Giorno per giorno – 02 Maggio 2011

Carissimi,

“Gli rispose Gesù: In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio. Gli disse Nicodemo: Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?” (Gv 3, 3-4). Era padre Christian de Chergé, il trappista martire di Tibhirine, che in una sua omelia diceva che risorgere ha a che fare con il ri-nascere, il ri-partire, il ri-vivere, il ri-cevere, il ri-conoscere, ma diversamente da ciò che era stato prima. E questo dovrebbe essere il miracolo di ogni mattina, almeno da quando, se è già accaduto, noi lo si sia re-incontrato. Lui, il Risorto. Vivere in novità di vita, lasciandoci guidare dallo Spirito. Che è il suo Spirito, anche se soffia dove vuole (e perciò anche altri lo ricevono e si lasciano da Lui guidare), ma che la comunità dei discepoli riconosce operante in un gesto così spesso banalizzato, quello del battesimo – nella morte del Signore – (sarebbe bene non dimenticarlo). E che dovrebbe significare per noi il decisivo entrare in questo continuo rinnovamento di vita. Ogni volta nel dono della vita.  E invece.   

 

Il nostro calendario ci ricorda oggi Atanasio, Pastore e Padre della Chiesa, Matrona di Mosca, mistica, e Paulo Freire, educatore dalla parte degli oppressi.

 

02 ATANASIO.JPGAtanasio era nato ad Alessandria d’Egitto nel 295. Appena ventenne si era fatto conoscere nella sua Chiesa per due discorsi, uno “Contro i greci”, l’altro “Sull’Incarnazione” che rivelavano, oltre che la sua fede profonda, una notevole capacità di argomentazione teologica. Per questo, quando nel 325 l’imperatore Costantino convocò il Concilio di Nicea, per risolvere il problema della divinità di Cristo,  il suo vescovo, Alessandro, pensò bene di portarselo appresso come consulente teologico. Tre anni più tardi, alla morte dell’anziano patriarca, l’ancor giovane Atanasio venne chiamato a succedergli nella cattedra che la tradizione vuole sia stata di san Marco. Erano tempi grami tuttavia. Costantino non ne capiva molto di dispute teologiche, ma,  deve aver pensato che giovasse più al potere imperiale l’immagine di un Dio unico punto e basta (sostenuta da Ario), che questa Unità del molteplice, o molteplicità dell’Unità,  implicata dal Dio trinitario degli ortodossi, di cui Atanasio era diventato campione. Sicché, con uno strategico voltafaccia, scelse alla fine le tesi più vicine ad Ario, spedendo in esilio Atanasio. Quest’ultimo, tuttavia, seguitò imperterrito. Non aveva accettato di essere vescovo per andare a braccetto col potere e con le mode del suo tempo. Sicché, le condanne si susseguirono negli anni, con i diversi imperatori: Costanzo, Giuliano e Valente. Questi allontanamenti frequenti, portarono Atanasio a contatto con i monaci del deserto, con Antonio, in primo luogo, di cui il vescovo scriverà poi la vita, contribuendo in tal modo, a diffondere l’ideale monastico in tutta l’ecumene cristiana. Divenuto vecchio, ma non vinto, fu finalmente, dietro la pressione popolare, restituito alla sua sede patriarcale per l’ultima volta. Lì morì, pacificamente, tra la gente che l’amava, il 2 maggio dell’anno 373.

 

02 Matrona-Mosca.jpgMatrona Dimitrievna Nikonova nacque nel 1881 nel villaggio di Sebino, nel governatorato di Tula, quarta figlia di una famiglia di contadini. Nata priva della vista, fu arricchita, fin da bambina, di numerosi carismi, compreso il dono della cura. A quattordici anni potè recarsi in pellegrinaggio a numerosi monasteri, a Kiev, a San Pietroburgo e in altre città russe. San Giovanni di Kronstadt, incontrandola nella sua chiesa, la chiamò “colonna della Russia”. A 17 anni, Matrona perse l’uso delle gambe e rimase paralizzata per il resto della vita. Benché analfabeta, meravigliava chi l’andava a visitare per la conoscenza di luoghi e fatti lontani. Nel 1925, si trasferì a Mosca, vivendo da allora in casa di amici e benefattori e dedicandosi  ad accogliere ogni giorno quanti venivano a chiederne i consigli o la preghiera per ottenere la guarigione da qualche male fisico o spirituale. A tutti dispensava parole semplici e piene di saggezza, che esortavano ad amare il prossimo, a partecipare ai santi misteri, a soccorrere quanti versassero in condizioni di bisogno, soprattutto malati e anziani. Matrona si spense il 2 maggio 1952.

 

02 FREIRE.jpgPaulo Reglus Neves Freire nacque il 19 settembre 1921, a  Recife, nello Stato del Pernambuco, una delle regioni più povere del Brasile, dove potè sperimentare sulla propria pelle le difficoltà di sopravvivenza delle classi più povere. Nel 1944 conobbe e sposò Elza Maia Costa Oliveira, insegnante elementare, da cui apprese il gusto per l’educazione, a cui dedicherá tutta la vita. La sua proposta pedagogica, conosciuta come “pedagogia degli oppressi”, mira a stimolare l’azione dell’essere umano sulla realtà. Portando i soggetti del dialogo educativo a condividere condizioni di vita, sofferenze e aspirazioni, li rende capaci di una trasformazione creatrice del mondo. Arrestato nel corso del colpo di stato del 1964, dopo 72 giorni di prigionia, fu costretto a lasciare il paese. Si rifugiò in Cile, dove per cinque anni lavorò ai programmi di educazione per adulti e scrisse la sua opera maggiore. In seguito insegnò in numerose università straniere e collaborò nei progetti educativi di vari Paesi, delle Nazioni Unite e del Consiglio Mondiale delle Chiese. Rientrato in Brasile nel 1980, riprese il suo impegno pedagogico come professore universitario, come animatore del movimento di educazione popolare e come attivo partecipante delle comunità ecclesiali di base. La sua prassi educativa ricevette numerosi riconoscimenti a livello mondiale. Freire morì a São Paulo di infarto al miocardo il 2 maggio 1997.

 

I testi che la litugia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Atti degli Apostoli, cap.4, 23-31; Salmo 2; Vangelo di Giovanni, cap.3, 1-8.

 

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

 

shoah.jpgLa ricorrenza, di per sé, cadeva ieri, 27 del mese di Nissan, ma dato che nulla può turbare la gioia del sabato, è previsto che se tale giorno coincide anche con il venerdì o la domenica, la si sposta al giorno precedente o al successivo. Le comunità ebraiche – ma anche noi con loro – ricordano oggi lo Yom haSho’ah, il Giorno della Catastrofe o la Memoria dell’Olocausto, che vide lo sterminio di sei milioni di ebrei ad opera della barbarie nazista e dei suoi complici. Certo, il nazismo aveva radici pagane, come anche altri movimenti che periodicamente riappaiono sulla scena della politica, ma settori consistenti delle chiese cristiane ebbero il torto di prestare al lucido delirio dei suoi leader alcuni cliché del tradizionale armamentario ideologico antigiudaico, che servirono a guadagnare al nazismo l’appoggio della maggioranza della popolazione. Che, in nome di un supposto dio di Gesù, sterminò l’ebreo Gesù, figlio di Dio, nel suo popolo. Giorno di lutto e di pentimento per le chiese, oggi.

 

E su questo tema noi ci si congeda, lasciandovi ad un brano del poema di Yitzhak Katzenelson, “Il canto del popolo ebraico massacrato” (Giuntina). Sembra una bestemmia, ma è solo una preghiera. Quella di Giobbe. Moltiplicata all’infinito. Ed è per oggi il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

E così avvenne… e questo fu l’inizio… Cieli, ditemi perché, perché! / Perché dobbiamo essere tanto umiliati in questo mondo? / La terra, sorda e muta, ha chiuso gli occhi… Ma voi cieli, / voi dall’alto avete visto tutto e non siete crollati dalla vergogna! // Non una nuvola ha coperto il vostro vile azzurro, che come sempre mostrava il suo falso splendore; / il sole, rosso come un carnefice feroce, ha continuato il suo corso; / la luna, come una vecchia puttana, come una peccatrice, è uscita di notte a passeggiare, / e le stelle ammiccavano luride come occhi di topi. // Basta! Non voglio più guardarvi, non voglio più vedervi… / O cieli falsi e bari, cieli infimi pur così in alto; o mio dolore! / Un tempo ho creduto in voi, vi ho confidato le mie pene e le mie gioie, le mie lacrime e i miei sorrisi – / voi non siete migliori della terra, di questo mucchio di letame! // Vi lodavo, cieli, vi esaltavo in tutti i miei canti. / Vi ho amato come si ama una donna. Ma ora se ne è andata, dissolta come schiuma. / Fin dall’infanzia il vostro sole, fiammeggiante nel tramonto, / l’ho somigliato alle mie attese: “Così svanisce la mia speranza, così sfuma il mio sogno!”. // Basta! Basta! Vi siete presi gioco di noi, del mio popolo e della mia stirpe! / Da sempre ci avete preso in giro – anche i nostri padri, anche i nostri profeti! / Verso di voi hanno alzato i loro occhi, nella vostra fiamma si sono accesi; / sempre fedeli, per nostalgia di voi si sono consumati. // Vi hanno invocati per primi: haazinu! Ascoltate / E solo dopo imploravano la terra. Così Mosè, e così Isaia, il mio Isaia: shimu, udite! / E shomu! gridava Geremia: shomu! A chi, se non a voi? Perché vi siete allontanati? O vasti cieli, luminosi cieli, alti cieli, ormai siete come la terra. // Non ci conoscete, non ci riconoscete più – perché? Siamo tanto / cambiati? Eppure siamo gli stessi di un tempo – / e anche migliori… non io! Io non voglio paragonarmi ai miei profeti, non posso, / ma tutti quegli ebrei portati a morire, quei milioni di massacrati, loro sì. // Sono migliori, più provati, più purificati dal goles! Chi è / un grande ebreo del passato di fronte a un piccolo ebreo di oggi, un semplice ebreo / di Polonia, di Lituania, di Volinia? / In ogni ebreo / grida un Geremia, un Giobbe disperato, un re deluso con il suo Qohelet. // Non ci conoscete, non riconoscete più nessuno di noi, come se ci fossimo mascherati. / Eppure siamo noi, gli ebrei di sempre, e come sempre pecchiamo contro noi stessi, / come sempre rinunciamo alla felicità e vogliamo salvare il mondo. / Come fate a rimanere così belli, voi cieli azzurri, mentre ci stanno massacrando? (Yitzhak Katzenelson, Il canto del popolo ebraico massacrato, IX, 1-9).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 02 Maggio 2011ultima modifica: 2011-05-02T23:32:00+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo