Giorno per giorno – 17 Aprile 2011

Carissimi,

“Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai capi dei sacerdoti e disse: Quanto volete darmi perché io ve lo consegni? E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù” (Mt 26, 14-16). Non c’è stata omelia, stamattina, al Monastero. E crediamo sia stato bene così. Dopo la processione che ci ha portato, come ogni anno, dalla grande gameleira alla chiesa, breve, forse, come l’entrata festosa di Gesù in Gerusalemme, e dopo l’ascolto della Passione, che ci è parso calasse in profondità in ognuno dei presenti, che seguivano attenti ed emozionati la narrazione, anche se sapevano già come sarebbe finita, padre Paulo ha detto semplicemente: ed ora facciamo silenzio e ciascuno ricerchi la parola che fa per lui (lei). Ed è un silenzio che non può non prenderti alla gola, perché ti accorgi che non riguarda la storia di un uomo di duemila anni fa, ma Dio, cioè anche te e il mondo. La cui storia, la nostra storia, è racchiusa in quel baratto. No, Giuda non è più ignobile di noi. E quando, tra qualche giorno, la mattina del “Sábado de Aleluia” la folla si riunirà per assistere alla squallida “Queima do Judas”, dovrebbe pensare a quanto di noi è nascosto dentro quel fantoccio che ci si appresta a bruciare. Quali sono, per noi, i trenta denari per cui siamo disposti a venderci Dio? Scontando il fatto che, subito dopo, come racconta il Vangelo, che ha la vista lunga, ci pentiremo ed arriveremo a disperarci. Giuda, dunque, ma anche Pietro, la sua intemperanza, la sua viltà, e, ancora una volta, il tradimento. E il pianto.  E, poi, il sinedrio, il processo, Pilato, la condanna, la via della croce, Simone di Cirene. E, poi, la fine, gli oltraggi di tutti, la solitudine estrema. Il silenzio – angosciato e angosciante – del Padre. E l’ultimo grido. E almeno le donne a guardarlo. Da lontano. E la prima confessione di fede di un pagano: “Davvero costui era figlio di Dio!”. Determinata dal terremoto che lo squassava interiormente. Beh, se Dio non riuscirà a scuotere, com’è probabile, l’anima religiosa che ci portiamo dentro, che riesca almeno a scuotere il pagano che è in noi. I pagani sono più rozzi e indifesi. Erano loro ad averlo ucciso, quell’uomo. Ma ora, ne provavano orrore e commozione. Come avessere ucciso Dio. E difatti. I religiosi, invece, discettano di miracoli, guardano, attendono, scuotono la testa, ridono: “Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso”. Non sanno che così è Dio. Non sanno che così è l’uomo. Quando è uomo, cioè suo figlio.

 

I testi che la liturgia di questa Domenica delle Palme propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Vangelo di Matteo, cap. 21,1-11; Profezia di Isaia, cap. 50,4-7; Salmo 22; Lettera ai Filippesi, cap. 2,6-11; Vangelo di Matteo, cap. 26,14 – 27,66.

 

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

 

Il calendario ci porta oggi la memoria di Max Joseph Metzger, martire nella Germania nazista e di  Kateri Tekakwitha, India mohawk al servizio dei suoi fratelli.

 

17 Max Joseph Metzger.jpgMax Joseph Metzger era nato il 3 febbraio 1887 nel villaggio di Schopfheim, in Germania. La sua esperienza come cappellano militare durante la Prima Guerra mondiale, lo spinse a dedicare la sua vita alla causa della pace, della riconciliazione e dell’ecumenismo. Dopo la guerra, oltre a collaborare con la Croce Bianca, un’organizzazione che offriva una presenza pastorale tra gli emarginati, Metzger fondò la Lega per la Pace mondiale e il Congresso Mondiale di Cristo Re, che aveva come finalità l’unità dei cristiani e la pace tra le nazioni. S’impegnò strenuamente a favorire il dialogo e la cooperazione tra cattolici e protestanti  nel movimento Una Sancta. Durante la dittatura nazista, fu ripetutamente arrestato, senza che tuttavia la Gestapo riuscisse a trovare di che incriminarlo. Alla fine, però, nel giugno del 1943, gli furono sequestrate lettere indirizzate a vescovi stranieri, in cui si sollecitavano interventi che favorissero una fine negoziata della guerra. Accusato di tradimento, fu arrestato e incarcerato. Quando fu pronunciata la sentenza di morte, affermò: “Non provo nessuna vergogna, ma mi sento invece onorato di essere dichiarato disonorevole da questa corte”. Morì decapitato il 17 aprile 1944, offrendo la sua vita per la pace e per l’unità delle Chiese.

 

17 KATERI.jpgKateri Tekakwitha era nata nel 1656 a Ossernenon, un villaggio Mohawk (nell’attuale Stato di New York), figlia di un irochese pagano e di una prigioniera algonchina cristiana, che ne era divenuta sposa. Nel 1660 scampò ad un’epidemia di vaiolo (uno dei regali dell’invasione europea) che aveva colpito la popolazione della regione e che la lasciò orfana, con il volto sfigurato e una grave menomazione alla vista. Affidata ad uno zio, la bambina crebbe come le sue coetanee, lavorando nei campi, tenendo in ordine la casa comune, dedicandosi a piccoli lavori di artigianato. Di diverso, aveva che le piaceva recarsi nella nella foresta, per goderne la bellezza e ascoltarne le voci. Nel 1675, giunsero al suo villaggio dei gesuiti francesi, che le fecero riscoprire la fede della madre. Il giorno di Pasqua del 1676, fu battezzata e ricevette il nome di Kateri, ma dovette presto fuggire, riparando, dopo un viaggio di oltre trecento chilometri, presso la missione di san Francesco Saverio, nel villaggio di Kahnawake,  vicino a dove oggi sorge Montreal, in Canada. Qui visse i pochi anni di vita che le restarono, lavorando, pregando e prendendosi cura dei sofferenti. Nella primavera del 1679 la salute di Kateri, già fragile,  iniziò a peggiorare, minata anche dalle penitenze cui si sottoponeva. Morì, ventiquattrenne,  alle tre del pomeriggio del mercoledì della settimana santa, il 17 aprile 1680.

 

Il piccolo Pedro, secondogenito di Lucélia e Gilmar, era nato il 20 marzo scorso, ma noi non lo si era ancora visto, anche perché Lucélia è andata nel frattempo ad abitare più lontano. Così non abbiamo saputo che è stato lì lì per lasciarci, dopo solo tre settimane di vita. Per una stenosi del piloro che i medici per qualche giorno non erano riusciti a diagnosticare. Tutto però è finito bene. Il bimbo è già stato operato a Goiânia e stamattina era con Lucélia, finalmente serena, alla celebrazione. Tra le buone notizie di qui, c’è che dona Dominga e Maria José, che si erano trasferite un paio di mesi fa in campagna, hanno pensato bene di tornare “a casa”. Noi, a dire il vero, non ci eravamo proprio rassegnati a perderle. Stasera, alla Igreja de Cristo, in coda all’Encontrão degli uomini, grande emozione per la conversione di tre ex-detenuti e di alcuni altri amici con problemi di alcolismo o droga. Che il buon Dio continui ad accompagnarli. Voi mettete comunque tutti nelle vostre preghiere.

 

È tutto per stasera. Noi ci si congeda con un brano del discorso che, con il titolo “Pace nel Regno di Cristo”, Max Josef Metzger pronunciò il 2 Agosto 1928 nell’ambito della Giornata Internazionale della Pace a L’Aia. È tratto dal testo di Leonard SwidlerBloodwitness for Peace and Unity. The Life of Max Josef Metzger” (Ecumenical Press) ed è, per oggi, il nostro.

 

PENSIERO DEL GIORNO

Il punto decisivo è che non ci possiamo aspettare che la giustizia diventi la legge guida dell’azione sul piano internazionale, quando all’interno di una nazione, nell’economia, nella politica partitica, nelle relazioni sociali, domina una politica di potenza priva di scrupoli. Voi, nazioni e stati d’Europa! L’uno o l’altro, o… o! “Ho posto davanti a voi la guerra o la pace! Ora, scegliete!”. Così parla il Signore. Menzogna, ingiustizia, ricerca di sé, in breve, il Regno di Belial, il Regno di Satana, questo significa la guerra! Il Regno di Dio significa pace. Ora scegliete! Volete scegliere la pace? Questo vuol dire che dovete cominciare a sacrificare il vostro ego con le sue tendenze predatorie – con bestie da preda, infatti, non si può costruire nessuno stato e nessuna comunità di nazioni! Questo vuol dire anche che dovete smettere di idealizzare lo stato, a cui, finora, l’uomo vivente con la sua coscienza è stato sacrificato, così che lo stato – e la classe che aveva il controllo su di esso -, poteva disporre di altri uomini come materiale – ‘forza umana’ era il termine eufemistico usato in guerra! – , obbligandoli ad arruolarsi e ad uccidere altri uomini contro la loro coscienza. Una vera giustizia cristiana esige il rispetto per l’uomo vivente e per la vita umana. Volere la pace, significa che invece del dominio degli uomin, dovete mettere il cristianesimo; invece della nuda politica di potenza nelle attività intrastatuali e interstatuali, bisogna instaurare relazioni di comprensione e di uguaglianza sociale  sulla base della giustizia e dell’equità. Ma questo comporta soprattutto la necessità di operare una rottura radicale con il sistema del capitalismo omicida, la cui sola colpa, che si applica a tutti, è la rapina dei salari guadagnati e dei frutti del lavoro conquistati al prezzo di una dura fatica, il che è fonte di indignazione nei singoli individui e nelle nazioni così depredate. Comporta che voi sostituiate allora un’economia cristiana, in cui l’uomo non è più un mezzo e uno strumento dell’economia e della sua legge del profitto, ma l’economia è un mezzo e uno strumento dell’uomo e della sua comunità. (Leonard Swidler “Bloodwitness for Peace and Unity. The Life of Max Josef Metzger).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 17 Aprile 2011ultima modifica: 2011-04-17T23:16:00+02:00da fraternidade
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