Giorno per giorno – 01 Aprile 2011

Carissimi,

“Lo scriba disse a Gesù: Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocàusti e i sacrifici” (Mc 12, 32-33). Nel bel mezzo di una serie di controversie, ecco che, per una volta, anche Gesù si trova d’accordo con un rappresentante ufficiale della sua religione. Perché, quando si riesce a scendere al cuore di essa, e cogliere i limiti del linguaggio di cui, nei diversi tempi e luoghi, si riveste, per esprimersi, descriversi, definirsi e celebrarsi (pur continuando ad apprezzarne, se vogliamo, anche la bellezza, il colore, il calore, la sicurezza che tale linguaggio comunica), allora ci si ritrova tutti vicini al Regno di Dio, come Gesù non ha difficoltà a riconoscere al suo interlocutore (v.34). Quel Regno di Dio che, per noi, è la maniera di agire e di donarsi, di  vivere e morire, di Gesù. Immagine dell’agire stesso di Dio (“sua gloria”, dice la lettera agli Ebrei), quel Dio che nessuno ha mai visto, né può arrivare a vedere. Ma che possiamo, nondimeno, (chissà, forse per uno scherzo, o con la complicità, del suo Spirito) cogliere nel suo significato e amare “con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza”, al punto che essa ci possieda e ci conformi a sé nel nostro relazionarci con gli altri. Amare Dio è assumerne lo sguardo paterno-materno (perciò , per noi, fraterno) sull’altro, su ogni altro. A partire dagli ultimi e più trascurati. Perché, come diceva Rabbi Heschel “Dio è il padre di ogni uomo o di nessun uomo” e così anche noi, se non siamo fratelli di tutti, non siamo, in realtà, fratelli di nessuno. Solo miserabili e gretti coltivatori del nostro io, a cui tutto viene riferito. Ma, a questo punto, gli altri, anche i nostri fratelli di sangue, di razza, di chiesa, di cultura, sarebbero niente più che il nostro letame. Domandiamoci, allora: quanto siamo vicini, o distanti dal regno di Dio?

 

Il calendario ci porta oggi la memoria del frate domenicano Giuseppe Girotti, martire del totalitarismo nazista a Dachau.

 

01 GIUSEPPE GIROTTI.jpgGiuseppe Girotti era nato ad Alba (Cuneo) il 19 luglio 1905,  da una famiglia umile e laboriosa. Giovanissimo, entrò nel seminario domenicano di Chieri (TO) e il 3 agosto  1930 fu ordinato sacerdote. Laureatosi in teologia, a Torino, l’anno successivo, si specializzò all’Ecole Biblique di Gerusalemme. Tornato in patria, insegnò Sacra Scrittura, dedicandosi nel contempo a pubblicare commenti esegetici. L’impegno culturale non gli impedì tuttavia di esercitare il ministero sacerdotale tra i poveri né ridusse il suo orizzonte al chiuso della sua stanzetta. Al contrario, la sua attenzione alla problematica sociale e il suo sguardo critico e severo sulla realtà politica di quegli anni, ne determinò la sospensione dall’insegnamento, il trasferimento e la sorveglianza da parte dell’apparato di sicurezza del regime fascista. Durante la Seconda Guerra Mondiale, egli si prodigò per nascondere e salvare la vita agli ebrei perseguitati. Per questa sua attuazione, il 29 agosto 1944 fu catturato e deportato in Germania nel campo di concentramento di Dachau. Sopportò con pazienza e mansuetudine gli stenti e le violenze che caratterizzavano la vita quotidiana nel campo, dedicando le sue forze residue a confortare gli altri deportati. Fino alla morte, avvenuta il 1º aprile 1945. Il 14 febbraio 1995 è stato riconosciuto “giusto tra le nazioni”, il riconoscimento dato a dallo Stato israeliano a quanti si sono adoperati durante l’Olocausto per la salvezza degli ebrei.

 

I testi che la liturgia odierna propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Osea, cap.14,2-10; Salmo 81; Vangelo di Marco, cap.12, 28-34.

 

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

 

Gli ultimi, dicevamo più sopra. L’amore per gli ultimi, il nostro prossimo più lontano (di cui lo straniero è la massima esemplificazione), quello per raggiungere il quale Dio è disceso da tutti i suoi cieli, è l’unica possibile verifica del nostro amore per Dio. Per questo la Bibbia vi insiste tanto. Noi ci si congeda qui, lasciandovi ad una riflessione di Pinchas H. Peli, sul precetto biblico dell’amore per lo straniero. È tratto da “La Torah oggi” (Marietti) ed è il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Abraham ibn Ezra, il famoso poeta medievale e commentatore della Bibbia, fa notare che lo straniero di solito viene accomunato alla vedova e all’orfano quando veniamo ammoniti a non maltrattare i deboli, gli inermi e tutti quelli che non hanno voce nella società. Queste persone si trovano spesso nella condizione di implorare aiuto, ma non c’è nessuno che li ascolti. Questo però è quello che sembra all’osservatore esterno. In realtà, la loro voce non va perduta. “Se infatti li maltrattate, quando invocheranno aiuto a Me, ascolterò il loro grido” (Es 22, 22). È un errore pensare che quelle persone, quando sono afflitte, siano sole, che il loro grido si perda nel vuoto. Non sono sole, perché Dio è con loro. Egli ascolta e risponde al loro grido. Ce lo attestano le seguenti parole: “Voi foste stranieri in Egitto” eppure non periste, perché Dio vi ha udito e vi ha salvato. Così fate attenzione a come trattate lo straniero, perché il suo grido viene udito come fu udito il vostro. Ibn Ezra fa inoltre osservare come l’espressione dell’Esodo (Es 22, 20-22), quando tratta dell’ingiustizia verso chi non ha potere, passi dal singolare al plurale. Questo per dirci che, se si è testimoni dell’oppressione esercitata sugli stranieri o sui poveri, oppure ne abbiamo conoscenza e ce ne stiamo zitti, col nostro silenzio diventiamo complici di quel crimine anche se in esso non abbiamo parte attiva. Anche chi agisce così sarà punito al pari degli oppressori. Ibn Ezra in questa questione è più drastico del famoso attivista Rabbi Abraham Joshua Heschel, quando afferma che “in una società libera, se alcuni sono colpevoli, tutti sono responsabili” (Pinchas H. Peli, La Torah oggi).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratell e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 01 Aprile 2011ultima modifica: 2011-04-01T22:03:00+02:00da fraternidade
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