Giorno per giorno – 01 Maggio 2011

Carissimi,

“Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: Pace a voi! Poi disse a Tommaso: Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!” (Gv 20, 26-27). Pace a voi. Come raccontare questo Vangelo a Cleusa, che stanotte ha perso il figlio, Daniel, ventitre anni, schiantatosi con la moto contro un palo della luce? Come raccontarlo ai suoi fratelli, Juninho e Luana, alla moglie Cárita, che è ancora solo una ragazza, e, domani, quando sarà un po’ più grande per capire, a Vitor Daniel, due anni, che gioca intorno alla bara aperta, dove riposa suo padre? Come raccontarlo a tutti i suoi amici, Rafael, Rodrigo, Wilker, Valdirei, Isabel, Leandro, Rominho e gli altri, che lo guardano increduli, abbracciati per darsi forza e a fargli siepe, senza riuscire a trattenere le lacrime? Daniel non era di chiesa, né frequentava la comunità, era solo un bravo ragazzo, responsabile. Un paio di settimane fa era stato lui a convincere Valdirei a venire via da Caldas Novas, dove i due erano stati contrattati come manovali per la costruzione di un condominio: qui tutti si drogano, aveva detto, non è ambiente per noi! E settimana scorsa era già stato contrattato dal Comune, qui da noi. Poi, stanotte, quella dannata corsa in moto, per gioco. Dom Eugenio, che era già venuto ieri per seu Ciato, è accorso di nuovo, come un buon padre, lasciando altri impegni, a dire una parola, a fare una preghiera. Saprà Lui, poi, come tradurla in pace. Quello che, per ora, può limitarsi a fare è mostrare le piaghe delle mani, la ferita del costato e dire: sai è successo anche a me, e anche mia madre, come Cleusa oggi, ha pianto. Io non sapevo trovare le parole per consolare la gente di questi dolori. Ho scelto allora di passarci anch’io, solo per stare in loro compagnia. Perché sentissero che non sono soli. Credete almeno a questo. Credete che Dio è questo.

 

Seconda Domenica di Pasqua.jpg

I testi che la liturgia di questo Ottavo Giorno e 2ª Domenica di Pasqua propone alla nostra riflessione sono tratti da:

 

 

 

Atti degli Apostoli, cap.2, 42-47; Salmo 118; 1ª Lettera di Pietro, cap. 1, 3-9; Vangelo di Giovanni, cap.20, 19-31.

 

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le chiese e comunità cristiane.  

 

Il Primo Maggio la liturgia celebra di norma la festa di san Giuseppe operaio, che, però venendo quest’anno a coincidere con l’ultimo giorno di Pasqua, non sappiamo bene che fine abbia fatto, se sia stata soppressa o solo spostata. Lui, del resto, abituato a starsene in un canto, non se la prenderà troppo. Noi, comunque, per non fargli torto, anche perché è, come dire?, contitolare della chiesetta dell’Aeroporto, ne faremo memoria la quarta domenica di questo mese.

 

Il calendario ci porta, sempre oggi, la memoria di Takashi Nagai, testimone di pace.

 

01 TAKASHI NAGAI.gifTakashi Nagai era nato a Matsue City, in Giappone, il 3 febbraio 1908, primo dei cinque figli di  Hiroshi e Tsune Nagai. Terminato il liceo, s’iscrisse alla Facoltà di Medicina di Nagasaki, vivendo a pensione nella casa dei Moriyama, una famiglia cristiana da diverse generazioni. Nel 1932, conseguita la laurea, si specializzò in radiologia al Medical College di Nagasaki. L’anno successivo, arruolato in fanteria, fu inviato sul fronte della guerra cino-giapponese, con cui il Giappone, sfruttando l’incidente di Mukden (1931), volle annettersi la Manciuria. Fu allora che ricevette in dono, speditogli dalla figlia dei Moriyama, Midori, un piccolo catechismo, che lo portò a interessarsi al cristianesimo. Tornato nel 1934 in Giappone chiese di essere battezzato, scegliendo il nome di Paolo. Due mesi dopo sposava Midori,  da cui avrebbe avuto due figli. Nel 1937, fu inviato nuovamente in Cina, dove restò fino al 1940, quando, tornato a Nagasaki, riprese il suo lavoro universitario. Nel giugno 1945, fu diagnosticata a Nagai una grave forma di leucemia, conseguenza dell’attività di radiologo, che svolgeva e gli dissero che aveva solo tre anni di vita. Il 9 agosto 1945, alle 11:02 del mattino, una bomba atomica sganciata da un B-29 americano esplodeva su Nagasaki, seminando morte e distruzione. Nagai si trovava nel suo studio all’Università di Nagasaki, a circa 700 metri dall’epicentro dell’esplosione che provocò la morte di oltre 80 mila persone, tra cui sua moglie. Nonostante la malattia e le nuove terribili lesioni che lo colpirono, Nagai continuò a dedicarsi finché potè a portare soccorso ai superstiti, a fare attività di ricerca,  a insegnare e a pubblicare libri. Nel marzo 1948, ottenuta la pensione,  si trasferì nel Nyokodo, “il piccolo eremiterio”, costruito nei pressi delle rovine della cattedrale di Urakami. Sapendo che i suoi figli, Makoto e Kaiano, dopo aver perso la madre, sarebbero presto rimasti orfani anche di lui, scrisse numerosi racconti a loro dedicati, per poter in qualche modo continuare il dialogo anche dopo la sua morte. La maggior parte dei proventi dei suoi lavori fu destinato a quanti, bambini e adulti, stavano soffrendo le conseguenze della bomba atomica. Uomo di profonda preghiera, cercò di approfondire il significato che, alla luce della fede cristiana, poteva avere questo insostenibile cumulo di sofferenze. Pensò di aver trovato la risposta: Nagasaki era stata scelta come città vittima e testimone della causa della pace tra i popoli. E volle in questo leggere anche il significato della sua vita e della sua morte. La fine sopraggiunse improvvisa la mattina del 1° Maggio 1951, subito dopo aver invitato i presenti a pregare.  Aveva 43 anni. Sulla tomba volle fossero incise le parole del Vangelo: “Siamo servi senza valore; abbiamo fatto ciò che dovevamo” (Lc 17,10).

 

01 LAVORO.jpgIl 20 luglio 1889,  il Congresso della Seconda Internazionale, riunito in quei giorni a Parigi, fissò la data del Primo Maggio, per ricordare le grandi manifestazioni operaie svoltesi nei primi giorni di Maggio, tre anni prima, a Chicago, che erano state soffocate nel sangue.  Così, a partire dal 1º Maggio 1890, con esiti alterni e con alcune interruzioni, in diversi paesi, cominciò a celebrarsi la Festa dei Lavoratori, o la Festa del Lavoro. Come momento di riflessione, coscientizzazione, rivendicazione e lotta del e sul mondo del lavoro. Che ci sia chi la snobba, è nell’ordine delle cose, anche lì da voi, dove c’è chi propone che sia tolto dall’articolo 1 della Costituzione il riferimento al lavoro come principio che fonda la vita della repubblica, o dove piccoli narcisi crescono, emuli del vostro premier, nelle aiuole del centro-sinistra, più centro che sinistra, anzi, più destra che centro, in città, come Firenze, che sono state in passato laboratorio e teatro di ben altre intuizioni, esperienze e testimonianze. Noi, nel nostro piccolo, continueremo a crederci e a celebrarla.

 

JOÃO PAULO II.jpgLa sera del 2 aprile 2005, scrivevamo: “Il vecchio papa, stasera se ne è andato. Noi, da qui, da quasi fuori della Storia, non abbiamo davvero strumenti per giudicarne l’opera. E poi, chi può giudicare il mistero di una persona che, per giunta, operava dentro un meccanismo [anche] di potere così complesso? Così, ci limitiamo al piano affettivo. E, diciamo, che, a pelle, quello che ci ha lasciato più il segno è stato il papa degli ultimi anni (quello degli appelli, inascoltati dai potenti, per la pace), ma anche quello degli ultimi mesi, e persino degli ultimi giorni. Ci è parso rappresentare bene il magistero della dignità della vita, del rispetto per la vita. Ovunque e in tutti i suoi momenti, senza nulla di cui vergognarsi, senza nulla da nascondere, tanto meno il decadimento fisico, la malattia, il morire e la morte. In una civiltá che è tutto il contrario, dove ti insegnano che hai sempre di che vergognarti, perfino delle incipienti calvizie (il vostro premier ne sa qualcosa, no?) o dei primi capelli bianchi e figurarsi il resto, i vecchi genitori, il figlio Down, la malattia, una gravidanza, tanto quanto la fedeltá degli affetti, o il vivere in semplicità e onestamente.  Rispetto per la vita, dunque”. Beh, non abbiamo cambiato idea.

 

Per stasera è tutto. Noi ci congediamo con un brano del teologo domenicano Edward Schillebeecks, tratto dal suo libro “Esperienza umana e fede in Gesù Cristo” (Queriniana). Ci aiuta a meditare sulla Pasqua che si chiude, anzi no, che continua. Ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Sul piano storico la vita di Gesù sfocia effettivamente in una catastrofe che non si lascia inquadrare in schemi teorici e pratici. Da un punto di vista puramente umano qui ci troviamo di fronte ad un vero insuccesso, ad un nuovo fallimento che s’inserisce nella serie sempre più ampia di individui che nella nostra storia umana di sofferenza sono stati ammazzati mentre erano innocenti, una speranza breve, che sembra confermare continuamente la supposizione che parecchi uomini non accettino questo stato di cose, ma che siano comunque costretti a sperimentare quest’inferno, data la natura e il peso di una storia che si ripete sempre come ‘ecumene della sofferenza’. Per amore della vita che ci ha preceduto, la morte di Gesù, del mistico di Dio e difensore dell’uomo, ci pone di fronte ad un interrogativo di fondo che prevede un’unica alternativa: dovremo dire o che Dio, il Dio che Gesù ci ha annunciato come il Dio della salvezza ormai vicina, è un’illusione e quindi un pio desiderio formulato da Gesù, o saremo costretti, di fronte a questo rifiuto e questa morte di Gesù, a rivedere approfonditamente il nostro modo d’intendere Dio e la storia, e considerarlo in-valido; mentre per converso la peculiarità di Dio s’afferma valida soltanto nella morte e nella vita di Gesù, dove si apre anche una nuova prospettiva di futuro: un futuro per colui che dal punto di vista umano non ha più futuro. La storia umana – nei suoi successi, fiaschi, illusioni e delusioni – viene trascesa dal Dio vivente, che ha l’ultima parola e vuole la salvezza degli uomini. Forse noi possiamo vivere nelle illusioni, ma non potremo morire in esse. È questo il nucleo del messaggio cristiano della risurrezione di Gesù, il quale c’invita a compiere atti di liberazione e di sanazione umana, ci affida il compito di essere felicità per gli altri e di non vivere d’illusioni e di ideologie. (Edward Schillebeecks, Esperienza umana e fede in Gesù Cristo).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro   

Giorno per giorno – 01 Maggio 2011ultima modifica: 2011-05-01T23:34:00+02:00da fraternidade
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