Giorno per giorno – 12 Giugno 2011

Carissimi,

“Detto questo, soffiò e disse loro: Ricevete lo Spirito Santo” (Gv 20, 22). Il Vangelo non racconta l’evento che celebriamo oggi. Racconta invece questa Pentecoste privata, che accadde lo stesso giorno di Pasqua, tra Gesù e i discepoli. Noi stamattina, nella chiesa del monastero, non si doveva essere un numero maggiore del gruppetto sparuto di discepoli, che se ne stavano al chiuso in quella prima domenica di risurrezione (ma per loro era ancora una domenica qualunque). E le persone lì riunite, siamo convinti che, in buona parte almeno, somigliassero molto a questi, anche tipologicamente. Gente della periferia (come lo erano quei galilei che Gesù, non possiamo dimenticarlo, si era scelto), senza la cultura dei signori, i beni dei signori, il buongusto dei signori, e persino la religione dei signori. Tutto un po’ messo assieme, come si riesce, quando si riesce. Il resto della città, a quell’ora, assiepava la cattedrale. Come, a quel tempo, in quei giorni di Pesach, la gente avrà affollato il Tempio. Ma Gesù non si rivela nel Tempio. E sì che sarebbe stato tutto píù fruttuoso e semplice, anche per noi. Di un miracolone così ne avrebbero parlato persino i libri di storia. E, invece no, chi ci vuol credere ci creda. I suoi, del resto, ce l’hanno messa tutta per non credere, o per credere alla loro maniera; poi, però, alla fine, hanno dovuto cedere e, soprattutto, hanno dato buona prova. Dunque, arriva Gesù, a porte chiuse (le loro e le nostre), senza grandi liturgie (quelle, le inventeranno in seguito, per mancanza di fantasia), e come prima cosa gli dice: facciamo pace! È tutto finito, passato, scordato. Poi gli mostra le mani e il costato, come a dire: che prezzo, ragazzi! Vi sfido a dirmi che non vi ho voluto bene. Ma, pace, facciamo pace. Voglio che siate come me, figli e figlie del Padre. E soffia, come aveva visto fare dal Padre,  all’inizio di tutto, quando, dopo aver plasmato l’uomo con polvere del suolo, “soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente” (Gen 2, 7). Quel soffio è il suo Spirito ed è lo Spirito del Padre che aveva fecondato Maria e che poi era sceso su di Lui nel battesimo. Ed ora Lui ce lo iniettava dentro. Altrove, quel soffio, Gesù l’aveva chiamato Paraclito, il Consolatore (Gv 14, 16. 26; 15, 26): la consolazione designa così l’attuazione dello Spirito. Paolo scriverà: “Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione! Egli ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio” (2Cor 1, 3-4). Nella lingua della Bibbia, “consolare” (nhm) esprime ciò che noi, oggi, chiamiamo il “principio della cura”, che traduce la disponibilità e la presenza personale di uno nei confronti dell’altro.  È un’azione che ha la sua origine in Dio, ma che subito si trasforma nel nostro stesso agire. Tutto ciò non è diverso dal mandato che Gesù affida ai discepoli: “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi” (Gv 20, 23). Con un’aggiunta che merita la nostra attenzione: “a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”.  Questo non significa che sarebbe moralmente indifferente per noi il fatto di perdonare o meno, di consolare o no. Non possiamo dimenticare che il Vangeloci impone di perdonare sempre, arrivando a fare di ciò la condizione per ricevere il perdono. L’affermazione vuole allora sottolineare la nostra responsabilità: se il mondo va male, se la società non è quella che ci piacerebbe che fosse, se il creato è minacciato, la colpa non è di un destino cinico e baro, o di una qualsiasi altra forza ingovernabile, esterna a noi, o, meno ancora, di Dio; ma deve essere ricercata dentro di noi e tra di noi, nei meccanismi perversi generati dalla nostra sete di potere, dal nostro desiderio di affermarci gli uni contro gli altri, o ancora da questa esagerata cura di sé, che ci imprigiona in un solipsismo triste e senza riscatto. Pentecoste: festa della responsabilità dell’essere umano, chiamato a relativizzare tutto davanti a Dio e alla promozione del suo Regno, secondo la grande lezione di Paolo: “Non ritengo la mia vita meritevole di nulla, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù Cristo, di rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio” (At 20, 24). Se siamo coraggiosi, facciamoci sotto.

 

 

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A cinquanta giorni dalla Pasqua la Chiesa celebra la solennità di Pentecoste, in cui si fa memoria della discesa dello Spirito Santo sugli apostoli riuniti in preghiera “insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui” (At 1, 14). È anche celebrazione del segreto lavorio dello Spirito in tutti coloro che si arrendono all’Evangelo del Regno, lo annunciano e lo testimoniano.

 

I testi che la liturgia  propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:

Atti degli Apostoli, cap.2, 1-11; Salmo 104; Lettera ai Romani, cap.8, 8-17; Vangelo di Giovanni, cap.20, 19-23.

 

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane. 

 

Il nostro calendario ecumenico porta oggi le memorie di Medgar Wiley Evers, martire della lotta nonviolenta degli afroamericani, e di Enmegahbowh, primo prete e missionario indiano d’America. 

 

12 MEDGAR EVERS.jpgMedgar Wiley Evers era nato il 2 luglio 1925, a Decatur, nel Mississippi, figlio di  James and Jessie. Aveva frequentato scuola fino a quando, diciottenne, era stato chiamato sotto le armi e spedito in guerra. Al ritorno dal fronte, si era iscritto alla Facoltà di economia e commercio dell’Università statale di Alcorn e, lì, oltre a studiare, come ogni bravo ragazzo, cantava nel coro, giocava a calcio, gareggiava in atletica leggera, redigeva il giornaletto dell’Università. Dopo la laurea, sposò Myrlie Beasley e insieme furono ad abitare a Mound Bayou, dove cominciò la sua lotta per i Dirittti Civili, organizzando il boicottaggio dei distributori di benzia che non permettevano l’uso delle toilette ai neri e creando sezioni locali del NAACP (Associazione nazionale per il progresso della popolazione di colore).  Per mantenere la famiglia, lavorò qualche anno come agente assicurativo, fino al 1954, quando la Corte suprema dichiarò incostituzionale la segregazione razziale nelle scuole. Chiese allora l’ammissione alla Facoltà di Legge del Mississippi, ma gli fu negata. Questo però richiamò su di lui l’interesse della direzione nazionale del NAACP, che gli propose una collaborazione a tempo pieno. Trasferitosi con la moglie a Jackson, cominciò a investigare gli episodi di violenza contro i neri e si impegnò per fare ammettere all’università James Meredith, che sarebbe diventato di lì a poco il primo afroamericano a varcare i cancelli di un’università del Mississippi. Tutto bene, ma crebbe l’odio nei confronti di Evers. Il quale, la notte del 12 giugno 1963, rientrando a casa, fu ucciso da un proiettile assassino. Il killer, un sostenitore della supremazia dei bianchi, tale Byron De La Beckwith, processato due volte negli anni sessanta, riuscì in entrambi i casi a farla franca. Solo nel 1994, sottoposto nuovamente a processo, sarebbe stato riconosciuto colpevole e condannato all’ergastolo. Medgar Evers, lui, aveva scritto, qualche anno prima di essere ucciso: “Può sembrare strano, ma io amo il Sud. Io non potrei scegliere di vivere altrove. Qui c’è terra, dove un uomo può allevare il suo bestiame, ed io comincerò a farlo un giorno o l’altro. Ci sono laghi dove puoi lanciare l’amo e pescare la tua trota. Qui c’è spazio dove i miei bambini possono giocare e crescere e diventare buoni cittadini. Sempre che l’uomo bianco glielo consenta”.

 

12 ENMEGAHBOWH.jpgEnmegahbowhfu il primo nativo americano ad essere ordinato prete nella Chiesa Episcopale degli Stati Uniti. Era nato nel 1807 da una famiglia dell’etnia Odawa (o Ottawa, da cui traggono il nome alcune città degli Usa e la capitale del Canada), stanziata nelle regioni dell’Ontario, Oklahoma e Michigan. Il suo nome significa “Colui che prega [per il suo popolo] stando in piedi”. Sposato a una donna degli indiani Ojibwa, entrò a far parte di questa tribù. Fu nel 1851, quando era già più che quarantenne, che Enmegahbowh passò dal Midewiwin, la religione sciamanica dei suoi antenati, al cristianesimo, facendosi battezzare da James Lloyd Breck, un missionario venerato come santo dalla Chiesa episcopale. Divenuto diacono, fu mandato, nel 1858, a Crow Wing, nel Minnesota, per aiutare nella fondazione di una nuova missione, di cui assunse la responsabilità, nel 1861. Fu ordinato prete nel 1867. In anni assai difficili, segnati dalle continue prepotenze dei bianchi, e dal comprensibile desiderio di vendetta degli indiani, Enmegahbowh fece di tutto per tutelare i diritti della sua gente e salvaguardare la pace, affrontando ogni rischio e pericolo pur di affermare il messaggio di vita di Gesù. Morì nella riserva indiana della Terra Bianca, nel nord Minnesota, il 12 giugno 1902, all’età di 95 anni. Il calendario episcopale dei santi ne fa memoria in questo giorno.

 

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una “Invocazione allo Spirito Santo”, tratta dagli “Inni” di San Simone il nuovo teologo. Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Vieni, luce vera. / Vieni vita eterna. / Vieni, mistero nascosto. / Vieni tesoro senza nome. / Vieni realtà ineffabile. / Vieni persona inconcepibile. / Vieni, felicità senza fine. / Vieni, luce senza tramonto. / Vieni, risveglio di chi dorme. / Vieni, risurrezione dei morti. / Vieni, o potente, che sempre fai e trasformi le cose col tuo volere. / Vieni, invisibile, intangibile e impalpabile. / Vieni, tu che sempre rimani immobile, / e ad ogni istante ti muovi e vieni a noi / addormentati negli inferi, tu che sei sopra i cieli. / Vieni, nome diletto e ovunque ripetuto, / di cui non possiamo esprimere l’essere / né conoscere la natura. // Vieni, gioia eterna. Vieni corona incorruttibile. / Vieni, porpora del grande re nostro Dio. / Vieni cintura cristallina e costellata di gioielli. / Vieni destra sovrana. / Vieni, tu che hai desiderato la nostra povera anima. / Vieni tu il Solo verso chi è solo. / Vieni tu che mi hai separato da tutto / e fatto solitario in questo mondo. / Vieni, tu diventato in me desiderio. / Vieni mio soffio e mia vita. / Vieni, consolazione della mia povera anima. / Vieni, mia gioia, mia gloria, mia delizia senza fine. // Ti ringrazio d’essere sceso a diventare / un solo spirito con me, senza confusione, / senza mutazione, senza trasformazione, / tu il Dio al di sopra di tutto, / e d’esserti fatto a tutti cibo ineffabile e gratuito / che senza fine straripi inesauribilmente / e zampilli alla fonte del mio cuore. // Grazie per esserti fatto per me luce senza tramonto, / sole senza declino, perché non hai dove nasconderti, / tu che riempi l’universo della tua gloria. / Siamo noi invece a volerci nascondere da te. // Vieni Signore, pianta oggi in me la tua tenda ; / costruisci la tua casa e rimani eternamente / inseparabilmente in me, tuo servo, perchè alla fine anch’io mi ritrovi in te / e con te regni, Dio al di sopra di tutto. // Conservami incrollabile nella fede, e vedendoti, / io che son morto, vivrò ; e possedendoti, / io il povero, sarò sempre ricco più di tutti i re ; / e mangiandoti e bevendoti, vestendomi di te, vada di delizia in delizia : / tu sei il vero bene, la vera gloria, la vera gioia ; / a te appartiene la gloria, / o santa, consustanziale e vivificante Trinità, / ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen // (San Simone nuovo teologo, Invocazione allo Spirito Santo)           .

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 12 Giugno 2011ultima modifica: 2011-06-12T23:34:00+02:00da fraternidade
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