Giorno per giorno – 28 Luglio 2014

Carissimi,
“Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata” (Mt 13, 33). Stasera, la comunità si è riunita a casa di dona Josefa e dona Luisa, una più acciaccata dell’altra, ma entrambe prodighe di sorrisi soddisfatti e riconoscenti per aver scelto di riunirci da loro, a meditare il vangelo. Terminata la lettura del quale, come prima cosa ci siamo detti che Gesù chissà quante volte, da bambino e poi da adolescente doveva essersi fermato a guardare mezzo incantato sua madre che preparava il pane e a osservare come l’impasto di farina, dentro il quale Maria aveva nascosto un pezzetto di lievito, crescesse poi miracolosamente di volume. E, una volta o l’altra, incuriosito forse si era chiesto dove mai fosse finito il lievito, che aveva visto e poi più. Volatilizzato. Sicché, da grande, dovendo pensare al regno, che era la grande proposta che il Padre gli aveva affidato, cercando qualche immagine che potesse descriverla, per farla intendere meglio alla gente, aveva ripensato a quel gesto consueto di sua madre. Il regno è quella cosa che ci fa crescere e scompare. Tutto ciò che ci aiuta a crescere e diminuisce fino a sparire, trasformandosi e trasformandoci in una cosa nuova, in un alimento per la vita, è il Regno. È la vita di Gesù in noi. La presenza operante del suo Spirito. L’immagine dell’agire del Padre. Anche Dio sparisce, non si mostra proprio, ma noi vediamo gli effetti della sua presenza operante nella natura, e, se glielo permettiamo, nelle nostre azioni. È il lievito che si nasconde nella nostra vita, perché anche noi, una volta cresciuti a sua misura (la misura del dono), diventiamo, scomparendo, lievito per la vita degli altri. E così via, finché tutti saranno come Cristo. Solo dono.

Oggi il nostro calendario ci porta le memorie di Johann Sebastian Bach, musicista di Dio, Stanley Francisco Rother, martire in Guatemala, e Alfonsa dell’Immacolata Concezione, contemplativa in India.

Johann Sebastian Bach era nato il 21 marzo 1685 a Eisenach, in Turingia. Dopo la morte dei genitori, avvenuta in rapida successione, nel 1694-95, si trasferì presso il fratello Johann Christoph, che gli diede le prime lezioni di organo e clavicembalo. Nel 1707 divenne organista della chiesa di S. Biagio a Muhlhausen. Lì compose un gran numero di pezzi per organo e le sue prime cantate e sposò la cugina Maria Barbara, che gli darà sette figli. In seguito, fu organista alla corte di Sassonia-Weimar, poi maestro di cappella alla corte riformata del principe Leopoldo, a Kothen. Nel 1721, dopo la morte di Maria Barbara, Bach sposò in seconde nozze la giovane soprano Anna Magdalena Wulcken, che gli sarà preziosa collaboratrice e gli darà tredici figli. Trasferitosi nel 1723 a Lipsia, vi compose numerose cantate sacre e le grandi Passioni. Tra il 1730 e il 1750 si occupò della composizione della Messa in si minore e della rielaborazione di molte musiche precedenti. Nello stendere le sue composizioni, iniziava sempre ogni pagina manoscritta con le sigle “J.J.” (Jesu, juva, “Gesù, aiutami”) o “I.N.J.” (In nomine Jesu, “Nel nome di Gesù”) e, in calce ad ogni composizione, poneva le iniziali “S.D.G.” (Solo Deo Gloria, “A Dio solo la gloria”). Verso il 1749 la salute di Bach cominciò a deteriorarsi rapidamente. Giá completamente cieco, dettò L’arte della Fuga, l’ultima sua composizione, che rimase però incompiuta. Morì il 28 luglio 1750.

Stanley Francisco Rother nacque nel 1935 a Okarche, in Oklahoma. Dopo gli studi in seminario, fu ordinato sacerdote e partì nel 1968 come missionario per Santiago Atitlán, in Guatemala. Il giovane prete fu guardato subito con simpatia dagli indigeni Tzutuhil e sentito come uno di loro, tanto che gli cambiarono il nome e lui divenne padre A’plas. Senza nulla di ideologico, il prete si limitava a vivere con i suoi poveri e a volergli bene, dedicando loro tutta la sua giornata. Distribuiva cibo e medicine a chi non riusciva ad averle altrimenti, celebrava l’eucaristia (la domenica riuniva oltre tremila persone), amministrava i sacramenti, faceva catechismo, visitava i malati, accompagnava i morenti e, nei momenti liberi, andava a zappare nel campo di qualche contadino o organizzava con loro cooperative alimentari o tessili. Con l’andare del tempo, si sentì così toccato dalla fede, dalla forza e dalla semplicità degli indigeni, che non riuscì più ad immaginare la sua vita lontano da loro. Dopo che la violenza della repressione governativa raggiunse Santiago Atitlán e anche lui cominciò ad essere minacciato di morte, nel gennaio 1981, cedendo alle pressioni, fece ritorno negli Stati Uniti. Ma fu solo per poco. La Settimana Santa di quell’anno, era infatti già di ritorno tra i suoi. La situazione parve per un certo tempo tranquilla. Fino alla notte del 28 luglio, quando tre uomini mascherati entrarono nella canonica per rapirlo. Fu udito gridare: No, uccidetemi qui. E gli spararono due colpi alla testa. Dopo i funerali, la salma fece ritorno in patria, ma la famiglia accettò la richiesta che il cuore fosse sepolto nella chiesa di Santiago Atitlán.

Anna Muttathupadam era nata il 19 agosto 1910 nel villaggio di Kudamalur, nei pressi di Kottayam (Kerala, India), da Joseph e Mariam Muttathupadam. Rimasta presto orfana di madre, fu allevata da una zia materna e da un prozio prete. Sentendosi chiamata alla vita contemplativa, chiese ed ottenne di entrare tra le Clarisse del monastero di Bharnanganam, dove assumendo il nome di Alfonsa dell’Immacolata Concezione, ricevette il velo il 12 agosto 1928 e, dove, il 1° agosto 1936, fece la sua professione solenne. Purtroppo, assai presto cominciarono a manifestarsi i segni di una dolorosa malattia, che nel giro di pochi anni l’avrebbe portata alla morte. Confinata a letto, visse le sue sofferenze nel segno di un abbandono fiducioso nelle mani del Padre, certa che anche ciò che appare assurdo e intollerabile all’occhio e alla ragione umana, ha un suo senso profondo e una sua ricchezza nascosta, nella luce di Dio. Senza che mai venisse meno in lei il sorriso, si spense il 28 luglio 1946. Da allora, ogni anno, pellegrini cristiani, ma anche musulmani e induisti, continuano a recarsi alla sua tomba. È stata la prima donna indiana ad essere beatificata.

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Geremia, cap.13, 1-11; Salmo (da Dt 32, 18-21); Vangelo di Matteo, cap.13, 31-35.

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni del subcontinente indiano: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

È tutto, per stasera. Prendendo spunto, ancora una volta dalle tragiche notizie che continuano ad arrivare da Gaza, ma anche da quelle che si susseguono, provenienti dall’Irak, con le distruzioni messe in atto a danno soprattutto delle comunità cristiane della regione da parte dell’autoproclamato Califfato islamico, scegliamo di congedarci, offrendovi in lettura un testo che vorremmo diventasse vero per tutti. È il discorso all’umanità con cui si chiude il film di Chaplin “Il grande dittatore”. Con esso, il barbiere ebreo, protagonista del film, nei panni di Adenoid Hynkel, dà voce al suo sogno di un’umanità che, libera da ogni oppressione, non conosca più ingordigia, odio, intolleranza. È, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Noi tutti vogliamo aiutarci vicendevolmente. Gli esseri umani sono fatti così. Vogliamo vivere della reciproca felicità, ma non della reciproca infelicità. Non vogliamo odiarci e disprezzarci. Al mondo c’è posto per tutti. E la buona terra è ricca e in grado di provvedere a tutti. La vita può essere libera e bella, ma noi abbiamo smarrito la strada: la cupidigia ha avvelenato l’animo degli uomini, ha chiuso il mondo dietro una barricata di odio, ci ha fatto marciare, col passo dell’oca, verso l’infelicità e lo spargimento di sangue. Abbiamo aumentato la velocità, ma ci siamo chiusi dentro. Le macchine che danno l’abbondanza ci hanno lasciato nel bisogno. La nostra sapienza ci ha resi cinici; l’intelligenza duri e spietati. Pensiamo troppo e sentiamo troppo poco. Più che di macchine abbiamo bisogno di umanità. Più che d’intelligenza abbiamo bisogno di dolcezza e di bontà. Senza queste doti la vita sarà violenta e tutto andrà perduto. L’aereo e la radio ci hanno avvicinati. È l’intima natura di queste cose a invocare la bontà dell’uomo, a invocare la fratellanza universale, l’unità di tutti noi. Anche ora la mia voce raggiunge milioni di persone in ogni parte del mondo, milioni di uomini, donne e bambini disperati, vittime di un sistema che costringe l’uomo a torturare e imprigionare gli innocenti. A quanti possono udirmi io dico: non disperate. L’infelicità che ci ha colpito non è che un effetto dell’ingordigia umana: l’amarezza di coloro che temono la via del progresso umano. L’odio degli uomini passerà, i dittatori moriranno e il potere che hanno strappato al mondo ritornerà al popolo. E finché gli uomini non saranno morti la libertà non perirà mai. Soldati! Non consegnatevi a questi bruti, che vi disprezzano, che vi riducono in schiavitù, che irreggimentano la vostra vita, vi dicono quello che dovete fare, quello che dovete pensare e sentire! Che vi istruiscono, vi tengono a dieta, vi trattano come bestie e si servono di voi come carne da cannone. Non datevi a questi uomini inumani: uomini-macchine con una macchina al posto del cervello e una macchina al posto del cuore! Voi non siete delle macchine! Siete degli uomini! Con in cuore l’amore per l’umanità! Non odiate! Solo chi non è amato odia! Chi non è amato e chi ha rinnegato la sua condizione umana! Soldati! Non combattete per la schiavitù! Battetevi per la libertà! Nel Vangelo di san Luca è scritto che il regno di Dio è nell’uomo: non in un uomo o in un gruppo di uomini ma in tutti gli uomini! In voi! Voi, il popolo, avete il potere di rendere questa vita libera e bella, di rendere questa vita una magnifica avventura. E allora, in nome della democrazia, usiamo questo potere, uniamoci tutti. Battiamoci per un mondo nuovo, un mondo buono che dia agli uomini la possibilità di lavorare, che dia alla gioventù un futuro e alla vecchiaia una sicurezza. Promettendo queste cose i bruti sono saliti al potere. Ma essi mentono! Non mantengono questa promessa. Né lo faranno mai! I dittatori liberano se stessi ma riducono il popolo in schiavitù. Battiamoci per liberare il mondo, per abbattere le barriere nazionali, per eliminare l’ingordigia, l’odio e l’intolleranza. Battiamoci per un mondo ragionevole, un mondo in cui la scienza e il progresso conducano alla felicità di tutti. Soldati uniamoci in nome della democrazia! (C. Chaplin, La mia autobiografia).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 28 Luglio 2014ultima modifica: 2014-07-28T22:24:33+02:00da fraternidade
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