Giorno per giorno – 19 Aprile 2011

Carissimi,

“Dette queste cose, Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà. I discepoli si guardavano l’un l’altro, non sapendo bene di chi parlasse” (Gv 13, 21-22). Pare così assurdo, così lontano dalla realtà, che un amico tradisca l’amico, che anche noi ci si guarderebbe piuttosto scettici gli uni gli altri, se qualcuno ce ne mettesse in guardia. Eppure, se questo accade tra amici in carne e ossa, quanto più facilmente può accadere con l’Amico che non vedo, che ha prestato il suo Significato alla mia vita e che io, dopo essermi consegnato a Lui per intero (sempre che sia arrivato per davvero a farlo, cogliendo la portata di cosa questo mi comportasse),  io ho deciso non valerne più la pena e che è meglio disfarsene. Giuda, ci dicevamo stamattina, dopo aver letto questo Vangelo, fa parte a pieno titolo del mistero della Chiesa. Rappresenta una concreta possibilità del suo, cioè, del nostro, modo di essere e di darci. Capita abbastanza spesso di leggere i lamenti di questo o quel vescovo sulla perdita della fede, o delle radici cristiane, soprattutto nel Nord del mondo. Non vorremmo che ci si riferisse solo o soprattutto al venir meno della pratica religiosa. Perché in gioco c’è infinitamente di più. C’è lo svenderci il significato di Gesù, appena usciti di chiesa. Come anche è stato per gli apostoli subito fuori dal Cenacolo. Loro tradire? Non sia mai. Darò la mia vita, per proteggerti, giurava Pietro. Salvo smentirsi subito dopo. Segno che il Vangelo non aveva ancora messo radici in lui. Come non le ha messe ancora in noi dopo duemila anni di apprendistato. E sì che l’Eucaristia è, in definitiva, questo giuramento, questo impegno che prendiamo con Lui, che c’impone: Fate questo in memoria di me. Prendetevi a cuore i vostri fratelli, fino al dono della vita. No, un tipo così è meglio tradirlo. Ha avuto ragione Giuda. Solo che lui l’ha fatto apertamente. Noi altri in silenzio. Da vili come siamo.

 

Il martirologio latinoamericano ci porta oggi la memoria di Joana Tum de Menchu, martire per la giustizia in Guatemala. Noi ricordiamo anche il Massacro dei Conversos di Lisbona.

 

19 Joana Tum de Menchu.jpgJuana Tum de Menchu era catechista e parteira di una comunitá indigena del Quiché.  Sposata a Vicente, anche lui catechista e leader di comunità, ebbe undici figli, di cui due morirono ancora piccoli, vittime della miseria e della fame; un altro, Patrocinio, sedicenne, anche lui catechista, fu sequestrato dall’esercito, il 9 settembre 1979, torturato brutalmente e ucciso. Il 31 gennaio del 1980 fu la volta di Vicente, bruciato con altri 36 compagni, nel rogo dell’Ambasciata di Spagna, da loro pacificamente occupata per denunciare all’opinione pubblica mondiale l’espropriazione arbitraria delle terre indigene e la repressione governativa.  Juana fu sequestrata il 19 aprile 1980, violentata, torturata e lasciata poi morire dissanguata. Un altro figlio, Victor sarebbe stato ucciso dall’esercito, l’8 marzo 1983. Una figlia, Rigoberta Menchu, che ha saputo dar voce alla cultura, alla sofferenza e alla resistenza del suo popolo, è stata insignita del Premio Nobel per la Pace, nel 1992.

 

19 pogrom Lisboa.jpgIl 19 aprile 1506 scoppiarono a Lisbona, fomentati dalla predicazione di alcuni frati domenicani, una serie di tumulti contro i conversos (ebrei convertiti). Circa diecimila abitanti della città, cui si aggiunsero marinai tedeschi, olandesi e francesi, entrarono nel quartiere dove i conversos abitavano e massacrarono uomini, donne e bambini. Furono accesi numerosi roghi nella città e vi furono bruciati molti già morti ed altri ancora vivi. Il massacro ebbe fine solo il 23 aprile.   Il numero delle vittime oscillò tra  tre e  quattro mila.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Isaia, cap.49, 1-6; Salmo 71; Vangelo di Giovanni, cap.13, 21-33. 36-38.

 

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

 

P_SCOA_JUDAICA.JPGIl 15 di Nissan (che, quest’anno, cade oggi) segna il primo degli otto giorni di Pesach, la Pasqua ebraica. Sappiamo il significato specifico che questa festa riveste per i nostri fratelli ebrei, ma siamo anche convinti che il suo simbolismo si offre alla comprensione e all’esperienza universale. La vocazione e il continuo effettivo passaggio alla libertà, intrinseci alla condizione umana, si può dare solo nella costante rimemorazione di ciò che ha significato e significa, nella vita di ogni popolo,  l’esperienza della sua perdita e il peso dell’oppressione che ne consegue. La Pasqua, nel ricordarci l’amarezza di ogni schiavitù – personale e sociale – ci impegna in prima persona a rifiutarci a una storia basata sul privilegio di alcuni e l’esclusione di altri, per porre le condizioni e cominciare a creare un mondo guidato dall’accoglienza e dall’apertura del cuore.   

 

19 dia do indio.jpgOggi si celebra la Giornata Panamericana dell’Indio, votata dal 1° Congresso Indigenista inter-americano, riunito in Messico il 19 aprile 1940. Mira a sensibilizzare l’opinione pubblica e l’azione dei governi per ciò che concerne la salvaguardia e la valorizzazione delle culture autoctone, la tutela delle terre tradizionalmente occupate dagli indigeni e la loro protezione contro gli atteggiamenti predatori, di cui da secoli sono vittima.

 

Il Seder, la cena pasquale, i nostri fratelli ebrei, l’hanno celebrata ieri sera, all’entrata del 15 di Nissan. E noi immaginiamo che molti l’abbiano vissuto come un momento forte della loro identità, vocazione, missione. Altri, forse, con meno consapevolezza e in maniera più spiccia. Altri, infine, non l’avranno neppure celebrato. Come succede anche a noi con i nostri riti. E tuttavia, mai guardare solo alle apparenze. Come ci insegna questo aneddoto  (è un po’ lungo, ma merita!), che ha come titolo “Il Seder dell’uomo ignorante”, tratto da “I racconti dei Chassidim” (Garzanti) di Martin Buber, che, congedandoci, vi offriamo come nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Una volta Rabbì Levi Isacco aveva tenuto il Seder della prima notte di Pasqua con tutte le intenzioni, così che alla sua tavola ogni parola ed ogni rito si illuminò della santità del suo segreto significato. Dopo la festa, sul fare dell’alba, Rabbì Levi Isacco sedeva nella sua stanza ed era lieto ed orgoglioso che il Seder di quella notte gli fosse riuscito così felicemente. Ma ecco una voce gli disse: “Di che ti vanti? Più grato mi è il Seder di Haim l’acquaiolo, che il tuo”.  Il Rabbi adunò la gente di casa e gli scolari e chiese dell’uomo di cui gli era stato fatto il nome. Nessuno lo conosceva. Per ordine dello zaddik alcuni discepoli andarono a cercarlo. Dovettero cercare a lungo prima che al margine della città, dove abitano i poveri, indicassero loro la casa di Haim l’acquaiolo. Bussarono alla sua porta. Usci una donna e chiese che volessero. Quando l’ebbe saputo se ne meravigliò e disse: “Sì. Haim l’acquaiolo è mio marito. Ma non può venire con voi; ieri ha bevuto molto ed ora lo smaltisce dormendo, e se anche lo svegliate non sarà capace di muovere i piedi”. Quelli risposero soltanto: “Il rabbi l’ha ordinato”, entrarono e lo scossero fino a che si destò. Egli li guardò battendo gli occhi, non capì perché avessero bisogno di lui e volle rimettersi a dormire. Ma essi lo sollevarono dal letto, lo presero in mezzo a loro e lo portarono quasi di peso dallo zaddik. Questi gli fece dare una sedia accanto a sé e disse: “Rabbì Haim, cuor mio, a quale mistero era rivolta la vostra intenzione quando avete raccolto il cibo lievitato?”. L’acquaiolo lo guardò con occhi imbambolati, scosse la testa e rispose: “Signore, ho cercato in tutti gli angoli e l’ho raccolto”. Stupito lo zaddik continuò: “E quale santo intendimento avevate in mente quando avete bruciato il cibo lievitato?”. “Signore, ho dimenticato di bruciarlo. E, ora ricordo, è ancora sulla trave”. Quando Rabbi Levi Isacco udì questo, perdette ogni sicurezza, ma continuò a domandare: “Ed ora ditemi questo, Rabbì Haim, come avete tenuto il Seder?”. Fu allora come se qualcosa si destasse negli occhi e nelle membra dell’uomo, ed egli disse in tono umile: “Rabbì, vi dirò la verità. Vedete, io ho sempre sentito dire che è proibito bere acquavite durante gli otto giorni della festa, e cosi ieri mattina ho bevuto da averne abbastanza per otto giorni. Allora mi sono sentito stanco e mi sono addormentato. Poi mia moglie mi ha svegliato ed era sera, e lei mi ha detto: ‘Perché non fai il Seder come tutti gli Ebrei?’. Io ho detto: ‘Che vuoi da me? Io sono un ignorante figlio di un ignorante e non so che dire e che fare. Ma vedi, questo lo so: i nostri padri e le nostre madri erano prigionieri degli zingari, e noi abbiamo un Dio che ci ha condotto in libertà. E vedi, ora siamo di nuovo prigionieri, e io so e te lo dico, Dio condurrà anche noi in libertà’. E allora ho visto lì il tavolo, e la tovaglia splendeva come il sole, e sopra c’erano piatti con mazzot ed uova ed altre vivande, e c’erano bottiglie di vino rosso, ed ho mangiato le mazzot con le uova ed ho bevuto il vino, ed ho dato da mangiare e da bere a mia moglie. E allora m’è venuta una gran gioia, e ho alzato il bicchiere a Dio ed ho detto: ‘Vedi, Dio, che bevo questo bicchiere alla tua salute! E tu chinati verso di noi e liberaci!’. Cosi siamo stati a tavola e abbiamo bevuto e ci siamo rallegrati innanzi a Dio. E poi ero stanco, mi sono steso e mi sono addormentato”. (Martin Buber, I racconti dei Chassidim).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 19 Aprile 2011ultima modifica: 2011-04-19T23:26:00+02:00da fraternidade
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