Giorno per giorno – 26 Giugno 2011

Carissimi,

“Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 10, 37-39). Bello da brivido, ci si diceva stamattina, questo Vangelo di oggi, anche se così apparentemente (ma solo apparentemente!) impossibile. Bello, perché ci lascia intravvedere un assoluto (che è lo stesso Gesù, il Regno, il Povero, il Principio della cura, il processo di liberazione), per cui vale la pena di sacrificare tutto il resto. Anzi, si deve, per poterne fare esperienza. Luca, nel passo parallelo, mantiene, in tutta la sua durezza, l’espressione originaria: chi “non odia il proprio padre e la madre e la donna e i figli e i fratelli o le sorelle e inoltre la propria vita non può essere mio discepolo” (Lc 14, 26). Ma come, noi non siamo la religione dell’amore? Sì, certo, proprio per questo. L’amore, se è davvero tale, non può essere “settorializzato”. Non posso amare la mia famiglia, il mio paese, la mia classe, la mia chiesa, la mia religione, la mia cultura, e infischiarmi degli altri. L’amore ridotto a parte non è già più amore, è qualcosa d’altro: è proiezione del proprio io, somma di egoismi, funzione di interessi, ricerca di protezione e di sicurezza, volontà di controllo e di potere, e altro ancora. Se si sceglie di seguire Gesù, di amarlo di più, noi, attraverso Lui, dobbiamo arrivare a dire ad ogni altro(a): sei tu mio padre, mia madre, mio figlio e figlia, e fratello e sorella; la tua cultura, chiesa, religione, patria, sono anche le mie; camminiamo insieme, costruiamo un futuro di pace.  In questo senso, ogni altro è il profeta che mi porta una parola di Dio, il giusto che mi edifica, il piccolo che mi interpella, di cui dice il Vangelo (Mt 10, 40-42). E la croce è abbracciarli e farci di essi carico. Con amore. In questo troveremo la nostra vita. La vera vita.         

 

I testi che la liturgia di questa XIII Domenica del Tempo Comune sono tratti da:

2° Libro dei Re, cap. 4,8-11.14-16; Salmo 89; Lettera ai Romani, cap. 6,3-4.8-11; Vangelo di Matteo, cap. 10,37-42.

 

La preghiera della domenica è in comunione con tutte le Chiese e comunità cristiane.

 

Oggi facciamo memoria di don Lorenzo Milani,  prete dalla parte degli ultimi. Quello di “I care”, mi interessa, mi preoccupa, ho cura. L’esatto contrario del “Me ne frego”. Con lui ricordiamo Hans Urs von Balthasar, uno dei teologi più prolifici e prestigiosi del secolo scorso.

 

26 DON MILANI.jpgLorenzo Milani era nato a Firenze il 27 maggio 1923, da una famiglia della borghesia intellettuale, di tradizione agnostica. Ebreo per parte di madre, nel 1943 si convertì al cristianesimo e decise di diventare prete, solo, come scriverà, “per spogliarsi di ogni privilegio”. Ordinato nel 1947, fu subito visto con sospetto e perseguitato dalla gerarchia ecclesiastica per il radicalismo delle sue scelte a favore dei poveri. Mandato al “confino ecclesiastico” in un paesino di montagna, organizzò una scuola per restituire la parola a quelli che chiamava i “paria” italiani. A loro, sempre severo, esigente, intollerante, ma tenerissimo, dedicherà tutto se stesso, sino alla fine. Nel 1965, con una Lettera ai Cappellani militari, prese posizione a favore dell’obiezione di coscienza. Venne denunciato e processato. Morì dopo una lunga malattia, a 44 anni, il 26 giugno 1967, poco dopo aver terminato di scrivere con i suoi studenti “Lettere  a una Professoressa”, una denuncia della scuola classista che escludeva inesorabilmente i figli dei poveri. Le sue ultime parole, prima di morire, furono: “Un grande miracolo sta avvenendo in questa stanza”. Che miracolo? “Un cammello che passa nella cruna di un ago”. Ai suoi ragazzi aveva lasciato scritto: “Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto”.

 

26 VON BALTHASAR.gifNato a Lucerna (Svizzera) il 12 agosto 1905, Hans Urs von Balthasar entrò nel noviziato della Compagnia di Gesù il 28 novembre 1928 e fu ordinato prete il 26 luglio 1936. Da allora in avanti dedicherà tutta la sua vita allo studio e all’approfondimento delle questioni teologiche a stretto contatto con i maggiori teologi del tempo, ma anche con l’apporto (che il nostro considererá indispensabile per intendere la genesi e il significato complessivo della sua opera) di Adrienne von Speyr, una donna, il cui cammino di fede fu segnato da straordinarie esperienze mistiche e con cui fondò l’istituto secolare Comunità di san Giovanni. Lasciata la Compagnia di Gesù nel febbraio 1950, von Balthasar guadagnò, nei decenni successivi, crescente spazio e attenzione sulla scena teologica internazionale. Pose come obiettivo della sua produzione teologica: “dimostrare la realtà di Cristo come la cosa insuperabilmente massima, id quo majus cogitari nequit, perché precisamente è la parola umana di Dio per il mondo, è l’umilissimo servizio di Dio che adempie oltre misura ogni mira umana, è l’estremo amore di Dio nella gloria del suo morire, affinché tutti oltre se stessi vivano per lui”. Che è, appunto, l’Amore. Von Balthasar morì il 26 giugno 1988, mentre si apprestava a celebrare messa.

 

26 Dia mundial de luta contra as drogas.jpgOggi è anche la Giornata mondiale di lotta alle droghe, questa forma di lento e inesorabile suicidio, diffusa, diffusissima, anche in questo nostro paese e perfino in questo sperduto angolo della periferia del mondo.

 

26 Tortura nunca mais.jpgEd è anche la Giornata Internazionale di appoggio alle vittime della tortura, voluta dall’ONU, per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessitá di por fine all’uso della tortura e ottenere da tutti l’applicazione della Convenzione contro i trattamenti crudeli, disumani e degradanti contro la persona. Siamo chiamati anche noi a fare la nostra parte.

 

In appendice al libro “Esperienze Pastorali”, don Lorenzo Milani pubblicò una “Lettera aperta a un predicatore”, diretta a un canonico di Prato, invitato a confessare e a tenere una predica a San Donato, dove don Milani era cappellano. Il quale canonico, com’era costume di alcuni preti di quei tempi, invece che predicare il Vangelo, si era lasciato andare ad un’arringa violenta contro i “messeri” comunisti. Additati come “mostri con le zanne”, come spesso si ha bisogno di crearne. Ferendo sensibilità e rischiando di distruggere un lavoro delicato e difficile di anni, fatto di ascolto rispettoso e di dialogo. Di cui il Giordano che appare nella lettera, rappresentava l’interlocutore tipo. Beh, noi non sappiamo se la Chiesa, qua e là, nella persona di qualche improvvido canonico, costumi ancora farsi dei mostri della povera gente, dei suoi sogni, delle sue attese, delle sue lotte. Per essere la chiesa di un certo numero di signori, più che del Signore. A dire il vero, guardando alla nostra chiesa, crediamo di no. Però, in passato, è stato così anche qui da noi. Comunque, un brano di quella lettera, ve lo proponiamo, nel congedarci, anche solo per dirci come, sperabilmente, non siamo più. Magari anche perché il Concilio, che è venuto più di dieci anni dopo quell’episodio, ha rimesso tra le mani della gente il Vangelo. E solo quello. Con tutta la sua radicalità. Eccovi, dunque, quello che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Durante la predica me lo ritrovai accanto. Le parole eccitate del predicatore tagliavano nel vuoto furiosamente. Io pensavo a lui e a nessun altro. Volevo bisbigliargli: “Prega per lui”. Poi non lo dissi temendo di insegnargli troppa superbia. Vedevo che soffriva: quel tono di polemica accesa l’aveva già sentito troppe volte, alla cellula. Ero sicuro che pensava a loro  e al Signore, che offriva a Lui per loro il suo patire, che diceva: “Signore, fa che nessuno di loro  senta la predica, fa che nessuno la racconti loro…”. Lui, che non era più di loro, li amava ancora tanto e li capiva e li capirà, spero, sempre di più. In questo era già tanto più alto di lei, Padre. Sì, Padre, mi scusi se ho detto così. Sì, lo so, anche lei li ama. Ma è un’altra cosa, mi creda. Lei dal pulpito tuonava: “… quei messeri!”. Quei messeri per lei parevano mostri con le zanne. Per lui quei messeri erano il sorriso patito e tanto caro del babbo, erano i musi neri dei compagni di officina, erano le loro parole di eguaglianza, casa per tutti, lavoro per tutti, cose belle e buone mischiate a tanto male, ma sempre belle e buone. E lei dal pulpito seguitava a buttarmelo fuori di chiesa a pedate! Mi sentii vicino a lui fino in fondo e estraneo a lei. Mi pareva di esser buttato fuori anch’io dalla chiesa e ci soffrivo perché avevo la certezza che di due fosse più giusto ci stesse lui, che lei e me, nella chiesa di Cristo falegname. Poi lei partì. Giordano sopravvisse al colpo. Ma ne porta ancora la cicatrice. (Don Lorenzo Milani, Esperienze Pastorali).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 26 Giugno 2011ultima modifica: 2011-06-26T22:27:00+02:00da fraternidade
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