Giorno per giorno – 16 Marzo 2011

Carissimi,

“Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione” (Lc 11, 29-30). Stasera nella chiesetta dell’Aparecida, Maria Ferreira ha aperto la ruota degli interventi dicendo che i contemporanei di Gesù (non tutti, certo!) avevano un bel fegato a chiedergli un segno, quando tutto in lui, ogni sua frase, ogni suo gesto, ogni sua azione, era segno di ciò che lui era, l’Emanuele, il Dio con noi. Che strano, però. Noi si è più facili a credere (quindi ad avere fede, a dare fiducia) a delle persone qualunque che a Dio. Crediamo alla ragazza (o al ragazzo) che dice di volerci bene, ai genitori che ci raccontano di loro, agli insegnanti che ci propongono la loro materia, a chi ci vende un prodotto, al medico che fa una diagnosi, ai politici che ce la raccontano, ma a Gesù che dice e ci mostra come e fino a che punto Dio ci ama, si ha sempre una resistenza e una riserva di troppo ad accettarlo come verità per la nostra vita. E perciò anche ad annunciarlo e a testimoniarlo agli altri. Gesù, altre prove, altre dimostrazioni, non ha proprio da darle. Salvo, appunto, il segno di Giona. Che è il perdono e la misericordia ad oltranza. Sì, pure la nostra generazione è malvagia e, forse anche più delle altre, sarà condannata da quelle che l’hanno preceduta e chissà da quelle che la seguiranno, che saranno state capaci di convertirsi da un sistema iniquo e perverso, e con tutto, Lui, alla fine, potrà dirsi soltanto come parola di perdono. E questo ci brucerà e ci purificherà come la somma di tutti gli inferni (le nostre occasioni buttate al vento) che avremo potuto immaginare.       

 

Oggi il calendario ci porta la memoria di Jean de Brebeuf e compagni, martiri gesuiti nella terra degli Uroni, e quella di Antonio Olivo e Pantaleón Romero, martiri della giustizia in Argentina.

 

16 debrebeuf_j.jpgJean nasce  il 25 marzo 1593 a Conde-sur-Vire. Entrato nella Compagnia di Gesù, è ordinato sacerdote a ventinove anni e, tre anni più tardi, parte missionario per il Canada. Vive  per alcuni mesi con la tribù degli Algonchini, apprendendone presto la lingua, al punto di poterne redigere un vocabolario e una grammatica. Nel 1626 si sposta nel territorio abitato dagli Uroni, nella cui lingua (oggi scomparsa) scrive un catechismo. Nel 1633, dopo un forzato ritorno in Francia di tutti i missionari durato quattro anni, è nuovamente al suo posto, tra coloro che sente come la sua gente. Cerca di integrare il Vangelo nella cultura amerinda, sforzandosi di intenderne la saggezza, la spiritualità e l’approccio al sacro. Nel 1637 registra i primi battesimi di adulti. Scrisse a quel tempo: “Dio ci ha dato il giorno per servire al prossimo e la notte per conversare con Lui”, e ancora: “Gesù Cristo è la nostra vera grandezza; è solo Lui e la sua croce che dobbiamo cercare correndo qui tra questa gente”. Negli anni successivi, a partire dal 1642,  i missionari si trovano al centro degli scontri che oppongono gli Irochesi, appoggiati e armati dagli olandesi della Nuova Inghilterra, desiderosi di conquistare il monopolio del commercio delle pellicce, e gli Uroni, appoggiati dai francesi. Cadono i primi missionari gesuiti, laici e sacerdoti, che operano nella regione. Il 29 settembre 1642 muore René Goupil, in Quebec dal 1640; Isaac Jogues e Jean de Lalande vengono uccisi il 18 e il 19 ottobre del 1646; Antoine Daniel, il 4 luglio 1648 è crivellato con frecce e pallottole al termine dell’Eucaristia e il suo corpo è gettato nella cappella in fiamme. Il 16 marzo 1649 gli Irochesi aggrediscono la missione di padre Brebeuf. Lo catturano, lo legano ad un palo, e dopo averlo torturato per tre ore, lo uccidono. Il giorno dopo, viene ugualmente torturato e ucciso Gabriel Lalement, giunto in Québec il 1646. In dicembre moriranno Charles Garnier, missionario tra gli Uroni dal 1636, e Noël Chabanel, che lo aveva raggiunto nel 1643.

 

16 Tonito Olivo.jpgAntonio Olivo e Pantaleón Romero erano entrambi militanti cristiani e dirigenti contadini a Perugorría, nella provincia di Corrientes, diocesi di Goya (Argentina). “Tonito”, di 29 anni, sposato con Margot, era padre di due bambini. “Don Panta“, 50 anni, dalla moglie Elvira aveva avuto otto figli. Lavoravano su terre padronali, pagando tra il 25 e il 40 per cento del magro raccolto di tabacco. “Tonito” e i suoi fratelli “Toti” e Anita, dal 1965, facevano parte dell’Azione Cattolica rurale. Dopo che l’episcopato le ritirò il suo appoggio per il coinvolgimento di questa nelle lotte contadine, il movimento assunse il nome di Leghe agrarie, trovando comunque il sostegno della Diocesi di Goya. “Tonito” sempre allegro, generoso e solidale, era delegato del sito Palmita. L’8 settembre 1975, Giornata dell’agricoltore, le Leghe organizzarono a Goya una grande manifestazione, a cui prese parte anche il vescovo, mons. Alberto Devoto. “Tonito” era tra le presenze più attive. La risposta non si lasciò attendere. Anita, delegata del sito Vaca Paso, venne sequestrata, torturata e abbandonata a 120 chilometri da casa. Alcuni mesi più tardi, il 24 marzo 1976, giorno del golpe militare, fu arrestata nuovamente con alcuni insegnanti solidali con i contadini. In seguito, durante la detenzione nel carcere di Villa Devoto, a Buenos Ayres, venne a sapere che suo fratello “Tonito” e “Don Panta”era stati entrambi sequestrati la notte del 16 marzo 1977. Pochi giorni dopo tre cadaveri affiorarono nel fiume Miriñay. L’esercito ebbe la precauzione di farli sparire prima del riconoscimento ufficiale. Ma secondo alcune testimonianze si trattava proprio di “Tonito”, “Don Panta” e di un altro militante cristiano, Justo José Peloso. A titolo di cronaca, anche “TotiOlivo, fratello gemello di “Tonito” fu, in quegli stessi mesi, arrestato assieme a  Fortunato Curimá e Rogelio Tomasella, anche loro delegati delle Leghe. Restarono in carcere cinque anni, soffrendo orribili torture. Ma ebbero la fortuna di tornare a casa.  

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro di Giona, cap.3, 1-10; Salmo 51; Vangelo di Luca, cap.11, 29-32.

 

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano l’Assoluto della loro vita nella testimonianza  per la pace, la fraternità e la giustizia.

 

Difficilmente ci soffermiamo a pensare di quanto le nostre scelte, apparentemente neutre o addirittura finalizzate a cause lodevoli (di volta in volta, la difesa della patria, dell’ordine, del progresso, della famiglia, della religione, della vita, della libertà d’insegnamento, ecc.), possano tradursi poi in sostegno a governi che fanno di esse semplici slogan per coprire ben altri e lucrosi interessi, che generano oppressione, sofferenze ed emarginazione. La Ninive del racconto di Giona e del richiamo che ne fa Gesù rappresenta un po’ tutto questo. Ma rappresenta anche la capacità di credere al richiamo di un piccolo profeta scalcinato di una nazione nemica (come spesso i poveri del mondo sono visti come nemici dalle società del benessere) e di decidere che è possibile cambiare. A ben vedere, non è Dio che deve dare a noi dei segni, siamo noi che li dobbiamo a Lui.

 

Noi ci si congeda qui, lasciandovi ad un brano di Edward Schillebeeckx, tratto dal suo “Il Cristo. La storia di una nuova prassi” (Queriniana). Chissà che riusciamo a diventare davvero discepoli del Dio che scende e libera. È questo, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

La Bibbia parla soprattutto del ‘giusto sofferente’. Ed a quel tempo era appunto questo il problema cruciale. Non entra invece direttamente in questione il problema dell’ ‘uomo sofferente’, sia egli tzaddiq o no, credente o incredulo. Nell’attuale fase di coscientizzazione umana il problema angosciante sta appunto qui: si tratta del prossimo sofferente, di colui che soffre per lo sfruttamento e l’oppressione od emarginazione non soltanto ad opera di singoli uomini ma soprattutto per causa di sistemi sociopolitici, economici e burocratici, di poteri anonimi, ma non per questo meno reali… Egli non soffre per il regno di Dio o per amore di una causa. Una sofferenza sorda! Il nostro pensiero qui va al più antico racconto della Bibbia, al semplice fatto che gli ebrei si lamentavano della propria condizione di schiavi (Es 2, 23-25); 3, 7-8). E questo indusse Dio a discendere ed a liberare il popolo (Es 3, 8). Il nucleo del messaggio cristiano sta nel fatto che Dio si preoccupa dell’uomo, sia egli tzaddiq, santo, o no: “Dio dimostra il suo amore verso noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi”  (Rm 5, 8). (Edward Schillebeeckx, Il Cristo. La storia di una nuova prassi).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 16 Marzo 2011ultima modifica: 2011-03-16T23:17:00+01:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo