Giorno per giorno – 05 Aprile 2011

Carissimi,

“A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina, chiamata in ebraico Betesda, con cinque portici, sotto i quali giaceva un grande numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: Vuoi guarire?” (Gv 5, 2-6). Stamattina, ci dicevamo che, anche in questo caso, il Vangelo, nel raccontarci il “segno” posto in essere da Gesù, non intende tanto fare la cronaca di un miracolo, quanto proporci un insegnamento circa l’agire che Dio desidera da noi. Perché è il suo stesso agire. La descrizione del gran numero di malati ammassati in qualche modo sotto i portici della piscina Betesda (“casa della misericordia”), nei pressi del tempio, indicano una società malata, e una religione malata. Dove, anziché prendere di petto il male, ci si affida ad un intervento miracolistico dall’alto (l’angelo che smuove le acque, anche nelle sue varianti secolari: clientelismo, raccomandazioni, ecc.), che privilegia solo alcuni e non risolve il problema alla radice. Oltre a garantire il mantenimento dello statu quo. Anticamente gli ebrei celebravano la festa di Tu beAv,  letteralmente il “15 del mese di Av”. La celebrano anche oggi, ma è una sorta del San Valentino degli innamorati. Un tempo, invece, celebrava il perdono di Dio. Quale? Il perdono che, dopo trentotto anni (Dt 2,14), – quanti quelli della malattia del nostro paralitico ! – Dio concesse ai sopravvissuti della generazione che era stata condannata a morire nel deserto, per aver resistito alla sua chiamata alla libertà. La Bibbia dice che morirono tutti; la Torah orale che cerca invece di correggere la severità di Dio, racconta che gli ultimi quindicimila sopravvissuti tra quanti avevano compiuto vent’anni all’uscita dall’Egitto, attendevano la morte per il 15  di Av. Quando, trascorso quel giorno, si ritrovarono vivi e vegeti, pensarono di aver sbagliato il calcolo del tempo, ma allorché videro splendere in cielo una bella luna piena (segno che era proprio il 15 del mese), si resero conto che Dio li aveva perdonati e istituirono così la festa del 15 di Av (Talmud di Gerusalemme, Ta’anit 4). Ora, il Vangelo, dice che Gesù fu a Gerusalemme per una festa. A noi piace pensare che fosse proprio Tu beAv. Quella che rimette in piedi chi si è lasciato paralizzare nel suo cammino verso la libertà. Agli ebrei nel deserto (e al nostro paralitico) c’erano voluti trentotto anni, a voi vent’anni per celebrare il 25 aprile, altrettanti a noi per vedere la fine della dittatura, quindici al Cile, assai di più all’Unione Sovietica e così via. La storia si ripete. Dio chiama sempre. Noi ci lasciamo abbindolare e/o intimorire da chi si erge a idolo della politica, strumentalizzando e manipolando senza vergogna tutto e tutti. Fino a che ci rendiamo conto del male che ci siamo fatti e ci rimettiamo in marcia. È Lui che ci ha detto: Alzati e cammina. Segno che ci ha perdonati.    

 

Oggi il nostro calendario ecumenico ci porta la memoria di un grande figlia dell’India: Pandita Ramabai, maestra di saggezza e riformatrice sociale.    

 

05 PANDITA.jpgRamabai era nata il 23 aprile 1858 a Karnataka, in India,  figlia di un ricco studioso brahmino, Ananta Shastri, e della sua giovanissima moglie. Benché fosse un indù ortodosso, il padre la educò come avrebbe fatto con un ragazzo, insegnandole i testi sacri, poetici e filosofici dell’antichità. Sicché, appena dodicenne, Ramabai sapeva già a memoria centinaia di brani in sanscrito, oltre ad aver imparato il Marathi e altre otto lingue. La sua conoscenza della lingua sacra dell’Induismo le avrebbe guadagnato più tardi il titolo, inconsueto per una donna, di “Pandita”, maestra di saggezza. Durante un lungo viaggio attraverso l’India, Ramabai venne a contatto con le condizioni drammatiche a cui un sistema sociale e religioso antiquato costringeva le donne del suo paese: la sofferenza delle numerosissime vedove-bambine cui era vietato di risposarsi o delle donne destinate a seguire nella morte il coniuge o di quelle costrette a prostituirsi. Questo stato di cose, assieme alla morte per fame del padre e della sorella maggiore, contribuì a minare le credenze religiose che le erano state inculcate nella fanciullezza. Giunta con il fratello, nel 1878, a Calcutta, decise, due anni dopo, in aperta sfida alle convenzioni sociali e religiose, di sposare un avvocato appartenente alla casta dei shudra, ma, dopo soli sedici mesi,  la morte del marito a causa di un’epidemia di colera la lasciò vedova e con una figlia. Da allora Ramabai sentì sempre più forte l’impulso a dare il suo contributo alla lotta per la liberazione della donna in India. Aprì centri per accogliere vedove e orfani a Poona e a Bombay, dove venivano offerti loro un’istruzione di base e un avviamento professionale. Nel 1883 accettò l’invito a visitare l’Inghilterra rivoltole da una congregazione di suore anglicane. Là, dopo uno studio approfondito della Bibbia, chiese di ricevere il battesimo. Diventare cristiana, tuttavia, non significò per lei rinnegare le sue radici, ma incontrare quella Buona Notizia portata ai più piccoli e poveri, che lei vedeva concretamente incarnata nel servizio  reso alle donne e agli esclusi dal sistema sociale vigente. In seguito sarebbero stati i suoi nuovi correligionari i suoi critici più severi, insoddisfatti del suo disinteresse a fare delle sue opere sociali uno strumento di proselitismo. E, coerentemente, nei suoi ultimi anni, avrebbe pregato non per la conversione degli Indú, ma per quella degli indiani cristiani. Dopo aver imparato greco ed ebraico, dedicò gli ultimi quindici anni di vita alla traduzione della Bibbia in lingua Marathi. Il 5 aprile 1922, dopo aver riletto l’ultima bozza, morì. Aveva sessantaquattro anni.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Ezechiele, cap. 47, 1-9. 12; Salmo 46; Vangelo di Giovanni, cap. 5, 1-16.

 

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Contintente africano.

 

È tutto per stasera: noi ci si congeda qui, offrendovi uno stralcio della memoria autobiografica di Pandita Ramabai, che potete trovare in rete nell’originale inglese, con il titolo “My Inexhaustible Treasure . E che è, per oggi,  il nostro

 

pensiero del giorno

Non c’era più bisogno di fare affidamento alla casta, né al sesso, né al lavoro, né a nessun uomo per ottenere la salvezza, la vita eterna, ma Dio la dava gratuitamente a tutti coloro che hanno creduto nel suo Figlio, da Lui inviato per essere “propiziazione per i nostri peccati”. E non c’era più ombra di dubbio sul fatto che questa salvezza fosse attuale o no. Non dovevo più attendere, dopo un’infinita serie di milioni di nascite e di morti, di rinascere finalmente brahmino, per ottenere la conoscenza del Brahma. E, poi, c’era qualche gioia o felicità da sperare?  No, non ci sarebbe stato altro che l’unione con il Nulla-Shunya, Brahma.  Il Figlio di Dio dice: “In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita” (Gv 5, 24). “Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è maggiore; e la testimonianza di Dio è quella che ha dato al suo Figlio. Chi crede nel Figlio di Dio, ha questa testimonianza in sé. Chi non crede a Dio, fa di lui un bugiardo, perché non crede alla testimonianza che Dio ha reso a suo Figlio. E la testimonianza è questa: Dio ci ha dato la vita eterna e questa vita è nel suo Figlio. Chi ha il Figlio ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita. Questo vi ho scritto perché sappiate che possedete la vita eterna, voi che credete nel nome del Figlio di Dio” (1Gv 5, 9-13). Lo Spirito Santo, attraverso la Parola di Dio, mi ha reso chiaro che la salvezza che Dio ci dà attraverso Cristo è attuale, e non qualcosa che verrà. Io l’ho creduto, l’ho ricevuto, e questo mi ha colmata di gioia. (Pandita Ramabai, My Inexhaustible Treasure).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro

Giorno per giorno – 05 Aprile 2011ultima modifica: 2011-04-05T22:37:00+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo