Giorno per giorno – 11 Ottobre 2014

Carissimi,
“Mentre Gesù parlava, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato! Ma egli disse: Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!” (Lc 11, 27-28). È tutto il vangelo di oggi, che, per il cristiano potrebbe rappresentare la sintesi di ciò che è Maria nella storia e nella vita della Chiesa. C’è infatti compreso il suo dato fisico, storico, che la designa come madre di Gesù, e poi c’è la sua dimensione spirituale – che Gesù qui privilegia – che ne fa il modello della fede d’Israele, con l’enfasi che questa pone sull’ascolto della Parola, ma anche della nascente comunità cristiana, raccolta intorno al principio della sua incarnazione. Immagine viva dell’impegno solenne assunto dal popolo d’Israele sul Sinai, dopo che Mosè gli ebbe letto tutte le parole e le norme del Signore: “Quanto il Signore ha ordinato, noi lo faremo e lo ascolteremo” (Es 24, 7) – suona così l’originale -, dove il “faremo” addirittura precede l’ “ascoltemo”. Come succede tra innamorati, quando l’uno indovina, ancor prima di udirle, le altrui attese e si precipita a soddisfarle. E il fare consiste nel generare Gesù nella nostra vita, nel nostro mondo, incarnare il suo progetto. Essere, così, sue madri.

Oggi il calendario ci porta la memoria padre João Bosco Penido Burnier e Tutti i Martiri dell’America Latina. Ricordiamo anche, in questa data, l’Apertura del Concilio Vaticano II.

Era la sera dell’11 ottobre 1976. Due contadine, Margarida e Santana, erano sotto tortura nella prigione del presidio di polizia di Ribeirão Bonito, nel Mato Grosso, località del latifondo prepotente, del bracciantato semischiavo, della brutalità poliziesca. La Comunità celebrava l’ultimo giorno della novena della patrona, N.S. Aparecida. E, in quel giorno erano arrivati in paese il vescovo, dom Pedro Casaldáliga e padre João Bosco Penido Burnier, un gesuita missionario tra gli Indios Bakairi. Informati di quanto stava succedendo, i due si recarono al commissariato per intercedere a favore delle due donne torturate. Quattro poliziotti li aspettavano sul posto. Solo un accenno di dialogo: Sapete che non potete fare questo. Dovete smetterla. Come tutta risposta, uno degli agenti colpì il p. João Bosco prima con un pugno, poi con il calcio della pistola infine gli sparò. Durante l’agonia che seguì, il prete riuscì a sussurrare: Offro la mia vita per il CIMI (Consiglio Indigenista Missionario) e per il Brasile. Poi invocò il nome di Gesù, ripetutamente, e ricevette l’unzione degli infermi. Fu trasportato a Goiânia e morì il giorno dopo, festa della Vergine Aparecida, coronando così con il martirio una vita santa. Le sue ultime parole furono le stesse del maestro: “Abbiamo compiuto la nostra missione”. In questo giorno le Comunità cristiane dell’America Latina uniscono alla celebrazione del martirio di p. João Bosco, la memoria di tutti i martiri del nostro continente. Memoria di uomini, donne e perfino di bambini, di differenti razze, fedi e culture, assassinati per il solo fatto di lottare per un mondo più giusto e fraterno, per affermare i diritti degli indigeni, dei negri, delle minoranze, dei lavoratori, contro la violenza e la tortura, per la riforma agraria, la protezione dell’ambiente e la pace.

“Spesso avviene che ci vengano riferite le voci di alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano però i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio. Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa. A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo”.. È un passo del discorso “Gaudet Mater Ecclesia” con cui, l’11 ottobre 1962, Giovanni XXIII inaugurava il Concilio Vaticano II, questa rinnovata e gioiosa Pentecoste della Chiesa, che qualcuno, più o meno dissimulatamente, vorrebbe dimenticare, archiviare, o anche solo annacquare. E che invece è ancora tutta da incentivare e da compiere.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Lettera ai Galati, cap.3, 22-29; Salmo 105; Vangelo di Luca, cap.11, 27-28.

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

Oggi il maestro buddhista Thich Nhat Hanh compie ottantotto anni, essendo nato a Thūra, in Vietnam, l’11 ottobre 1926. “Giovanissimo, a soli sedici anni, aveva lasciato la famiglia per entrare in un monastero e da allora ha dedicato la vita allo studio e alla pratica dello Zen. Il Vietnam è il solo paese in cui il Buddhismo Mahayana sia fiorito assiemne al Theravada in comprensione e tolleranza reciproche. Ecco perché dall’insegnamento di Thich Nhat Hanh emerge una meravigliosa sintesi di entrambi i sistemi. Il suo insegnamento è profondamente segnato dalla guerra, i drammi, i problemi che il mondo moderno è chiamato ad affrontare e di cui il Vietnam, con la sua storia degli scorsi decenni è stato uno specchio ghiacciante. Durante la guerra Thich Nhat Hanh ha rinunciato all’isolamento monastico per aiutare attivamente il suo popolo, e da allora ha sempre affiancato alla pratica religiosa un impegno sociale e politico per la pace. Oggi vive in Francia dove dirige una piccola comunità di attivisti per la pace, scrive, insegna, si occupa di giardinaggio e si adopera a favore dei profughi di tutto il mondo”.

Di Thich Nhat Hanh, scegliamo, nel congedarci, di offrirvi una citazione tratta dal suo libro “Essere pace” (Ubaldini). Scritto quasi trentanni fa, ci sembra riflettere una realtà e una serie di problematiche, che interessano anche i nostri paesi, e su cui dovremmo imparare a riflettere con sguardo nuovo, lo sguardo della consapevolezza, della comprensione e della compassione. L’unico che possa portare a soluzioni vere. È questo, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Al Plum Village, in Francia, riceviamo ogni settimana centinaia di lettere dai campi profughi in Malesia, Indonesia, Tailandia, Singapore e nelle Filippine. Leggere quelle lettere fa molto male ma dobbiamo farlo, dobbiamo rimanere in contatto. Facciamo il possibile per aiutare i profughi, ma è un dramma di così enormi dimensioni che a volte ci lasciamo scoraggiare. Si calcola che solo la metà dei boat people riesca ad arrivare a terra, l’altra metà perisce in mare. Ci sono stati parecchi casi di ragazze violentate dai pirati. Gli Stati Uniti e altre nazioni collaborano con la Tailandia per prevenire le azioni di pirateria, ma queste continuano e costituiscono una tragedia in più per i boat people. Ricordo una lettera che parlava di una bambina di dodici anni violentata da un pirata tailandese. La bambina si annegò gettandosi in acqua. La prima reazione che si prova di fronte a un fatto del genere è di rabbia contro il pirata. È naturale prendere le parti della bambina. Ma, guardando più in profondità, possiamo vedere le cose diversamente. Se ci schieriamo dalla parte della bambina, è tutto facile: prendiamo un fucile e lo scarichiamo sul pirata. No, non possiamo fare così. La meditazione mi ha fatto capire che, se fossi nato nel villaggio del pirata, se fossi stato allevato a quel modo, adesso sarei io il pirata. Sì, con molta probabilità sarei diventato un pirata anch’io. E non sarei così sicuro di dovermi condannare. La meditazione mi insegna che ogni giorno nascono centinaia di bambini lungo le coste del Golfo del Siam e se noi educatori, assistenti sociali e uomini politici non facciamo niente per cambiare la situazione, tra venticinque anni molti di questi bambini faranno i pirati. Non è solo una probabilità, è un fatto. Se voi o io nascessimo oggi in uno di quei villaggi di pescatori, tra venticinque anni saremmo un pirata. Prendendo un’arma e giustiziando il pirata uccidete tutti quanti, perché tutti siamo in misura diversa responsabili di questo stato di cose. (Thich Nhat Hanh, Essere pace).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 11 Ottobre 2014ultima modifica: 2014-10-11T22:52:09+02:00da fraternidade
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