Giorno per giorno – 17 Marzo 2011

Carissimi,

“Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti” (Mt 7, 12). Stamattina ci dicevamo che parrebbe così semplice e scontato, accettare questo principio (che del resto è patrimonio di molte altre religioni e visioni filosofiche), eppure è così difficile metterlo in pratica! Qualche giorno fa ci è capitato di sentire raccontare di una donna e della sua vicina, e non sapremmo dire se era una storia o un fatto reale, e se era gente di qui o di chissà dove. Fatto sta che la vicina, incattivita dagli anni e da una solitudine mal sopportata,  non poteva proprio vederla, la nostra donna. E non mancava di dimostrarglielo. Quando le passava accanto, come parlasse da sola, liberava a mezza voce una litania di insulti, che avrebbero fatto arrossire un uomo e, non bastasse, piazzava sistematicamente i sacchetti della sua immondizia davanti alla casa di quella. L’altra, dopo aver cercato inutilmente di chiedere ragione di quel comportamento, pensò non fosse il caso di insistere, pazientava e lasciava dire e fare. Finché, un giorno, la vicina s’ammalò, forse di dengue, che dà febbre alta e dolori in tutto il corpo, per giorni e giorni. E la nostra vecchia, anche se il marito mugugnava un po’,  andava là, le applicava impacchi, preparava tisane, e poi i pasti, le faceva massaggi, a volte passava tutta la notte a assisterla e a tenerle compagnia. Finché la vicina guarì. E riprese a insultarla quando passava e a metterle i sacchetti di immondizia davanti a casa. Ma la vecchia diceva: è così infelice, poveretta! Perché mai dovrei mettermici anch’io a farla soffrire? La storia, dicevamo, non sappiamo se sia vera e se sia andata proprio così, però, nel nostro ambiente, è assai verosimile. Chi soffre, non lo si lascia solo, ci si dà comunque da fare. E già in questo si stabiliscono delle priorità: i poveri, i malati, i fuori di testa. E questa è la civiltà di Dio. Che c’è chi, spesso, se lo dimentica.      

 

Oggi la Chiesa fa memoria di Patrizio, evangelizzatore e pastore dell’Irlanda.

 

17 PATRICIO.jpgPatrizio era nato, forse nell’anno 385, nella Britannia romana, e a sedici anni era stato rapito dai pirati che l’avevano venduto come schiavo, in Irlanda, ad un pastore. Dopo sei anni, tuttavia, il giovane era riuscito a fuggire e a imbarcarsi alla volta delle Gallie. Lì, maturata in lui la vocazione per lo stato ecclesiastico, visitò e soggiornò per qualche tempo in alcuni monasteri, preparandosi, poi, all’ordinazione sacerdotale, sotto la guida di san Germano, nella città di Auxerre. Intorno al 432, consacrato vescovo, fu inviato dal Papa ad evangelizzare l’Irlanda. Patrizio prese allora a percorrere l’isola che l’aveva visto prigioniero ragazzino, predicando la Buona Notizia con semplicità nelle categorie culturali proprie di quelle popolazioni. L’impatto deve essere stato straordinario, se è vero che, nonostante l’ostilità dei druidi, prima, e degli eretici pelagiani poi,  alla sua morte, avvenuta nel 461, la quasi totalità della popolazione era passata al nuovo credo. Divenendo in poco tempo una vera e propria fucina di vocazioni sacerdotali e monastiche, che avrebbero raggiunto negli anni successivisi i paesi del vicino Continente. 

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro di Ester, cap.4, 17 k-u; Salmo 138; Vangelo di Matteo, cap.7, 7-12.

 

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

 

17_ 150 anni d'italia.jpgNoi, francamente, per il bene che vi vogliamo, pensavamo che i vostri Centocinquant’anni d’Italia vi trovassero in migliori acque, perché la festa potesse essere più piena. Ora, è vero che già il fatto di essere repubblica rappresenta uno scampato pericolo, dato che ci vengono i brividi solo ad immaginare che al Quirinale potesse sedere il non solo fatuo trisnipote di quel Vittorio Emanuele II che divenne oggi il primo re del vostro Paese; ma, insomma, che a spegnere le candeline ci fosse il governo che vi ritrovate, con dentro oltretutto, a boicottare la [non]-festa con la loro sbracata assenza, l’allegra masnada leghista (che sputa sull’Italia, a spese degli italiani), converrete che non è il massimo. E, tuttavia, ricevete, proprio per questo, i nostri migliori auguri.

 

Sugli esiti di certa politica che vi tocca sperimentare oggi, si esprimeva già quindici anni fa, con visione e coraggio profetici l’allora arcivescovo di Milano, Card. Carlo Maria Martini, nel suo discorso alla città, in occasione della festa di S. Ambrogio del 1995 (lo trovate per intero nel sito della Chiesa di Milano). Di quel discorso, scegliamo, nel congedarci, di riportarvi un brano. È per dare un contenuto al nostro augurio: chissà che l’Italia e la sua Chiesa, guardandosi allo specchio, sappiano imboccare nuove vie per lo sviluppo del Paese,  rispettose della democrazia, della legalità, del bene e della dignità della vostra gente. Tutta, non solo di qualcuno. È, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

La Chiesa non deve tacere perché è in gioco ethos politico. Non è la Chiesa ad essere in pericolo; è la natura stessa della politica e quindi della democrazia e, in ultima analisi, del costume sociale che sta alla base della democrazia. Lo mostrano diversi fenomeni e ne richiamo alcuni. 1) L’emergere di una certa defigurazione del primato del soggetto, che si traduce in un privilegio di fatto per chi sa rivendicare, con la forza del suo peso economico e sociale, i propri diritti individuali o di gruppo. Si tratta di un atteggiamento che contesta la funzione dello Stato nella tutela dei più deboli e alla fine mette a rischio lo stesso patto sociale che sottostà alla Costituzione, a vantaggio di assetti contrattuali più facili a piegarsi alle convenienze e alle maggioranze del momento. 2) La fortuna, nell’opinione pubblica e nel costume, di una logica decisionistica che non rispetta le esigenze di una paziente maturazione del consenso o che cerca di estorcerlo con il plebiscito generalizzato o si illude di operare col sondaggio dei desideri, semplificando la complessità della politica, dei suoi tempi e delle sue mediazioni. 3) Il farsi strada di un liberismo utilitaristico che non mette ordine nelle attese e nei bisogni secondo una gerarchia di valori, ma eleva il profitto e l’efficienza o la competitività a fine, subordinando ad essa le ragioni della solidarietà. 4) C’è un crescendo della politica fatta spettacolo, fatta scontro verbale accompagnato anche da minacce; una politica intesa come luogo del successo e palcoscenico di personaggi vincenti, che richiedono deleghe a governare non sulla base di programmi vagliati e credibili, bensì sulla base di promesse o prospettive generiche. 5) C’è, da ultimo, una logica della conflittualità che tutto intende nel quadro della relazione amico-nemico, dove con l’amico si ha tutto in comune, col nemico nulla. […] Ne segue un costume politico che non si confronta, che non cerca il dialogo in vista della verità, che intende il governare come pura decisione presa da chi ha la maggioranza e basta 0 come decisione affidata alle sorti emotive di un plebiscito. […] Non è dunque questo un tempo di indifferenza, di silenzio, e neppure di distaccata neutralità o di tranquilla equidistanza. Non basta dire che non si è né l’uno né l’altro, per essere a posto; non è lecito pensare di poter scegliere indifferentemente, al momento opportuno, l’uno o l’altro a seconda dei vantaggi che vengono offerti. È questo un tempo in cui occorre aiutare a discernere la qualità morale insita non solo nelle singole scelte politiche, bensì anche nel modo generale di farle e nella concezione dell’agire politico che esse implicano. Non è in gioco la libertà della Chiesa, è in gioco la libertà dell’uomo; non è in gioco il futuro della Chiesa, è in gioco il futuro della democrazia. (Card. Carlo Maria Martini, C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 17 Marzo 2011ultima modifica: 2011-03-17T23:01:00+01:00da fraternidade
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