Giorno per giorno – 30 Settembre 2015

Carissimi,
“Mentre andavano per la strada, un tale disse a Gesù: Ti seguirò dovunque tu vada. Gesù gli rispose: Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Lc 9, 57-58). Ovvero, della diffficile sequela. Sì, il vangelo di oggi ci presentava un Gesù che sembra voler calcolatamente ostacolare o porre un freno a chi gli manifesta il desiderio di seguirlo o che lui stesso ha appena chiamato. Come per dire: guardate che non è uno scherzo venire con me. Sono tre i pretendenti discepoli che gli si presentano e potrebbero essere ognuno di noi quando chiediamo il battesimo o, se lo si è ricevuto da piccoli, quando lo confermiamo con la cresima. Le due cose infatti dovrebbero marcare la nostra decisione di seguire Gesù. E, forse, sarebbe bene che il celebrante, nell’una e nell’altra occasione ricordasse queste esigenze, con la speranza che almeno qualcuno vi presti attenzione, e non sia invece già perduto col pensiero alla festa che seguirà, o ai regali dei padrini, o alle fotografie che consegneranno l’evento alla storia della famiglia. Qui, a dire il vero, esistono un pò meno questi rischi, ma il pericolo della superficialità e della mancata consapevolezza delle responsabilità che si assumono c’è tutto. Tre potenziali discepoli e tre obiezioni di Gesù a chi pensi di potersi consegnare alla missione di annunciare e testimoniare il Regno, senza assumerla in pieno, ritagliandosi tempi, spazi, stili di vita, per essere e fare altro. Concretamente, Gesù ci richiama allo spirito di povertà e di spogliamento da tutto ciò che ci dà una qualche forma di sicurezza. E lo fa, scegliendo esempi volutamente provocatori. L’urgenza e il primato del Regno non ci dà tempo per accumulare e attaccarci ai beni materiali, ma neanche, quando è il caso, per dedicarci a compiere le prescrizioni sacre della religi0ne (esemplificate dal “seppellire il padre”), né, infine, (è duro ricordarlo in questi tempi di enfasi sul tema della famiglia), per concederci, anche solo per prenderne congedo, alla fruizione momentanea degli affetti famigliari. In seguito arriverà a dire: “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo” (Lc 14, 26). Dove è chiaro che è l’ottica onnicomprensiva del Regno, che abbatte muri e barriere, che creano solidarietà limitate, gruppi di interesse, e perciò competitività, conflittualità, inimicizia, è, dunque, la prospettiva del Regno del Padre comune, che consente di recuperare e dare senso nuovo ad ogni legame particolare e affetto famigliare, così come ad ogni dimensione culturale e religiosa, che esprima la ricchezza di senso maturata nelle diverse tradizioni di popoli e nazioni. Ora, noi, possiamo dire di aver davvero capito, e almeno cominciato a vivere un po’, il primato e la radicalità della proposta del Regno, nelle nostre relazioni con cose e persone?

Oggi è memoria di Girolamo, monaco al servizio della Parola e padre della Chiesa.

Nato nel 347 da genitori cristiani a Stridone, tra la Dalmazia e la Pannonia, Sofronio Eusebio Girolamo compì a Roma gli studi di grammatica, retorica e filosofia. Ricevuto il battesimo, da papa Liberio, si recò a Treviri, nelle Gallie, per perfezionare gli studi teologici. Nel 373 fu ad Aquileia e poi ad Antiochia di Siria, che lasciò per stabilirsi come eremita nel deserto di Calcide, portandosi tuttavia appresso tutta la sua ricchissima biblioteca. Fu in questo periodo che Girolamo studiò l’ebraico e maturò il suo tormentato distacco dalla vita mondana e dalla cultura classica. Lui stesso in una lettera racconta di essersi trovato in sogno di fronte ad un giudice che gli chiedeva conto della sua identità ed avendogli egli risposto di essere cristiano, si sentì replicare: “Bugiardo, tu sei ciceroniano, non cristiano”. Si diede perciò ad una vita di preghiera, di studi rigorosi e di penitenza e venne ordinato sacerdote. Tornato a Roma nel 382, fu nominato segretario di papa Damaso, che lo incaricò della traduzione della Bibbia in latino, a partire dai testi originali. La sua traduzione è conosciuta ancora oggi come “Vulgata”. Ma non fu solo uno studioso. Fondò un luogo di preghiera e di studio rigoroso delle Sacre Scritture, in cui si impegnarono alcune donne dell’aristocrazia romana, tra cui Marcella, Paola e la figlia di quest’ultima, Eustochio, tutte desiderose di vivere la fede cristiana in maniera non banale. Cosa non facile, dopo che l’imperatore Teodosio aveva fatto del cristianesimo la religione di stato, spalancando le porte della Chiesa ad ogni pratica di corruzione e di opportunismo. Fenomeni che Gerolamo non esitò a denunciare e combattere con passione e veemenza. Alla morte di Damaso, nel 384, Girolamo sperò, forse, ma inutilmente, di succedergli. Fece allora ritorno in Palestina, a Betlemme, accompagnato da Paola ed Eustochio, con cui fondò un monastero maschile e uno femminile, oltre ad un ospizio per i pellegrini. Di carattere irruento e intrattabile entrò in polemiche dottrinali, non senza venature personali e accenti d’intolleranza, con molti grandi del suo tempo, compresi Giovanni Crisostomo, Ambrogio, Basilio e Agostino. Lasciò numerose opere scritte (lettere, trattati di esegesi, commenti biblici…). I suoi difetti temperamentali non sminuiscono in ogni caso la grandezza della sua opera. È chiamato “Dottore massimo delle Scritture”. Morì a Betlemme nel 420.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Libro di Neemia, cap. 2,1-8; Salmo 137; Vangelo di Luca, cap.9, 57-62.

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti, lungo i cammini più diversi, perseguono un mondo di giustizia, fraternità e pace.

Noi ci lasciamo qui, offrendovi, come ultima lettura, il brano di una lettera di Girolamo all’amico Castrucius, per illuminarlo sul senso delle infermità da cui era afflitto. Ed è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Non credere che la tua malattia sia una punizione del peccato. È così che pensavano gli Apostoli, quando, vedendo un uomo cieco dalla nascita, chiesero a Gesù: “È il suo peccato o il peccato di suo padre e sua madre la causa della sua cecità?”. Ma il Salvatore rispose: “Né lui ha peccato né i suoi genitori; ma è cosÍ perché si manifestassero in lui le opere e la potenza di Dio”. Infatti, quante persone di ogni religione vediamo tuffarsi nelle più vergognose dissolutezze, immergere le mani nel sangue dei fratelli, mostrarsi piú crudeli dei lupi, più voraci degli uccelli rapaci, che vivono tuttavia al riparo dai flagelli della giustizia divina, immuni a qualsivoglia calamità pubblica; prendendo in più da ciò motivo per ergersi contro Dio e bestemmiare contro il cielo? E, al contrario, quanti santi vediamo afflitti da malattie, sopraffatti da disgrazie, ridotti all’estrema povertà, e che forse dicono: “È dunque invano che ho lavorato per purificare il mio cuore e che ho lavato le mani nella compagnia degli innocenti?”. Ma che, rientrando in se stesssi, aggiungono subito: “Non posso avere questi sentimenti, Signore, senza condannare la santa compagnia dei vostri figli”. Se tu credessi che la cecità e le altre malattie che formano così spesso l’oggetto dell’occupazione dei medici fossero una punizione per il peccato e il frutto della collera di Dio, condanneresti Isacco, che vedeva così poco che, ingannandosi, diede la sua benedizione a chi che non voleva benedire; e Giacobbe, che non potè distinguere Efraim da Manasse, anche se poi, per una luce interiore e uno spirito profetico, previde che il Messia doveva nascere dalla famiglia reale di Giuda. Ci fu un re più santo di Giosia? Eppure, egli perì nella battaglia mossa al re d’Egitto. Ci fu qualcosa di più grande di San Pietro e San Paolo? E tuttavia essi furono vittime della crudeltà di Nerone. Ma, per non parlare degli uomini, lo stesso Figlio di Dio non ha forse sofferto la vergogna e l’umiliazione della croce? Detto questo, possiamo ancora ritenere veramente beati coloro che godono della prosperità del secolo e che gustano le dolcezze della vita presente? (Saint Jerôme, Lettre a Castrucius. Sur la patience dans les infirmités et les maladies).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 30 Settembre 2015ultima modifica: 2015-09-30T22:18:36+02:00da fraternidade
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