Giorno per giorno – 02 Aprile 2011

Carissimi,

Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo” (Lc 18, 11-12). Oggi, che non si crede più tanto in Dio (anche e soprattutto quelli che lo sventolano come fosse una bandiera), quella del fariseo non sarebbe necessariamente una preghiera, ma semplicemente una forma della coscienza di sé. Del tipo: io sono meglio. Io ho la verità in tasca. La mia cultura (inclusa la religione o la non-religione che esibisco), sì, che è cultura, la tua fa ridere. Noi siamo la civiltà, gli altri la barbarie. Io sono ricco, prestante, di successo. Tu sei povero, brutto, e fallito. E, così, prendendo spunto dalla vostra cronaca parlamentare di questi giorni (ma non solo da quella e non solo di questi), il ragionamento potrebbe sfociare in una sorta di preghiera assolutamente laica del tipo: foera di ball! O anche: vaffanc…! Oppure: taci handicappata del … ! Riservata indifferentemente a dei poveri cristi che fuggono dalla fame e dalla guerra, al Presidente di uno dei rami del parlamento, ad una deputata in carrozzella. Ora, la preghiera laica del pubblicano della parabola, anch’essa come espressione di una forma della coscienza, ci sembra, invece, sia ben sintetizzata dall’affermazione dell’onorevole (lei, sì, davvero tale) Ileana Argentin – oggetto dell’ignobile attacco – a proposito di chi condivide la sua sorte (ma anche degli altri, che si credono diversi e migliori): “Noi conosciamo benissimo i nostri limiti, perché ci confrontiamo con loro tutti i giorni. Mentre loro sono prigionieri del loro limite, in questo caso il pregiudizio che acceca. E al contrario di noi, non sanno di essere diversamente abili”. Già, l’umiltà, che è anche l’unica vera grandezza, di riconoscere i propri limiti! Per chiudere, ci sentiremmo di aggiungere una considerazione in più, prendendo a prestito l’insegnamento di un maestro chassidico, Rabbi Hanoc: “Quando i figli d’Israele erano in Egitto, quando affondavano fin sopra gli occhi nella volgarità, non vedevano la volgarità. Ora però [che se ne allontanano], sollevano gli occhi e vedono: la volgarità li segue. Poiché Dio li conduceva fuori, credevano che tutto sarebbe finito. Ed ora vedono: no, la volgarità è rimasta con loro, e gridano a Dio. E Mosè disse al popolo: ‘Non temete più, state fermi, vedrete l’aiuto che il Signore vi darà oggi, perché oggi avete visto l’Egitto, non lo vedrete più in eterno!’. Che voi vediate oggi la volgarità che è presso di voi, questo è l’aiuto. ‘Il Signore combatterà per voi’. Ora che voi stessi vi vedete volgari, Dio vi aiuterà a liberarvi dalla volgarità. ‘Ma voi, tacete!’. Tacete, l’aiuto è già venuto” (Martin Buber, I racconti dei chassidim). Le reazioni che si moltiplicano alla volgarità sempre più dilagante soprattutto in questi ultimi anni e nelle sedi più impensate, sono già un buon segno. Com un tocco di humor, potremmo forse dire che la vostra liberazione è vicina, che è giunto il tempo che anche il vostro, di Egitto, non lo vedrete più in eterno. O, almeno, è ciò che vi auguriamo.   

 

Oggi, il calendario ci porta la memoria di Francesco da Paola, monaco ed eremita. 

 

02 FRANCESCO DA PAOLA.jpgFrancesco era nato il 27 marzo 1416 a Paola (Cosenza) da Giacomo Martolilla e Vienna da Fuscaldo, una coppia già avanti negli anni. All’età di quindici anni venne mandato dai frati Conventuali di S. Marco Argentano, per passare con loro un anno di famulato, come scioglimento di un voto fatto dai genitori. Terminato questo periodo,  il giovane si recò in pellegrinaggio ad Assisi, Montecassino, Roma, Loreto e altrove. La visita di Roma, con la visione del lusso della corte pontificia lo rattristò profondamente, tanto che non esitò a redarguire  un cardinale, ricordandogli che Gesù non usava vivere tra tutto quello sfarzo. Tornato a casa, comunicò ai genitori il suo desiderio di vivere in solitudine e preghiera e fu ad abitare  in un terreno fuori mano che la famiglia gli mise a disposizione. In breve furono molti coloro che attratti dalla fama della sua santità giunsero presso di lui per vivere la sua stessa vita. Per loro, che si chiameranno frati Minimi, il giovane asceta fondò numerosi eremi e scrisse una regola di vita molto austera. Quando, già anziano, ricevette dal papa l’ordine di recarsi alla corte di Luigi XI, re di Francia, che giaceva gravemente ammalato e sperava in un miracolo, Francesco obbedì.  Accompagnò gli ultimi giorni del sovrano, riconciliandolo con Dio e disponendolo ad un buon trapasso. Nominato direttore spirituale di Carlo VIII, che salì al trono alla morte del padre, il frate trascorse i suoi ultimi anni alla corte francese, continuando tuttavia a vivere come sempre, in totale povertà e ascesi, denunciando le malversazioni dei potenti e difendendo i poveri e i perseguitati per la giustizia. Morì a Plessis-les-Tours, in un venerdì santo, il 2 aprile 1507, all’età di 91 anni.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Osea, cap.6, 1-6; Salmo 51; Vangelo di Luca, cap.18, 9-14.

 

La preghiera del Sabato è in comunione con tutte  le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

 

Il 2 aprile è l’anniversario della nascita di fratel Carlo Carretto. Benché noi se ne faccia memoria nella data della morte, il 4 ottobre, scegliamo comunque di proporvi, anche oggi, nel congedarci, una citazione, tratta dal suo “Ciò che conta è amare” (AVE), che è, così il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

C’è oggi in molti ambienti cattolici una specie di panico dinanzi alle difficoltà incontrate dai giovani o per mantenere la vocazione o per resistere alle tentazioni o per vivere la carità. Col sedere incollato per ore e ore dinanzi al televisore ogni sera, con levate al mattino il più tardi possibile, con una vita a cui non manca nulla e da cui il sacrificio è escluso, assolutamente escluso, si vorrebbero risolti i problemi della vita evangalica! E mai possibile ciò? Forse che le parole di Gesù non han più valore oggi? Forse che l’espressione “senza croce non c’è salvezza” non è vera per i cristiani dei paesi pingui? Dei continenti comodi? Non dubito nell’affermare che per la cristianità del nostro tempo la civiltà del benessere è ben più pericolosa dello stesso comunismo cosi deprecato e combattuto. Forse quest’ultimo, imponendo la sua dura croce agli uomini nel togliere loro la libertà finirà col far meno disastri di una civiltà che, essendo basata sull’edonismo e sull’opulenza e togliendo del tutto la croce dalla loro casa e dalla loro piazza, minaccia di narcotizzare la volontà dei cristiani e di ridurli a pagani battezzati. (Carlo Carretto, Ciò che conta è amare).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 02 Aprile 2011ultima modifica: 2011-04-02T23:19:00+02:00da fraternidade
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