Giorno per giorno – 11 Giugno 2011

Carissimi,

“Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10, 7-8). Non fosse stato per la memoria dell’apostolo Barnaba, la cui liturgia ci propone il brano matteano della missione dei Dodici, noi si sarebbe dovuto leggere, in questo giorno che precede la festa di Pentecoste, la chiusa del Vangelo di Giovanni, che fa così: “Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere” (Gv 21, 25).  Il che potrebbe suonare un’esagerazione, se non fosse il fatto che Gesù e il suo Spirito non hanno mai cessato di operare, né mai cesseranno. Ed è comunque un bene che gli evangelisti siano stati solo quattro e si siano limitati a scrivere quei loro libriccini, se no, la foresta amazzonica sarebbe estinta da tempo e noi con essa. Sappiamo però che ogni parola di Vangelo scritta riflette anche la nostra vicenda (di tutti), che ne è, allora, una particolare interpretazione e attualizzazione. Questo è quanto, noi da qui, e voi da lì, cerchiamo di fare e di raccontarci, giorno per giorno. Inutile dire che il nostro desiderio sarebbe quello che la nostra vita fosse sempre annuncio di un regno che si fa ogni volta più vicino, secondo l’invito di Gesù. E che noi potessimo essere guariti e guarire, essere purificati e purificare, essere liberati e liberare. E, dopo aver ricevuto gratuitamente, imparassimo finalmente anche a dare, e a darci, gratuitamente. Dobbiamo però confessare ogni volta che la nostra pratica è ben lontana dai nostri desideri. Forse anche perché i nostri desideri sono altri, lontani da ciò a cui Lui insistentemente ci invita. Prenderne coscienza è comunque già qualcosa. Noi si può cominciare ad aiutarci in questo.

 

Il calendario ci porta oggi le memorie di Barnaba, apostolo, e di Luca di Simferopol, pastore al servizio dei poveri.

 

11 BARNABA APOSTOLO.jpgIn realtà si chiamava Giuseppe ed era un levita, nativo di Cipro. Quando si era fatto cristiano, aveva venduto il suo campo e, il ricavato, l’aveva depositato ai piedi degli apostoli ed era stato grazie a lui, presto soprannominato Barnaba (“figlio della consolazione” o, forse, più probabilmente, “figlio della profezia”), che l’appena convertito persecutore dei cristiani Saulo-Paolo era stato ammesso nella cerchia dei discepoli, piuttosto diffidenti nei suoi confronti. Fu ancora lui ad essere inviato a prendere contatti con la neonata comunità di Antiochia di Siria, presso la quale poi portò Paolo. Insieme con questi organizzò la raccolta di aiuti per la chiesa madre di Gerusalemme, dove la popolazione soffriva la fame per una carestia. Tornati a  Gerusalemme progettarono il primo viaggio missionario, quello in cui Marco darà forfait e che li porterà a Cipro e in una parte dell’Asia Minore. Di nuovo a Gerusalemme, parteciparono alla discussione sugli obblighi che i cristiani provenienti dal paganesimo dovevano assumere. Il mancato accordo con Paolo sul secondo viaggio missionario, porterà alla separazione definitiva dall’antico compagno. Ritenendo che Marco avesse più bisogno di lui che non l’altro, Barnaba se ne andò con lui a Cipro. Qualche anno dopo, le carte si rimescolarono. Sappiamo dalle lettere di Paolo che Marco stava con lui e, sempre Paolo, spenderà, nella lettera ai Corinzi, sette-otto anni dopo la separazione, una parola di elogio per Barnaba, perché anch’egli si manteneva con il suo lavoro. Ma non sappiamo dove, né come. Forse, azzardiamo, nella nativa Cipro.  Luca, l’autore degli Atti degli apostoli, avendo preso partito per Paolo, non ce ne dice nulla. Una tradizione vuole che si sia recato a Roma e a Milano, per predicarvi l’evangelo, e che sia più tardi morto martire a Salamina verso l’anno 63.

 

11 Luca di Simferopol.jpgValentin Feliksovic Wojna-Jasieniecki era nato il 14 aprile 1877 a Ker, in Ucraina, da una nobile famiglia polacca. Nel 1917, dopo gli studi in medicina, si era trasferito, con la famiglia che aveva nel frattempo costituito, a Taskent, dove aveva ottenuto il posto di chirurgo primario nel locale ospedale. Nello stesso periodo, la moglie si era ammalata di tubercolosi e, nel 1919, era morta, lasciandolo vedovo con quattro figli a carico. Nel 1921, accettata la proposta di abbracciare lo stato ecclesiastico avanzatagli dal vescovo della città, fu ordinato presbitero, pur continuando ad esercitare la professione, con un’attenzione particolare per i più poveri, e ad insegnare all’università. Prima di ogni operazione, padre Valentin soleva raccogliersi in preghiera e volle sempre tenere le sue lezioni, indossando l’abito sacerdotale. Nel 1923, dopo aver preso i voti monastici e assunto il nome di Luca, fu eletto vescovo di Taskent. Il suo ministero pastorale  fu contrassegnato da persecuzioni, arresti, prigionie, condanne al confino. Nel 1942, alla fine della sua ultima prigionia, il metropolita Sergio Stratogorskij lo nominò arcivescovo di Krasnojarsk, in Siberia. Nel 1946, su richiesta delle autorità che mal tolleravano la sua attività,  fu trasferito alla chiesa di Simferopol, in Crimea, dove rimase fino alla morte, che lo raggiunse più che ottuagenario e ormai quasi cieco, l’11 giugno 1961. Per quanto lui stesso poverissimo, e forse proprio per questo, era sempre stato fedele nell’aprire le porte della sua casa agli ultimi e più poveri, in totale umiltà e mansuetudine.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono propri della memoria dell’apostolo Barnaba e sono tratti da:

Atti degli Apostoli, cap.11, 21b-28; 13, 1-3; Salmo 98; Vangelo di Matteo, cap.10, 7-13.

 

La preghiera del sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

 

“Il suo sforzo principale è stato quello di correre, di correre il più velocemente possibile verso una meta, di correre verso il Regno di Dio”, così Luca di Simferopol descrive l’apostolo Paolo in una sua omelia. Una sorta di Forrest Gump del Regno, come siamo chiamati ad esserlo tutti. E invece. Beh, un pezzo di quell’omelia – la “Homily Two on the Prayer of St. Ephrem” – ve l’offriamo, nel congedarci, come nostro   

 

PENSIERO DEL GIORNO

La vita ci è data perché possiamo affrettarci a compiere la grande opera della purificazione dei nostri cuori, al seguito del Signore Gesù Cristo. E questa sequela del Cristo è un lavoro intenso, spesso un duro lavoro, non è mai ignavia.  È il perseverare nella sofferenza per amore del Signore Gesù Cristo, mentre l’indolenza non soffre, anzi fugge la sofferenza. Voi sapete bene che tutti i santi che – almeno per quel che consta – non avrebbero avuto bisogno di lavorare e che dedicarono tutta la loro vita alle lotte spirituali, divisero tuttavia le ore della loro giornata in tre parti: una dedicata alla preghiera, una alla lettura della Parola di Dio e una al lavoro.  Sia che abitassero nel deserto, di Libia o d’altrove, o nelle foreste dell’estremo nord, in un’impassibile solitudine, dedicavano una parte del loro tempo al lavoro. Sceglievano tra vari lavori: intrecciavano ceste e tappeti; coltivavano giardini; abbattevano foreste; e costruvano celle, chiese e monasteri. Ciò che fabbricavano con le loro mani, lo vendevano poi nelle città più vicine, per nutrire loro stessi e i poveri. Considerano il lavoro un’atto importante e indispensabile. San Paolo, durante il giorno, predicava la parola di Dio e, di notte, fabbricava tende. Alla luce della luna o di una lampada, lavorava con diligenza e considerava questa una fatica necessaria per lui. Il suo lavoro maggiore, il suo sforzo principale è stato quello di correre, di correre il più velocemente possibile verso una meta, di correre verso il Regno di Dio. Conoscete le sue parole meravigliose? “Fratelli, io non ritengo di averlo afferrato. Una cosa però è certa: dimentico di ciò che mi sta alle spalle e proteso in avanti, corro verso il traguardo, in vista del premio che Dio in Gesù Cristo ci chiama a ricevere lassù” (Fil 3, 13-14). Egli non ritenne mai di averlo già raggiunto e così si spinse sempre più in avanti; e, dimenticando quanto aveva conseguito, si adoperò verso un obiettivo maggiore, quello di ottenere l’altissima vocazione divina in Cristo Gesù. Questo è l’esempio di una vita che è l’esatto contrario di quella di chi vive nell’indolenza. Nessuna traccia di pigrizia trovereste nella vita dell’Apostolo Paolo, nella vita di eremiti e asceti, nella vita dei monaci, o in quella dei grandi santi. Tutti si tennero sempre occupati da mattina a sera, fuggendo l’ozio, da essi considerato un male grande e mortale. (St. Luke of Simferopol,Homily Two on the Prayer of St. Ephrem).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 11 Giugno 2011ultima modifica: 2011-06-11T22:56:00+02:00da fraternidade
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