Giorno per giorno – 16 Maggio 2011

Carissimi,

“Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio” (Gv 10, 17-18). Stamattina ci dicevamo che il Padre ci ama tutti, con la stessa intensità, ma in maniera e per motivi diversi. Altro è l’amore che destina a chi lo ignora, l’abbandona, lo misconosce, lo tradisce, cade, persino a chi gli è nemico. E altro quello che riserva a chi lo rivela e lo rappresenta adeguatamente, ubbidendogli e agendo come egli agisce: dando la sua vita. Anche le beatitudini, del resto, prospettavano maniere diverse di accesso alla felicità della nuova economia inaugurata dal regnare di Dio: da quella di coloro che sono i destinatari naturali delle attenzioni di Dio, i poveri, gli afflitti, i miti, e questo per il semplice fatto di essere come sono, a quella di coloro che, di quelle attenzioni, si fanno tramite, i misericordiosi, i costruttori di pace, quanti hanno fame e sete di giustizia, i puri di cuore, i perseguitati per la giustizia.  C’è, in questo, la dimensione dell’umanità ferita e quella di chi si fa samaritano e si china su di essa per curarla. Così come c’è una fede che attende la salvezza, ed una che opera in vista della salvezza.  Gesù nel rivelare se stesso, ci rivela contemporaneamente il Padre e noi stessi a noi.  La sua vocazione è anche la vocazione della sua chiesa: dare la vita e poi riprenderla. O anche, morire ogni giorno per gli altri, per ogni volta risorgere alla vita di Dio. Che è anche il significato del nostro battesimo e l’impegno che abbiamo assunto con esso.   

 

Il calendario ci porta anche le memorie di Teodoro di Tabennesi, monaco, e di Teodosio delle Grotte di Kiev, fondatore della vita cenobitica in Russia. 

 

16 TEODORO di Tabennesi.jpgTeodoro era nato verso il 314 da una ricca famiglia a Shne, in Egitto. Si racconta che, quattordicenne, tornando a casa da scuola, vedendo la famiglia riunita a banchettare, fu colpito da un pensiero improvviso: “Se ti perdi dietro a questi cibi e a questi vini, non conoscerai mai l’allegria vera della vita di Dio”. Il giovane si ritirò allora in un angolo tranquillo della casa, si prostrò a terra e, piangendo, disse: “Signor mio Gesù Cristo, tu sai che non desidero nulla, ma solo te e la tua grande misericordia che amo”. Il giorno seguente lasciò la sua casa e la sua città e si recò in monastero a Tabennesi, dove Pacomio (lo abbiamo ricordato ieri) aveva dato vita alla prima comunità monastica in terra d’Egitto. Pacomio fece di lui, ben presto, il suo discepolo prediletto, ma questo non gli evitò di dover combattere per molti anni la tentazione dell’orgoglio e del potere, che accompagnò da subito il suo radicalismo ascetico. Pacomio percepì la sua fragilità e non lo volle perciò a succedergli nell’ufficio di abate. Solo dopo la morte di quello, il monaco Orsiesi, che gli era subentrato, non riuscendo a mantenere l’unità nella comunità lacerata da antagonismi e divisioni, chiese a Teodoro di prendere il suo posto. Cosa che egli fece, mettendo a frutto la lezione dell’umiltà e della mitezza appresa dal suo maestro. Mantenne questo incarico dal 350 al 368, anno della sua morte. Teodoro è definito dalla liturgia “il santificato”, per mettere in rilievo le difficoltà incontrate e il lungo cammino che gli fu necessario per arrivare a vivere in conformità con l’Evangelo. Il che ci consola non poco. 

 

16 TEODOSIO.jpgTeodosio era nato nel 1029 in una famiglia benestante di Vasilev, nelle regione di Kiev, in una famiglia benestante. Ancor giovane, desideroso di abbracciare la vita religiosa, si era unito ad Antonio (cf il 23 luglio), un santo monaco che, sull’esempio degli antichi padri del deserto, era andato a vivere in una grotta sulle colline nei pressi della città di Kiev, ed era così divenuto uno dei suoi primi discepoli. Quando Antonio decise di stabilirsi in una grotta ancora più lontana, in completa solitudine, separato anche dai suoi discepoli, Teodosio trascorse alcuni anni sotto il governo spirituale del suo successore l’egumeno Barlaam. Nel 1062, tuttavia,  egli stesso divenne egumeno della comunità monastica. Questa poi, con l’incremento del numero dei monaci, aveva visto aumentare anche donazioni, possedimenti e costruzioni. Per organizzare più adeguatamente la vita del monastero, Teodosio fece tradurre e adottò la regola di S. Teodosio Studita, che da allora reggerà tutta la vita cenobitica del monachesimo russo. Guidato per tutta la vita dai princípi di un ascetismo austero, e animato da uno spirito di semplicità e di amore per la povertà, il lavoro e la preghiera, Teodosio morì il 3 maggio 1074 (data del calendario giuliano, corrispondente al 16 maggio del nostro calendario). Fu canonizzato nel 1108.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Atti degli Apostoli, cap.11, 1-18; Salmo 42; Vangelo di Giovanni, cap. 10, 11-18.

 

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

 

Ieri, vi si era già offerta una citazione dalla Vita copta di Pacomio e Teodoro e, nella memoria di quest’ultimo, che segue a ruota quella del suo maestro, è giocoforza rifarci ancora ad essa.  È un brano che si chiude un po’ come il Vangelo meditato stamattina. Ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Un giorno, una barca dei fratelli, carica di stoppa che doveva servire per i loro vestiti, affondò. Quando fu portata la notizia al nostro padre Teodoro, i fratelli ne furono grandemente rattristati. Quel giorno, secondo le sue abitudini, egli intratteneva i fratelli sulle Scritture, e disse loro: “Ecco che alcuni sono tristi per aver saputo che è affondata la barca carica di stoppe. Noi abbiamo abbandonato con gioia le ricchezze che avevamo in famiglia, per il nome del Signore Gesù Cristo, mentre ancora eravamo nell’ignoranza; ebbene, ci affliggeremmo ora per quanto ci è stato tolto, dopo aver ricevuto la vera scienza del Signore? Leggiamo e recitiamo continuamente le Scritture, e non abbiamo notato la parola di Giobbe: È il Signore che ha donato, è il Signore che ha tolto; come è piaciuto al Signore; sia benedetto il nome del Signore.Ora, che è giunto il momento per noi di diventare figli di Giobbe il giusto, benedicendo il Signore nella prova che ci colpisce, fratelli miei, non siamo pusillanimi, al punto di attribuire ignoranza a quel Dio che ci ha messi alla prova. Tutto ciò che c’è nella congregazione non è nostro, né dei nostri genitori secondo la carne, che sono nel mondo, ma di nostro Signor Gesù Cristo, che ci ha riuniti insieme. Se ce lo lascia per i nostri bisogni, sono elemosine e carità che ci elargisce con amore. Se d’altra parte ce io toglie, ringraziamolo e sia fatta in noi la sua volontà: sappiamo con certezza che non ci accadrà se non ciò che ci è utile. Non dobbiamo, fratelli miei, affliggerci per gli incidenti che ci possono capitare: affliggiamoci piuttosto per la povertà delle nostre anime e facciamo la volontà del Signore; è Lui che si prenderà cura di noi in tutto, come sta scritto: Cercate per prima cosa il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù, e non mancheremo di nulla. Sì, la parola detta dal Signore Gesù Cristo nel Santo Vangelo si compì nel nostro padre Teodoro, perché custodiva i suoi comandamenti, come sta scritto: Chi ha i miei comandi e li osserva, mi ama; e colui che mi ama sarà amato dal Padre mio, e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui. (Anonimo, Vita copta di Pacomio e Teodoro).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 16 Maggio 2011ultima modifica: 2011-05-16T23:47:00+02:00da fraternidade
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