Giorno per giorno – 10 Aprile 2015

Carissimi,
“Quando già era l’alba Gesù si presentò sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: Figlioli, non avete nulla da mangiare? Gli risposero: No. Allora disse loro: Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete. La gettarono e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci” (Gv 21, 4-6). L’evangelista, più avanti, commenta che “questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risuscitato dai morti” (v. 14). Le prime due volte a Gerusalemme, e poi questa in Galilea. Dove, secondo l’annuncio ricevuto dalle donne, i discepoli sarebbero dovuti recarsi per incontrarlo. Ancora una volta, non siamo in grado di stabilire come siano andate le cose, e comunque non è questo ciò che preme all’evangelista. Che l’avessero o meno già incontrato a Gerusalemme, ora erano lì, a casa loro, presso il lago dov’era nata la loro vocazione e, a leggere il racconto, dovevano sentirsi un po’ disorientati. Che fare? Torniamo a lavorare. Del resto, era stato proprio mentre erano intenti al loro lavoro di pescatori – almeno per quanto riguarda le due coppie di fratelli – che Gesù li aveva convinti a seguirli. Se vorrà rifarsi vivo, sa dove potrà trovarci. Non possiamo immaginare quale fosse il loro stato d’animo: se nutrissero speranza e attesa, o delusione e tristezza. Ciascuno di noi, però, ce lo dicevamo stasera a casa di Eleusa, può vagliare il nostro. Ripensare com’è stata la nostra Pasqua, se essa ha significato l’incontro con il Risorto. O se, invece, abbiamo fatto altro, per conformarci all’ambiente che ci circonda. E come, nell’uno o nell’altro caso, stiamo vivendo la nostra vita di sempre, ciascuno con le sue mansioni. Per quanti di noi hanno partecipato con entusiasmo e allegria alla veglia pasquale, possiamo davvero dire che è cambiato qualcosa? Siamo in grado di testimoniare la lezione che il Crocifisso risorto ci ha trasmesso? O, invece, la nostra “pesca” si è rivelata infruttuosa, le nostre relazioni spente, la nostra vita banale, come e magari anche più di quanto possa esserlo, a volte, per chi non sa neppure bene chi sia e cosa significhi Gesù. Ora, la sua scommessa è che noi si arrivi ad essere almeno un po’ com’è stato Lui (o anche di più: “farete cose più grandi di questa” aveva detto l’esagerato!), non perché si finisca per fare i primi della classe, ma solo per seminare un po’ più di felicità nel mondo, comunicando la buona notizia che siamo tutti amati da Dio. Gratis. E noi ne dovremmo essere la prova. Perché, anche senza averlo visto, gli abbiamo creduto. E, su questa fede, abbiamo deciso di giocarci, ogni volta, la vita. Che è come accettare di buttare nuovamente le nostre reti in mare, dopo una nottata di lavoro che non ci ha reso niente. E poi fare eucaristia con Lui, che ci distribuisce, come allora, il suo Corpo in alimento. Perché noi diamo il nostro.

I testi che la liturgia di questo Sesto Giorno della Festa di Pasqua propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Atti degli Apostoli, cap.4, 1-12; Salmo 118; Vangelo di Giovanni, cap.21, 1-14.

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica, che professa l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

Oggi il calendario ci porta la memoria di Pierre Teilhard de Chardin, gesuita, scienziato e mistico.

Pierre Teilhard de Chardin nacque il 1° maggio 1881 al Castello di Sarcenat (Auvergne), nei pressi di Clermont-Ferrand, da Emmanuel Teilhard de Chardin e Berthe-Adèle de Dompierre d’Hornoy. Nel 1899 entrò nel noviziato dei Gesuiti a Aix-en-Provence e due anni più tardi pronunciò i suoi voti religiosi. Affascinato dall’universo scientifico, assieme agli studi di teologia, continuò ad aggiornarsi sulle nuove scoperte della fisica. Dopo che fu ordinato prete, ad Hasting nel 1911, lavorando a Parigi presso il laboratorio del paleontologo Marcelin Boule, si propose di creare nuove sintesi tra le frontiere della scienza e le visioni religiose. Scriverà a questo proposito qualche anno dopo: “Ho coscienza di avere, sempre e in tutte le cose, cercato di raggiungere un qualche Assoluto. Credo che, per un’altra meta, non avrei avuto il coraggio di agire. Scienza (cioè tutte le forme dell’attività umana) e Religione sono state sempre ai miei occhi una medesima cosa, l’una e l’altra essendo per me la ricerca di uno stesso Oggetto”. Dopo la prima guerra mondiale, laureatosi in scienze naturali, venne inviato in Cina, dove per due anni partecipò a spedizioni e scoperte paleontologiche. Rientrato nel 1925 a Parigi, scrisse sulla necessità di rileggere il dogma del peccato originale, alla luce delle nuove scoperte della paleontologia. Ottenne di essere rispedito in Cina, dove resterà 20 anni. Fu un periodo ricco di esperienze scientifiche, ma anche di momenti di profonda meditazione spirituale, in cui il contatto con scienziati e tecnici non credenti, ma di alto profilo morale, indusse Teilhard a far suo questo atteggiamento: “In ogni persona, anche non credente, non distruggere niente, ma far salire, far crescere. Tutto ciò che cresce va verso il Cristo”. Tornato dalla Cina a Parigi, nel 1947 fu colpito da infarto. Al peso della fatica fisica si aggiunse certamente lo stress psicologico per il sospetto con cui le autorità ecclesiastiche guardavano alla sua produzione. Tuttavia Teilhard sembrò non drammatizzare. La sua posizione restava la stessa manifestata anni prima: “È lo stesso per me che non mi si permetta di pubblicare. Ciò che io vedo è smisuratamente più grande di tutte le inerzie e di tutti gli ostacoli” e concludeva: “Profondamente attaccato all’obbedienza, preferisco sacrificare tutto piuttosto che danneggiare l’integrità del Cristo”. Lasciata nuovamente Parigi, nel 1951 si stabilì a New York, dove stese i suoi ultimi grandi saggi. Il 10 aprile 1955, domenica di Pasqua, dopo aver assistito alla solenne funzione nella Cattedrale di San Patrizio, Teilhard si recò ad un concerto e, più tardi, in casa di amici per prendere un té. Colpito nuovamente da un infarto devastante, spirò poco dopo. Un anno prima aveva espresso questo desiderio: Vorrei morire nel giorno di Pasqua. Fu accontentato.

È tutto, per stasera. Noi ci congediamo, offrendovi in lettura un brano di Pierre Teilhard de Chardin, tratto dal suo libro “Comment je crois” (Éditions du Seuil), che è per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Credere non è vedere. Io cammino fra le ombre della fede più di ogni altro, penso. Le ombre della fede… Per giustificare questa oscurità, così stranamente incompatibile con la luce divina, i dottori [della chiesa] ci spiegano che il Signore, volontariamente, si nasconde per provare il nostro amore. Bisogna essersi persi senza speranza dietro ai giochi dello spirito, bisogna non aver mai incontrato in sé e negli altri la sofferenza del dubbio, per non sentire quanto questa soluzione sia odiosa. Come, o Signore, le vostre creature starebbero davanti a voi sperdute e angosciate, chiedendo aiuto, e a voi basterebbe, per farle accorrere verso di voi, mostrare un raggio dei vostri occhi, l’orlo del vostro mantello, e voi non lo fareste? L’oscurità della fede, secondo me, non è che uno dei casi particolari del problema del Male. E per superare lo scandalo mortale non scorgo che una sola via possibile: riconoscere che se Dio ci lascia soffrire, peccare, dubitare, questo accade perché Egli non può, ora e in un solo istante, guarirci e mostrarsi. E, se Egli non lo può è soltanto perché noi siamo ancora incapaci, a causa dello stadio in cui si trova l’Universo, di maggior organizzazione e di maggior luce. In una creazione che si sviluppa nel tempo, il Male é inevitabile. Ancora una volta, la soluzione liberatrice ci è data dall’Evoluzione. No, ne sono certo, Dio non si nasconde affinché noi lo cerchiamo, come non ci lascia soffrire per aumentare i nostri meriti. Al contrario, chino sulla creatura che sale fino a Lui, Egli si affatica con tutte le sue forze per renderla felice e per illuminarla. Come una madre Egli scruta la sua creatura. Ma i miei occhi non saprebbero ancora percepirlo. Non è forse necessaria tutta la durata dei secoli perché il nostro sguardo si apra alla luce? I nostri dubbi come i nostri mali sono il prezzo e la condizione stessa di un compimento universale. Io accetto a queste condizioni di camminare fino alla fine su una strada, di cui sono sempre più certo, verso orizzonti dai contorni sempre più incerti nella bruma. Così io credo. (Pierre Teilhard de Chardin, Comment je crois).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 10 Aprile 2015ultima modifica: 2015-04-10T22:09:42+02:00da fraternidade
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