Giorno per giorno – 10 Agosto 2015

Carissimi,
“In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” (Gv 12, 24-25). Nella memoria del martire Lorenzo, la liturgia ci propone le parole, con cui Gesù, nell’imminenza della sua morte, tratteggia il senso della sua vita e perciò anche la figura che deve assumere la testimonianza di coloro che hanno sentito la chiamata alla sua sequela. Non c’è alternativa, non c’è altro modo di camminare al seguito di Gesù, fuori di questo accettare di morire a sé e alla logica del mondo, per trasformarsi in semente di vita per gli altri. Stasera, a casa di dona Lourença (era oggi, tra l’altro, il suo compleanno) e di seu Vidal, ci siamo lasciati con questa domanda: Noi, siamo capaci di vivere questa dimensione della testimonianza cristiana nel nostro quotidiano? Per molti di quanti erano presenti, noi possiamo giurare tranquillamente di sì. Ma sarebbe bello che fosse vero per tutti. Ogni giorno.

Oggi, è memoria di Lorenzo, diacono della chiesa di Roma, e di Tito de Alencar Lima, frate domenicano, martire della dittatura in Brasile.

Lorenzo soffrì il martirio durante la persecuzione di Valeriano. Era il primo dei sette diaconi della Chiesa di Roma. Ricopriva un ruolo di rilievo nello svolgimento degli uffici ecclesiastici. Come diacono, Lorenzo era incaricato di assistere il papa nelle celebrazioni, amministrava i beni della Chiesa, provvedeva alle necessità dei poveri, degli orfani e delle vedove, dirigeva la costruzione dei cimiteri. Il racconto della sua passione narra che, quando il prefetto gli intimò di consegnare le ricchezze della chiesa, Lorenzo chiese gli fosse dato il tempo necessario per riunirle. Dopo aver distribuito ai suoi assistiti le offerte ancora disponibili, si recò davanti al prefetto con una turba di mendicanti, malati ed emarginati e additandoli disse: “Ecco, i tesori della chiesa!”. Fu giustiziato con il papa Sisto II e i suoi collaboratori, il 7 agosto dell’anno 258. Una tradizione, registrata un secolo più tardi dal vescovo di Milano, Ambrogio, asserisce che fu bruciato vivo su una graticola, ma, più probabilmente, morì decapitato.

Tito de Alencar Lima era nato a Fortaleza, nel Ceará (Brasile), il 14 settembre 1945, da Isaura Alencar Lima e Idelfonso Rodrigues Lima. Dirigente regionale della Gioventù Studentesca Cattolica (ala giovanile dell’Azione Cattolica), partecipò nel 1964 alle prime manifestazioni studentesche contro la dittatura militare. Nel 1966, a Belo Horizonte, entrò nel noviziato dell’ ordine domenicano e il 10 febbraio 1967 fece la sua prima professione religiosa e si trasferì a São Paulo, per continuarvi gli studi. Il 4 novembre 1969 fu arrestato assieme a frei Betto, frei Fernando, frei Ivo e altri, accusati di sovversione e nelle settimane che seguirono fu torturato brutalmente dalla squadraccia agli ordini del delegato Sérgio Paranhos Fleury, capo del Dipartimento per l’Ordine Politico e Sociale (DOPS). Trasferito al Presidio Tiradentes, il 17 dicembre fu portato alla sede dell’Operazione Bandeirantes, dove il capitano Maurício Lopes Lima, gli disse: “Adesso conoscerai la succursale dell’inferno”. E così fu. Fu torturato per due giorni. Appeso al “pau-de-arara”, ricevette scariche elettriche alla testa, agli organi genitali, alle mani e ai piedi, pugni, bastonate e bruciature di sigaretta su tutto il corpo. Il capitano Albernaz sadicamente gli ordinò di aprire la bocca per ricevere l’ostia consacrata, e gli introdusse un filo elettrico che gli bruciò la bocca al punto di impedirgli di parlare. Nel gennaio 1971, incluso nel gruppo di prigionieri politici scambiati con l’ambasciatore svizzero, Giovanni Enrico Bücker, sequestrato dall’APR (Avanguardia Popolare Rivoluzionaria), fu mandato prima in Cile, poi a Roma e, infine, a Lione, in Francia. La piaga aperta dalla tortura psicologica non l’avrebbe, tuttavia, mai abbandonato. E con essa l’immagine del delegato Fleury che continuò ad accusarlo, dargli ordini, minacciarlo, accompagnarlo come un’ombra nel suo esilio in Cile e il Francia. Riuscì a liberarsene solo quando s’impiccò ad un albero, a vent’otto anni, in un pomeriggio torrido d’agosto, nella campagna francese. In quel 10 agosto 1974, Tito risuscitò alla vita, incontrando l’abbraccio amoroso del Padre. Il card. Paulo Evaristo Arns, ne accolse solennemente le spoglie nella cattedrale di São Paulo, il 25 marzo 1983.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono propri della memoria del Martire Lorenzo e sono tratti da:
2ª Lettera ai Corinzi, cap. 9,6-10; Salmo 112; Vangelo di Giovanni, cap. 12, 24-26.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni dell’India, Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

È tutto. Noi vi si lascia qui alla lettura di un brano della deposizione in cui frei Tito racconta le varie fasi degli interrogatori e delle torture a cui fu sottoposto. Tratto dal libro del suo confratello Frei Betto, pubblicato con il titolo “Batismo de Sangue: Guerrilha e morte de Carlos Marighella” (Rocco), è, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
“Adesso la nostra questione è speciale”, ha detto il capitano Albernaz mentre collegava i fili alle mie membra. “Quando vengo a Oban, lascio il mio cuore a casa. Ho una vera fobia per i preti e niente mi impedisce di uccidere un terrorista… La guerra è guerra, o si ammazza o si muore. Tu devi conoscre tizio e caio (e ha fato i nomi di due prigionieri politici che aveva torturato). Ti userò lo stesso trattamento usato con loro: scosse elettriche per tutto il giorno. Tutto ciò che non dirai, maggiori saranno le scosse che riceverai”. C’erano tre soldati nella stanza. Uno di loro gridò: “Voglio nomi e telefoni”. Quando ho rispsoto “Non li so”, ho ricevuto una scarica elettrica così forte, collegata direttamente alla presa, che non sono riuscito a controllare le funzioni fisiologiche. Il capitano Albernaz voleva che dicessi dov’era Frei Ratton. Dato che non lo sapevo, ho ricevuto scosse per quaranta minuti. Voleva i nomi di altri preti di São Paulo, Rio e Belo Horizonte “coinvolti nella sovversione”; Poi ha cominciato con le offese morali: “Chi sono i preti che hanno delle amanti?”, “Perché la chiesa non vi ha espulsi?”, “Chi sono gli altri preti terroristi?”. Disse che l’interrogatorio dei domenicani fatto dal DOPS era stato affrettato e che tutti i religiosi prigionieri sarebbero arrivati a Oban per deporre nuovamente. Avrebbero ricevuto anche loro lo stesso “trattamento”. Disse che “la Chiesa è corrotta, pratica l’usura e il Vaticano è padrone delle maggiori imprese del mondo”. Di fronte ai miei dinieghi, mi applicarono scariche elettriche, mi davano pugli, calci, e palettate sulla schiena. Rivestiti di paramenti liturgici, i poliziotti mi fecero aprire la bocca “per ricevere l’ostia consacrata”. Mi hanno introdotto un filo elettrico. Sono rimasto con la bocca tutta gonfia, incapace di parlare correttamente. Gridavano insulti contro la Chiesa, urlavano che i preti sono omosessuali perché non si sposano. Alle 14 si è conclusa la sessione. Trasportato a peso, ho fatto ritono in cella, sono rimasto disteso a terra. (Frei Betto, Batismo de Sangue: Guerrilha e morte de Carlos Marighella).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 10 Agosto 2015ultima modifica: 2015-08-10T22:02:07+02:00da fraternidade
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