Giorno per giorno – 27 Giugno 2011

Carissimi,

“Uno scriba si avvicinò a Gesù e gli disse: Maestro, ti seguirò dovunque tu vada. Gli rispose Gesù: Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Mt 8, 19-20). Ancora le condizioni che Gesù pone per seguirlo. Che, mica si è obbligati. Il buon Dio ci vuol bene lo stesso, anche se non ci imbarchiamo con il suo Figliolo. E, oltre tutto, ci evitiamo un sacco di grane. Oh, sia ben chiaro, non ci sta prescrivendo la regola del perfetto cristiano, sta solo mettendo a prova il nostro amore. Stamattina ci dicevamo che chi, quando si è innamorato, non ha patito almeno un po’ di fame, di freddo, non si è sottoposto a qualche fatica, non ha corso qualche rischio, non ha perso il sonno e la testa, probabilmente non si è mai per davvero innamorato. Gesù, il Regno, è una passione.  E, per rendercene certi, il Vangelo ci porta l’esempio del tale che vuole prima andare a seppellire suo padre. Ed era (e forse ancora è) il gesto più religioso che si potesse compiere. Gesù dal canto suo, lancia la sua provocazione, che può sembrare blasfema o sacrilega: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti” (v.22). Come a dire, lascia la tua religione se ti è di ostacolo ad abbracciare il mondo. Colpiti e affondati. Per sempre. O per sempre conquistati a Lui. Che poi, se rinunceremo a salire sulla barca (che è insieme, la chiesa, la croce e la sua avventura), tutto bene, potremo continuare a dormire sonni tranquilli, tra due guanciali. E a coltivare i nostri santi affetti e, a tempo debito, a seppellire i nostri cari. E Lui ci guarderà comunque pieno d’amore: “Sono i miei figlioli”. Ma, diamine, cosa ci saremo persi: il centuplo di tutto. Con persecuzioni.

 

Oggi è anche memoria di un martire piccolo, oscuro, di quelli che, forse, non entreranno mai nei martirologi ufficiali della Chiesa: Juan Pablo Rodriguez Ran, pastore che diede la vita per il suo gregge.

 

27 Coban Guatemala.jpgJuan Pablo era un prete indigeno, parroco nella chiesa di S. Domenico, a  Cobán (Guatemala). La sua predicazione a favore della giustizia e contro l’oppressione della sua gente è considerata “sovversiva” dall’esercito e dalla polizia e il prete è più volte avvertito che conviene “smetterla di sollevare il popolo” perché gli squadroni della morte lo stanno cercando. Di queste minacce sono al corrente anche gli altri preti della parrocchia e perfino il suo arcivescovo, che lo consiglia di mettersi calmo e tranquillo. Ma come restare calmi e tranquilli davanti alla sofferenza di tutto un popolo? La morte lo coglierà significativamente, al termine di un’Eucaristia, mentre torna in canonica. “Persone in uniforme militare” trasportate da un camion verde oliva (come gli automezzi dell’esercito)  con la targa coperta, gli sparano per strada, uccidendolo brutalmente. Era il 27 giugno 1982.

 

I testi che la liturgia di oggi propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro della Genesi, cap.18, 16-33; Salmo 104; Vangelo di Matteo, cap.8, 18-22.

 

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni dell’India, Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

 

Il Vangelo non si rivolge solo ai preti, ma a tutti i  battezzati, sempre che il battesimo sia stato una cosa seria, e non un gioco, o un rito alla fin fine sostanzialmente civile per celebrare una nascita, o una consuetudine per cercare di convincerci che non possiamo non dirci cristiani (anche quando sarebbe invece mille volte meglio vergognarci un po’ e non arrivare a dirlo), dato che si è scambiato il cristianesimo con la storia, la cultura e magari la politica e l’economia di una determinata parte del mondo. Che hanno usato (e più spesso abusato) del suo linguaggio, dei suoi contenuti, dei suoi simboli. Dunque, il Vangelo si rivolge a tutti noi, se siamo seri. Però i preti. I preti si sono assunti una responsabilità anche maggiore. Perché noi, se non altro, non ci si è messi nessuna etichetta, loro sì. Tutti siamo chiamati a essere radicali. Loro però ce l’hanno scritto in fronte. È l’unzione “in più” che li distingue. E, insomma, se hai voluto la bicicletta, pedala. Bene, abbiamo appreso dai giornali che, oggi,  è l’ultimo giorno del ministero pastorale dell’arcivescovo di Milano, il card. Dionigi Tettamanzi. E così scegliamo di congedarci, offrendovi il brano di una sua omelia, tenuta in duomo, a Milano, il 4 novembre 2008, in occasione della festa di san Carlo Borromeo. In cui ricorda ai preti “come” esserlo. È questo, per oggi, il nostro      

 

PENSIERO DEL GIORNO

Dobbiamo chiederci se non è forma di debolezza spirituale uno stile di vita che cerca anzitutto la propria comodità, che si circonda di segni di benessere, che si conforma alle continue sollecitazioni di un contesto fortemente consumistico. In questa prospettiva deve diventare più abituale il confronto con le condizioni di vita della gente, confronto che a volte è per noi sacerdoti motivo di un qualche imbarazzo. Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ci siamo sentiti affascinati dalla chiamata del Signore al radicalismo evangelico. Con una differenza: a noi preti i beni materiali (a volte anche quelli superflui) non mancano, mentre alla gente spesso manca il necessario. Noi abitiamo in case che dicono la premura del popolo di Dio per assicurare un’abitazione dignitosa ai suoi preti, mentre tanta gente non riesce a trovare casa. Il nostro ministero ci garantisce di avere sempre un’occupazione e di ricevere il necessario per un dignitoso sostentamento; molti, invece, vivono di lavori precari e di retribuzioni inadeguate. Carissimi confratelli, come preti ambrosiani da sempre noi siamo vicini alla gente. Continuiamo, partecipando agli stessi sentimenti di “compassione” di Cristo Gesù, a lasciarci commuovere dalla pesante condizione dei poveri, dai disagi e dai drammi delle famiglie. Non scandalizziamo mai i poveri con spese inutili ed eccessive. La nostra vita sia sobria ed esemplare, così che possa diventare parola forte per ricordare ai ricchi le loro responsabilità, qualora si dimenticassero dei poveri. La nostra dovrà essere parola profetica anche nel nostro tempo, teatro di tante ingiustizie e di una insopportabile, scandalosa disparità di condizioni. Ma la nostra parola suonerà vuota, incoerente e controproducente, se le nostre condizioni di vita strideranno con quel messaggio evangelico che siamo chiamati ad annunciare e testimoniare (cf Pastores dabo vobis, 30). (Card. Dionigi Tettamanzi, La povertà evangelica del presbitero al servizio della Chiesa).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 27 Giugno 2011ultima modifica: 2011-06-27T22:00:00+02:00da fraternidade
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