Giorno per giorno – 17 Maggio 2011

Carissimi,

“Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano” (Gv 10, 27-28). Alvino aveva chiesto che l’incontro di stasera fosse a casa sua, perché domani sarà il compleanno di sua madre, dona Apolônia, che, se fosse ancora qui, farebbe 93 anni. E sarà anche l’anniversario della morte di sua moglie. E lui, nel darci il benvenuto, dice: “Finché Dio ci dà vita, prego perché questa comunione tra noi non venga meno, e ogni volta che vorrete pregare, meditare il Vangelo o anche solo bere un caffè con me, la porta è aperta, la casa è vostra”. Alvino ha un braccio offeso per i postumi di un’emorragia cerebrale che gli è capitata qualche anno fa e la sua salute continua ad essere un po’ così così. E tuttavia sa che, in ogni caso, qualunque cosa accada, lui e noi e tutti siamo in buone mani. E, da quelle mani, nessuno ci potrà strappare. Di quelle mani, poi, noi, se possiamo aggiungere qualcosa, dovremmo essere sacramento. Se siamo davvero discepoli di Gesù. Se, cioè, crediamo in Lui, se di Lui abbiamo fatto la verità della nostra vita, se abbiamo capito che cosa ci testimoniano le sue opere, e se ne abbiamo conseguentemente fatto il criterio delle nostre azioni.  Mani che proteggono, siamo chiamati ad essere. Allora saremo anche noi una cosa sola con il Padre (v.30).

 

Il calendario ci porta oggi la memoria dei 29 Martiri di Shimabara e Unzen, in Giappone.

 

17 UNZEN.jpgNel secolo XVI il Giappone era nominalmente governato da un imperatore, ma di fatto era diviso in 76 feudi, a capo di ognuno dei quali c’era un daimyô (feudatario). A partire dal 1568, uno di essi, Oda Nabunaga era riuscito a impadronirsi di alcuni territori vicini, dando così inizio al processo di unificazione dell’Impero del Sol Levante. Sotto il suo governo, i missionari, giunti nel Paese vent’anni prima, ebbero modo di lavorare efficacemente  all’evangelizzazione delle popolazioni shintoiste e buddhiste. Le cose cominciarono a cambiare quando, con l’assassinio di Oda, nel 1582, assunse il potere Toyotomi Hideyoshi, un suo generale. Questi, nel 1587, emanò un editto, in seguito ritirato e poi reiterato, che ordinava l’espulsione di tutti i missionari. Se nel primo decennio del secolo XVII, i cristiani riuscirono tutto sommato a vivere tranquilli e persino a incrementare il loro numero, l’editto emesso nel 1614 dallo shôgun Hidetada bollava inesorabilmente il cristianesimo come “jakyô” (religione malvagia). Questo significava il definitivo allontanamento dei missionari, la distruzione delle chiese e il forzato ritorno dei cristiani all’antica religione. Nel 1622 lo shôgun Tokugawa Iemitsu iniziò una violenta persecuzione contro chi si ostinava a restare cristiano. Fu in queste circostanze che, nel feudo del daimyô Matsukura Nobushige, nelle date del 21 e 28 febbraio e del 17 maggio, 29 cristiani, tutti laici, uomini, donne e un bambino, imprigionati e torturati nei giorni immediatamente precedenti, vennero messi a morte. Del gruppo facevano parte Paolo Uchibori Sakuemon (sposato), con i tre figli Baldassarre, Antonio (18 anni) e Ignazio (5 anni); Gaspare Kizaemon, Maria Mine, con il marito Gioacchino Mine Sukedayu, Gasparre Nagai Sônan (sposato), Ludovico Shinzaburô, Dionisio Saeki Zenka con suo figlio Ludovico, e il nipote Damiano Ichiyata (sposato), Leo Nakayama Sôkan con suo figlio Paolo, Giovanni Kizaki, Giovanni Heisaku (sposato), Tommaso Shingorô, Alessio Shôhachi, Tommaso Kondo Hyôuemon (sposato) e Giovanni Araki Kenshichi, Paolo Nashida Kyûri, Maria, Giovanni Matsutaki, Bartolomeo Baba Hanuemon, Luigi Sukeuemon, Paolo Onizuka Magouemon, Luigi Hayashida Sôka con la moglie Maddalena e il figlio Paolo.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Atti degli Apostoli, cap.11, 19-26; Salmo 87; Vangelo di Giovanni, cap.10, 22-30.

 

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

 

VESAK - Luna piena di maggio.jpgPer i seguaci del Buddhismo Theravada (concentrati principalmente nei Paesi del Sud e Sud-esta asiatico), il plenilunio del secondo mese (del loro calendario) coincide con la festa di Vesak che celebra contemporaneamente la nascita, l’illuminazione e il trapasso di Siddharta Gautama Buddha. La tradizione vuole infatti che il principe Siddharta sia nato nel giorno di luna piena del mese lunare di Vesak dell’anno 623 a.C. e che, nello stesso giorno, trentacinque anni dopo, abbia raggiunto la sua illuminazione, per poi morire (o, più correttamente, passare nel suo paranirvana), nel plenilunio di Vesak dell’anno 543 a.C. Data a partire dalla quale viene calcolata l’era buddhista. In questo giorno, i buddhisti si recano ai loro templi, dove ascoltano gli insegnamenti del Buddha, attraverso la proclamazione delle Sacre Scritture. In molti luoghi è costume chiudere le celebrazioni, al tramonto, con una grande processione luminosa, che simbolizza il cammino verso l’illuminazione.

 

Beh, inutile dire che, anche da noi, coloro che, come siamo abituati a dire, hanno precedenti italiani, sono visibilmente, moderatemente, temporaneamente, soddisfatti dei risultati delle vostre elezioni. Sperano che si tratti solo dell’inizio di un’inversione di tendenza, che segni anche una diversa maniera di fare e di stare nella politica. Aliena da ogni volgarità e arroganza, attenta alla sostanza delle cose, preoccupata con i bisogni reali della gente, soprattutto dei soggetti più fragili, sollecita a favorire l’incontro, l’accoglienza e la valorizzazione delle culture altre.  

 

Per stasera è tutto. Prendendo spunto dalla celebrazione buddhista di Vesak, scelgiamo di proporvi, nel congedarci, un brano di Raimundo Panikkar, tratto dal suo “Il silenzio di Dio. La risposta del Buddha” (Borla). Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

La nostra esistenza è impregnata di ‘sete’: sete, come desiderio concreto, oggettivato, sempre insaziato, per un bere qualsiasi ma limitato e sete di vita eterna. La prima rimane sempre insoddisfatta, perché in definitiva ogni appagamento non risulta in seguito essere tale, così essa è la causa primaria del senso di noia e di frustrazione di cui si fa esperienza così profondamente nella nostra epoca. La seconda è il desiderio santo, di cui si ritiene necessario lo stimolo per potersi muovere verso il suo appagamento. Anche questa sete rimane però insaziata finché ci troviamo in questa vita, dato che la salvezza è infinita e noi finiti. Questa sete è a tal punto parte del messaggio della salvezza, che se essa dovesse affievolirsi nell’attesa del conseguimento, non la si riconoscerebbe più come autentica. Essa è la condizione primaria per il dispiegamento della speranz. È quello che può essere definito come l’infinito desiderio di infinito. A rigore questo desiderio è da considerarsi positivamente. È un desiderio di liberazione, un desiderio di completezza, un pungolo verso la propria perfezione, che non ha necessariamente ‘Dio’ o un qualsiasi oggetto come punto di riferimento. È un desiderio, una sete… di perfezione; è l’apertura della finitudine umana all’infinito. È un desiderio che ci proietta fuori della nostra contingenza e ci obbliga a un superamento costante di noi stessi, verso la nostra pienezza. Per questo la sete di giustizia ci renderà beati, perché tale giustizia è irraggiungibile in questo mondo. Eppure un dubbio rimane. È questo quanto il Buddha presuppone quando ripetutamente dice che dobbiamo cercare la nostra salvezza con diligenza? O non è piuttosto vero che ogni sete, anche quella considerata la più perfetta, il desiderio della propria salvezza, è stigmatizzata come impura e non conduce alla meta? Il Buddha cerca di estinguere il desiderio stesso sia della sorgente che dell’acqua viva di qualsiasi genere. Egli ha mostrato che ogni sete produce inquietudine perché ci inganna costantemente attraverso l’oggetto di cui si riveste, e anche la sete di acqua viva non è che un conservare, interiorizzata, la medesima inquietudine, un ostacolo quindi alla soddisfazione incondizionata di ogni sete. Del resto anche lo stesso Maestro di Nazareth si è accorto dell’incongruenza di una sete inestinguibile e ha parlato dell’estinzione di tale sete. La tradizione vuole che l’Uomo stesso si converta in sorgente. (Raimundo Panikkar, Il silenzio di Dio. La risposta del Buddha).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.    

Giorno per giorno – 17 Maggio 2011ultima modifica: 2011-05-17T23:34:00+02:00da fraternidade
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