Giorno per giorno – 26 Maggio 2011

Carissimi,

“Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore” (Gv 15, 9). Aveva detto: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto” (v. 5), ed ora spiega come restare in lui: osservare i suoi comandamenti. E noi, a sentire questo, si entra subito in agitazione. Dato che siamo abituati a ripeterci che, in amore, non si può comandare, né proibire, un bel nulla. Ma, niente paura, perché il comandamento afferma semplicemente: Se vuoi davvero sapere cosa significa amare (e, perciò, essere felice, pienamente felice, e fare felici gli altri), ama come io ti ho amato. Dando tutto te stesso. Nel pomeriggio, alla chácara di recupero, meditando questo Vangelo, ci dicevamo che noi, probabilmente non arriveremo mai a capire la sofferenza e l’angoscia provata da Gesù sulla croce, di fronte all’evidente fallimento che segnava i suoi ultimi momenti, alle sue attese mancate, alla radicale incomprensione e al disincontro tra lui e i suoi, più ancora che quella scontata nei confronti dei rappresentanti del potere. Eppure, in una maniera a noi altrettanto incomprensibile, quei momenti dovevano essere percorsi da un’intima felicità, quella derivante dall’obbedienza alla Parola del Padre, che dice che l’amore, per essere tale, deve essere portato alle estreme conseguenze. E anche dalla felicità che un giorno i “suoi” l’avrebbero saputo e capito. Quando abbiamo chiesto ai nostri amici della chácara chi di loro avesse già dei figli (e, benché giovani, quasi tutti ne hanno almeno uno), e se, di fronte a un pericolo di vita che essi potessero correre, non sarebbero disposti a sacrificare la loro, beh, a più d’uno sono luccicati gli occhi, ed era una risposta assai più palese di ogni loro sì. Questo è il comandamento di Dio che lo Spirito ci scrive dentro e che noi chiamiamo semplicemente amore. È da lì che dobbiamo ripartire per coniugarlo poi in ogni altra relazione e situazione. Gesù, che è il Figlio, di cui siamo chiamati ad essere fratelli, ci è riuscito, proprio nel suo fallimento, nei confronti di amici e nemici. Noi. Noi si ha persino paura a dirlo. Ma ci riusciremo.

 

Il calendario ci porta oggi è memoria di  Filippo Neri,  il prete dell’allegria, di don Cesare Sommariva, “don Cece”, maestro e preteoperaio, e di Abd el Kader, mistico islamico.

 

26 FILIPPO NERI.jpgFilippo Neri era nato a Firenze il 21 luglio 1515, nella famiglia di un notaio. Per un certo tempo, aveva pensato di seguire il padre nella sua professione. Poi cambiò d’idea e andò via dalla città, trasferendosi prima a Cassino e poi, nel 1538,  a Roma. Lí cominciò a lavorare tra i ragazzi delle borgate e li lasciava fare tutto il casino che volevano, perché pensava che comportarsi male non consiste nel contravvenire il galateo, ma è altro. Poi, a quelli che se la sentivano,  gli insegnava a leggere la Bibbia, a cantare e li portava perfino a messa. Fondò una confraternita di laici che si incontravano per pregare e per dare aiuto ai pellegrini e ai malati. A 36 anni il suo confessore decise che era bene che fosse ordinato prete e Filippo obbedì, dando vita,  poco dopo, all’Oratorio, una congregazione religiosa di sacerdoti, impegnati in particolar modo nell’educazione dei giovani.  A scanso di possibili delusioni, pregava spesso così: “Signore, non aspettare da me se non male e peccati; Signore, non ti fidar di me, perché cadrò di certo, se non m’aiuti”. La gente faceva fila davanti al confessionale, perché non era malato di testa e dicevano che sapesse leggere nei cuori. Morì ottantenne, il 26 maggio 1595.

 

26 CESARE.jpgCesare Sommariva era nato a Milano l’8 gennaio 1933 in una agiata famiglia della borghesia milanese. Conseguita la maturità classica, era entrato in seminario e, dopo gli studi di teologia, fu ordinato prete, il 26 giugno 1955. Inviato come coadiutore nella parrocchia di Pero, nell’hinterland milanese, vi restò fino al 1970. Nel frattempo aveva conosciuto e stretto amicizia con don Lorenzo Milani, con cui condivise il progetto di restituire la parola ai poveri che ne erano stati espropriati, favorendo l’acquisizione di un pensiero autonomo, capace di sottrarsi ai luoghi comuni e alle sirene dell’ideologia dominante. Nacque così l’esperienza delle scuole popolari di quartiere e dei doposcuola.  Nel 1970 fu incaricato con altri due confratelli di dare vita a una nuova parrocchia nella periferia della città operaia di Sesto San Giovanni. Dopo quattro anni chiese ed ottenne di iniziare la vita di prete operaio. Assunto alla Redaelli di Rogoredo, una grande acciaieria nella periferia Sud di  Milano, vi rimase fino alla crisi dell’azienda, condividendo con gli altri operai il massacrante orario di lavoro dei tre turni. Nel 1977 ottenne di fare vita comune con altri due preti operai: nacque così la Comunità San Paolo, a cui nel 1980 fu affidata la cura pastorale del quartiere Stella di Cologno Monzese. Nel 1986, ormai pre-pensionato, in seguito alla definitiva chiusura della Redaelli, avvenuta nel 1984, chiese al card. Martini di essere inviato come prete  fidei donum in Salvador, negli anni dello scontro tra il dittatore Duarte e le forze della guerriglia raccolte nel Fronte di Liberazione Nazionale Farabundo Marti. Nel 1992 Mons. Rivera y Damas, che, nel 1980, era succeduto a mons. Romero, lo nominò parroco della parrocchia di San Roque, nella periferia più povera della capitale. Colpito da una forma di epatite, che andò progressivamente aggravandosi, continuò a spendersi al limite delle forze, fino al definitivo rientro in Italia, nel 2004. Qui, nell’affrontare la malattia che faceva il suo corso, visse momenti di sofferta depressione e di abbandono radicale al suo Dio. Fino alla morte, avvenuta il 26 (ma, secondo altre fonti che scopriamo all’ultima ora, il 19) maggio 2008. La Chiesa di Milano ha scritto di lui: “A volte cerchiamo modelli di vita perché ci aiutino a camminare. Don Cesare non è un santino da immaginetta, ma un eccezionale prete scomodo che ha seguito il Signore con fedeltà ed amore”.

 

26 ABD_EL_KADER bis.jpgAbd el Kader era nato nel villaggio di Guetna, poco distante da Mascara, in Algeria, nel 1808. Era stato educato nella zaouia diretta da suo padre, Si Mahieddine e, in seguito, aveva completato la sua formazione a Arzew e a Orano, sotto la guida di maestri prestigiosi. Dopo la presa d’Algeri, nel 1830, padre e figlio parteciparono alla resistenza, che elesse Abd el Kader emiro e gli affidò il comando del fronte anti-coloniale.  Arresosi ai francesi nel 1847, Abd el Kader, dopo sei anni di prigionia in Francia, scelse la via dell’esilio, stabilendosi, nel 1855, a Damasco, in Siria, dove abiterà fino alla morte nella casa di Ibn Arabi, il mistico, vissuto sei secoli prima, che egli considerava suo maestro.  Non lascerà, più il paese, se non per brevi viaggi e un pellegrinaggio alla Mecca, consacrando il suo tempo alla meditazione, alla preghiera, all’insegnamento e alla beneficienza. Nel 1860, i moti di Damasco gli fornirono l’occasione di mostrare la grandezza del suo animo. Dimentico dei soprusi a suo tempo subiti, salvò migliaia di cristiani dal massacro, inducendo i rivoltosi a ritirarsi. Celebrato e onorato, Abd el Kader si spense a Damasco il 26 maggio 1883.

 

I testi che la liturgia odierna propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:

Atti degli Apostoli, cap.15, 7-21; Salmo 96; Vangelo di Giovanni, cap.15, 9-11.

 

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene

 

Su don Cesare Sommariva, ci scriveva quest’oggi un’amica di Milano: “Oltre ad ammirare l’instancabile ricerca di quest’uomo, capace di andar sempre ‘oltre’, senza paura, mi veniva da pensare che tutto questo è avvenuto nella diocesi ambrosiana, in un periodo in cui si sono succeduti più arcivescovi e, se questo è stato possibile, vuol dire che la nostra chiesa di Milano è ancora ben viva. Lo stesso card. Tettamanzi che, quando è arrivato non sapevamo bene come avrebbe operato, si è rivelato sempre più una voce forte e autorevole, capace di esprimere al meglio il sentire di una comunità ecclesiale, ma anche di una parte della società civile, che, iniseme, intendono riaffermare il valore e la bellezza del “farsi prossimo”, come principio non negoziabile. Sono certa che questo sta contribuendo alla rinascita di Milano che, anche con queste elezioni, sembra profilarsi all’orizzonte. Speriamo ne tengano conto a Roma nella nomina del prossimo pastore”. Il che ci trova completamente d’accordo.  

 

Per stasera è tutto. Noi ci si congeda con un’ultima citazione di Don Cesare Sommariva, tratta dal suo “L’umano educatore”. Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Dicesi umano educatore colui che sa stabilire una relazione tra umani, senza paura, senza far paura, liberando dalla paura. Il contenuto della relazione non conta. Quello che conta è una relazione nuova, in cui non ci sia nulla che possa aver a che fare con la paura. In un mondo in cui i poveri sono oppressi, i prepotenti trionfano, i miti sono disprezzati, occorre realizzare relazioni pulite e dolci, non sporche di premi, castighi, obblighi, non seduttive né sdolcinate, ma relazioni in cui ci siano nuovi incontri, nuovi riti, nuovi ritmi. Per questo noi non saremo mai istituzione, / perché ogni istituzione chiede i suoi servi, perché ogni istituzione include ed esclude, e per far questo usa il premio, il castigo ed il sapere. / Tutte cose che provocano la paura di non essere premiato, di essere castigato, di non sapere. / Noi non costruiremo una organizzazione, / noi siamo e saremo solo un investimento di desideri /  di liberazione dalla paura. / Il costo di tutto ciò è il pensare, lavorare, muoversi da minoranza, / con tutto quello che ciò significa di impotenza e di libertà. // Di noi non deve rimanere nulla, / al di fuori del ricordo di aver un tempo e per un tempo camminato assieme ricercando libertà e liberazione. / Questo patto fra uomini e donne che si riuniscono per dignità e non per odio, decisi a riscattare la vergogna ed il terrore del mondo. / Nessuno educa nessuno. / Gli uomini si educano fra loro / nella costruzione di un mondo di libertà. / Questo è il punto a cui siamo arrivati. / E lo abbiamo scritto per averlo ben chiaro nel cuore e nella testa. / (Cesare Sommariva, L’umano educatore).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

 

Giorno per giorno – 26 Maggio 2011ultima modifica: 2011-05-26T23:42:00+02:00da fraternidade
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