Giorno per giorno – 23 Luglio 2014

Carissimi,
“Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: Ecco, il seminatore uscì a seminare” (Mt 13, 1-3). Questo stesso vangelo l’avevamo già ascoltato una decina di giorni fa, ma lo si potrebbe ascoltare anche tutti i giorni, dato che il Seminatore non si prende mai ferie e, instancabilmente, se ne esce ogni mattina, a spargere con generosa prodigalità il suo seme. Seme che è poi la sua Parola, non solo quella contenuta nelle Scritture, ma quella che ci si dispiega davanti ogni giorno nella natura e nella storia, sua, nostra e del mondo. Senza troppo rigide demarcazioni, e che, come suggeriva stasera nella chiesetta dell’Aparecida, Maria Ferreira, resi a nostra volta seminatori, siamo chiamati anche noi a diffondere in giro. Piú che a parole, con il nostro modo di agire. E, così, curiosamente, a partire da Gesù, ci si trova ad essere tutti, nello stesso tempo, seminatori, seme, e terreno, in un alternarsi e confondersi senza sosta. Certo Lui (e cioè anche Dio) è il seminatore più accanito, il seme più buono, il terreno più fertile, dove la parola del Regno, si moltiplica e cresce a dismisura; noi siamo un po’ pasticcioni, pigri, demotivati, perennemente in ritardo, il seme delle nostre azioni dice spesso il contrario di ciò che proclamiamo a parole, risultando, così, decisamente poco convincente, il nostro terreno è ingombro di tutto e del contrario di tutto, ed è grazia di Dio, se, nonostante questo, qualcosa riesce a germinare. La risoluzione che è venuta fuori stasera è stata, allora, quella di farci più attenti a quanto Dio viene seminando in noi, cioè, ci viene dicendo attraverso gli avvenimenti di ogni giorno, gli incontri, anche solo occasionali, che abbiamo, le manifestazioni della natura, la cronaca del più vasto mondo che ci raggiunge attraverso i notiziari, e, anche di più, di chiederci ogni volta quale parola di Dio noi siamo per gli altri.

Oggi il calendario ci porta le memorie di Giovanni Cassiano, monaco, e di Antonio delle Grotte di Kiev, fondatore del monachesimo russo.

Di Giovanni Cassiano non si sa bene dove sia nato. Qualcuno suggerisce Dobrugia, nell’attuale Romania, verso il 360. Da famiglia altolocata, che potè garantirgli un’istruzione di tutto rispetto. Senza che questo lo legasse più di tanto. Che anzi, ventenne, partì con un amico, Germano, per il Medio Oriente. Entrambi cercavano di saperne di più, sulla vita dei monaci che avevano preso a popolare quella regione, optando per una radicale contestazione della logica e dei valori mondani. Dei quasi vent’anni che trascorse nel deserto sono frutto le Conferenze Spirituali e le Istituzioni Cenobitiche, due opere che completerà più tardi e che alimenteranno la spiritualità di molte generazioni di monaci. Verso il 400 Cassiano si recò a Costantinopoli, dove divenne presto amico e collaboratore del santo patriarca di quella che era la capitale dell’Impero romano d’Oriente, Giovanni Crisostomo. Dopo che, nel 404, questi cadde in disgrazia presso l’imperatrice Eudosia e fu mandato in esilio, troveremo Giovanni Cassiano a Roma, per alcuni anni e, successivamente, in Gallia, dove nel 415 fondò, a Marsiglia, il monastero di San Vittore, alla cui guida resterà fino alla morte avvenuta nel 435.

Antip era nato nel 983 a Lubec, nei pressi di Tchernigov. Recatosi in pellegrinaggio al Monte Athos, rimase affascinato dalla vita che i monaci vi conducevano e scelse di entrare nel monastero di Esphigmenon, assumendo il nome di Antonio. Qualche anno più tardi, il suo igumeno, Teotisto, lo convinse a ritornare in patria, per piantarvi il fermento della vita monastica. Tornato dunque a Kiev, Antonio si stabilì in una grotta sul monte Berestov, sulle rive del Dnjepr, nei pressi della città, presto seguito da altri giovani della zona, tra cui Nicon, che era già sacerdote, Teodoro e Barlaam. Quando i suoi seguaci giunsero a dodici, Antonio, designò come loro igumeno Barlaam e, successivamente, Teodosio, e si ritirò a vivere in solitudine in un luogo più appartato. Nel frattempo, ricevuto in dono dal principe Isiaslav la proprietà delle terre intorno alle grotte, i monaci cominciarono a costruirvi la Pecerskaja Lavra, il Monastero delle Grotte. L’igumeno Teodosio, convinto che il monastero non potesse vivere solo in funzione di se stesso, lo dotò di un ospedale, per accogliervi i malati della regione, una foresteria per i pellegrini e una mensa, dove potessero saziarsi coloro che avevano fame. Lui stesso poi, guidò i suoi monaci più con l’esempio che con le parole, continuando a prestare il suo servizio in cucina e nei campi, così come nella cura dei malati. Antonio morì novantenne il 10 luglio 1073 (data del calendario giuliano, corrispondente al 23 luglio del nostro calendario). Teodosio morì un anno più tardi, il 3 maggio 1074. Della Lavra di Kiev, un’antica cronaca dice: “Molti monasteri furono costruiti con la ricchezza di principi e nobili, ma questo fu il primo ad essere costruito con lacrime, digiuni e preghiere”.

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono tratti da:
Profezia di Geremia, cap. 1,1.4-10; Salmo 71; Vangelo di Matteo, cap.13, 1-9.

La preghiera del mercoledì è in comunione con tutti gli operatori di pace, quale ne sia la fede, l’ideale, la filosofia di vita che li guida.

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano tratto dalle “Conferenze” di Giovanni Cassiano. Che è, così, per oggi, il nostro

PENSIERO DEL GIORNO
Il fine di ogni religioso, la sua più alta perfezione consiste nel perseverare nella preghiera, e nel conservare, per quanto la debolezza umana glielo permetta, la pace dell’anima e la purezza del cuore. È verso questo bene così prezioso che devono tendere tutti gli sforzi del nostro corpo e tutte le aspirazioni del nostro spirito; e vi è tra queste due cose un legame intimo e necessario. L’intero edificio delle virtù è innalzato solo per raggiungere la perfezione della preghiera, e se esso non arriva a questo coronamento che unisce e lega insieme tutte le parti, non avrà alcuna solidità né alcuna durata. Senza le virtù è impossibile acquistare tranquillità e continuità della preghiera, e senza questa preghiera, le virtù che ne sono il fondamento non raggiungeranno la loro perfezione. Così noi non possiamo trattare convenientemente della preghiera, e studiarne la perfezione, che si ottiene con il concorso di tutte le virtù, senza esaminare prima ciò che bisogna eliminare o cercare di ottenere, e senza cercare, negli insegnamenti del vangelo, ciò che è necessario per edificare questa così elevata fortezza dell’anima. Tutti i nostri sforzi saranno inutili e le nostre mura non potranno elevarsi solidamente, se noi non ci correggeremo dei nostri vizi, se prima non rimuoveremo i detriti delle nostre passioni, per poi costruire sulla terra solida del nostro cuore e sulla pietra del Vangelo, le fondamenta incrollabili della semplicità e dell’umiltà che devono sostenere l’edificio di tutte le virtù e permettere di elevarlo in tutta sicurezza fino al cielo. Colui che costruisce su simili fondamenti non teme le piogge abbondanti delle passioni, i torrenti impetuosi delle persecuzioni e le tempeste furiose delle potenze nemiche. L’edificio non solo non sarà abbattuto, non sarà neppure smosso. (Jean Cassien, Les Conférences IX, 2).

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 23 Luglio 2014ultima modifica: 2014-07-23T22:17:24+02:00da fraternidade
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