Giorno per giorno – 11 Aprile 2015

Carissimi,
“Alla fine apparve agli Undici, mentre stavano a mensa, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risuscitato. Gesù disse loro: Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura” (Mc 16, 14-15). Stasera, a casa di Rosário, ci siamo chiesti se il rimprovero rivolto agli undici potrebbe oggi essere rivolto anche a noi. E però anche se fosse, Gesù, che c’è abituato, manderebbe lo stesso anche noi in missione. E allora c’è solo da mettersi di buona lena e, ogni giorno, anche se tentati dal dubbio, e il cuore ci suggerisce che è meglio lasciar perdere, e qualche volta lasciamo perdere davvero, riprendere animo e in tutta umiltà, sapendo che per noi è difficile, quasi impossibile, ma Lui, con la sua grazia, può tutto, partircene ad annunciare la buona notizia a quanti incontriamo, da dentro casa e poi lungo la strada, a scuola, sul lavoro, tra vicini, tra gli increduli che esistono pure in chiesa: sapete? Gesù è risorto. E non c’è bisogno di dirlo. Basta mostrarlo.

I testi che la liturgia di questo Settimo Giorno di Pasqua propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap. 4, 13-21; Salmo 118; Vangelo di Marco, cap.16, 9-15.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

Oggi il nostro Calendario ecumenico ci porta le memorie di Calinic di Cernica, monaco e pastore, e di George Augustus Selwyn, pastore e testimone di Cristo in Nuova Zelanda.

Costantino Antonescu era nato a Bucarest nel 1787 e a vent’anni, dopo una brillante carriera negli studi, aveva deciso di votarsi alla vita monastica, entrando nel monastero di Cernica, dove assunse il nome di Calinic. Uomo ascetico, amante dell’orazione e profondamente umile, manifestò da subito i tratti di una spiritualità matura ed equilibrata, al punto che la comunità lo volle come suo confessore e padre spirituale, quando era solo ventiseienne. Eletto quattro anni più tardi igumeno del monastero, mantenne quest’ufficio per trentun anni, dando un forte impulso alla vitalità dello stesso. Eletto vescovo di Rimnicul Valcea nel 1850, Calinic riuscì in pochi anni a rinnovare la vita di quella Chiesa, prima di far ritorno al suo amato monastero ove si spense l’11 aprile 1868.

George Augustus Selwyn nacque il 5 aprile 1809 a Hampstead, in Inghilterra, figlio di un avvocato costituzionalista, William Selwyn e di sua moglie, Laetitia Frances Kynaston. Durante i suoi studi, a Ealing, divenne amico inseparabile di John H. Newman, il futuro cardinale e santo. La sua carriera universitaria, a Eaton e a Cambridge, fu segnata dall’assegnazione di numerosi premi al merito, sia come studente che come atleta. Selwyn era infatti, tra l’altro, un eccellente nuotatore. In quegli stessi anni maturò la sua vocazione ecclesiastica, che lo portò ad essere ordinato diacono nel 1833 e presbitero l’anno successivo. Nel giugno 1839, sposò, a Londra, Sarah Harriet Richardson e, due anni dopo, fu nominato e consacrato primo vescovo della Nuova Zelanda. Come prima cosa, decise di imparare la lingua maori, in modo da poter predicare già al suo arrivo nella lingua del posto. Subito dopo si mise a fondare comunità non solo nella Nuova Zelanda, ma in quasi tutte le isole della Melanesia. Si sentì autorizzato a farlo, perché il documento di nomina, per un errore dell’estensore, indicò i limiti della nuova diocesi a 34 gradi di latitudine a nord dell’equatore, invece che 34 gradi di latitudine a sud. (Sarà solo nel 1957 che le isole diventeranno una provincia separata della comunione anglicana). Durante gli anni del suo episcopato in quella regione fu sempre attento a non entrare in concorrenza con le missioni di altre chiese, per evitare di porre ostacoli al libero annuncio della Parola di Dio. Nella situazione di tensione tra la potenza coloniale britannica e le popolazioni locali, Selwyn difese sempre i diritti degli indigeni e, nel Primo Sinodo Generale della Chiesa in Nuova Zelanda, garantì l’adozione del principio della piena partecipazione dei cristiani Maori al governo della Chiesa. Nel 1867, Selwyn fu nominato vescovo di Lichfield, in Inghilterra, dove fece ritorno sia pure riluttante e ove visse fino all’11 aprile del 1878.

L’11 Aprile 1963, Giovanni XXIII rendeva pubblica l’enciclica Pacem in Terris, che rappresenta il vertice del suo magistero sul tema della Pace. È una parola che non cessa di interpellare la Chiesa e l’intera comunità umana. In tempi che ne sembrano ancora assai lontani. Così noi, abbiamo fatto di oggi, una giornata di preghiera intensa per la Pace nel mondo.

Ed è un brano tra i più citati della Pacem in Terris di papa Giovanni, che, nel congedarci, vi offriamo in lettura come nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Tre fenomeni caratterizzano l’epoca moderna. Anzitutto l’ascesa economico-sociale delle classi lavoratrici. Nelle prime fasi del loro movimento di ascesa i lavoratori concentravano la loro azione nel rivendicare diritti a contenuto soprattutto economico-sociale; la estendevano quindi ai diritti di natura politica; e infine al diritto di partecipare in forme e gradi adeguati ai beni della cultura. Ed oggi, in tutte le comunità nazionali, nei lavoratori è vividamente operante l’esigenza di essere considerati e trattati non mai come esseri privi di intelligenza e di libertà, in balia dell’altrui arbitrio, ma sempre come soggetti o persone in tutti i settori della convivenza, e cioè nei settori economico-sociali, in quelli della cultura e in quelli della vita pubblica. In secondo luogo viene un fatto a tutti noto, e cioè l’ingresso della donna nella vita pubblica: più accentuatamente, forse, nei popoli di civiltà cristiana; più lentamente, ma sempre su larga scala, tra le genti di altre tradizioni o civiltà. Nella donna, infatti, diviene sempre più chiara e operante la coscienza della propria dignità. Sa di non poter permettere di essere considerata e trattata come strumento; esige di essere considerata come persona, tanto nell’ambito della vita domestica che in quello della vita pubblica. Infine la famiglia umana, nei confronti di un passato recente, presenta una configurazione sociale-politica profondamente trasformata. Non più popoli dominatori e popoli dominati: tutti i popoli si sono costituiti o si stanno costituendo in comunità politiche indipendenti. Gli esseri umani, in tutti i paesi e in tutti i continenti, o sono cittadini di uno stato autonomo e indipendente, o stanno per esserlo; nessuno ama sentirsi suddito di poteri politici provenienti dal di fuori della propria comunità umana o gruppo etnico. In moltissimi esseri umani si va così dissolvendo il complesso di inferiorità protrattosi per secoli e millenni; mentre in altri si attenua e tende a scomparire il rispettivo complesso di superiorità, derivante dal privilegio economico-sociale o dal sesso o dalla posizione politica. Al contrario è diffusa assai largamente la convinzione che tutti gli uomini sono uguali per dignità naturale. Per cui le discriminazioni razziali non trovano più alcuna giustificazione, almeno sul piano della ragione e della dottrina; ciò rappresenta una pietra miliare sulla via che conduce all’instaurazione di una convivenza umana informata ai principi sopra esposti. Quando, infatti, negli esseri umani affiora la coscienza dei loro diritti, in quella coscienza non può non sorgere l’avvertimento dei rispettivi doveri: nei soggetti che ne sono titolari, del dovere di far valere i diritti come esigenza ed espressione della loro dignità; e in tutti gli altri esseri umani, del dovere di riconoscere gli stessi diritti e di rispettarli. (Giovanni XXIII, Pacem in Terris n.21-24).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 11 Aprile 2015ultima modifica: 2015-04-11T22:06:32+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo