il che gli procurò simpatia e seguito tra la popolazione più povera, ma anche l’opposizione di buona parte del clero, la cui vita mondana e frivolezza non mancava di denunciare con sana intemperanza. A partire dal 1345 si trasferì ad Hampole dove, nel locale monastero circestense, si dedicò, senza essere prete, alla direzione spirituale delle monache. Lì, vittima della peste nera, lo colse la morte il 29 settembre 1349. Per un certo tempo, la sua tomba fu meta di pellegrinaggi e luogo di pubblico culto.

Sono poche le notizie che abbiamo su Kazoh Kitamori, il maggior teologo giapponese del secolo scorso. Nato a Kumamoto (Giappone) nel 1916, durante gli studi liceali era rimasto così segnato da un opuscolo su Martin Lutero, da decidere, nel 1935, di recarsi a Tokio, per entrare nel Seminario teologico luterano, dove si laureò nel 1938. Si iscrisse, in seguito, alla Facoltà di Lettere dell’Università imperiale di Kyoto, dove ebbe come docente Hajime Tanabe, discepolo del filosofo giapponese Kitaro Nishida. Dopo la laurea, conseguita nel 1941, insegnò nella stessa Università come assistente fino al 1943, quando si trasferì nel Seminario teologico del Giappone Orientale (in seguito Seminario dell’Unione teologica di Tokio). Lì, a partire dal 1949, insegnò Teologia sistematica fino al ritiro dall’insegnamento nel 1984. Come teologo Kitamori giocò un ruolo decisivo, nella rifondazione della Chiesa Kyodan (Chiesa unita di Cristo in Giappone) e nella redazione della sua Confessione di fede. Lavorò come pastore, al servizio della sua Congregazione, per 46 anni. Benché fosse salutato come il teologo giapponese più letto di tutti i tempi, Kitamori fu ostracizzato dalla corrente evangelica maggioritaria del suo paese. Consapevole di questo, gli piaceva citare il testo della Lettera agli Ebrei, che dice che la morte di Gesù avvenne “fuori della porta della città” di Gerusalemme (Eb 13,12). Kitamori si considerò un “emarginato” che camminava e lavorava teologicamente “fuori della porta”. Il tema centrale della sua riflessione teologica è quello del “dolore di Dio”, a proposito del quale scrisse: “La teologia del dolore di Dio non significa che il dolore esiste in Dio come sostanza. Il dolore di Dio non è un ‘concetto di sostanza’, ma un ‘concetto di relazione’, un carattere dell’amore di Dio”. E ancora: “Il cuore del Vangelo mi è stato rivelato come il ‘dolore di Dio’. Questa rivelazione mi ha portato al percorso seguito dal profeta Geremia (Ger 31,20). Geremia era un uomo ‘che ha visto il cuore di Dio più in profondità’ (Kittel). Sono pieno di gratitudine, perché mi è stato permesso di sperimentare le profondità del cuore di Dio con Geremia”. Kitamori è scomparso il 29 Settembre 1998.

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono propri della festività odierna e sono tratti da:
Profezia di Daniele, cap.7, 9-10. 13-14; Salmo 138; Vangelo di Giovanni, cap.1, 47-51.

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali dell’Africa.

Ieri si è conclusa la trasferta oltreoceano di Papa Francesco, che è davvero andata secondo, e oltre, le attese, affidandoci messaggi che dovranno impegnare a lungo la nostra riflessione ed esigere la nostra coerente testimonianza. Peccato che, come dire?, qualcuno abbia cercato di metterci lo zampino, giusto alla fine, se non proprio per rovinare la festa, il che era francamente impossibile, per seminare comunque un po’ di zizzania. Ci riferiamo alla telefonata del falso Renzi al purtroppo vero monsignor Paglia (avremmo preferito fosse il contrario), in cui il vescovo si rivela, col suo linguaggio, personaggetto da osteria, oltre che figura contigua, come ai “bei tempi” agli ambienti del potere. La sua animosità filo-renziana e anti-sindaco fa sospettare che possa essere stato ancora lui all’origine del dispetto con cui papa Francesco ha finito per rispondere alla domanda del cronista italiano sul viaggio di Marino, durante la conferenza stampa nel volo di ritorno. In Vaticano, si sa, non mancano coloro che sognano di preparare tiri mancini al “Number One” (!). Per dirla con Paglia.

Bene, per stasera, è tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura il brano di un’omelia di San Bernardo, tenuta in occasione di una festa di san Michele. Ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Abbiamo un bisogno estremo dell’assistenza amica degli angeli; allora, guardiamoci bene dall’offenderli, ma impegniamoci a fondo in quegli atteggiamenti che li affascinano. Quali sono dunque le virtù che apprezzano e si rallegrano di vedere in noi? La sobrietà, la castità, la povertà volontaria, la nostalgia assidua per il cielo, le preghiere intrise di compunzione e di vigile affetto. Ma in priorità, questi messaggeri di pace si aspettano da noi la pace e la concordia. Che cosa potrebbe allietarli di più? Quando trovano fra noi pace e concordia, che sono preludio e abbozzo della città celeste, sembra loro di ammirare una nuova Gerusalemme. Tutte le parti della città santa sono perfettamente saldate tra loro. La stessa compattezza deve regnare nei nostri pensieri e nei nostri discorsi: non ci siano fra di noi divisioni, ma restiamo uniti in un solo corpo nel Cristo Gesù, mostrandoci membra gli uni degli altri. (Saint Bernard, Premier Sermon pour la fête de Saint Michel, 5).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 29 Settembre 2015ultima modifica: 2015-09-29T22:23:01+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo