Giorno per giorno – 15 Marzo 2011

Carissimi,

“Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra” (Mt 6, 9-10). Forse dovremmo smettere di pregare il Padre nostro, perché tanto non ci crediamo. Ne abbiamo fatto una formula vuota, che ripetiamo senza neanche arrossire un po’. Come qualcuno(a) che ripetesse ogni sera al coniuge: ti voglio bene, e lo tradisse ogni giorno da sempre. Stamattina ci dicevamo che, pur con un linguaggio religioso, questa preghiera (ma anche ogni altra pagina della Bibbia) dice della nostra vita concreta, delle relazioni che instauriamo tra persone, con la natura e con le cose. Nella forma di Dio o nel suo contrario. E la prima parte di questa preghiera rappresenta una sorta di “inspirazione” – proprio come quando, nell’amore, i polmoni si riempiono di vento,  il cuore trabocca e sembra di volare e si è portati a dire: tutto come vuoi tu! -, e la seconda parte, espirando, ci riporta coi piedi a terra e ci induce a decidere: sarà così e così e così.  La santificazione del nome, l’avvento del regno, il compimento della Sua volontà è un’unica cosa, i cui contenuti sono poi, del tutto realisticamente, descritti dalla condivisione del pane (non, perciò la ricerca dell’accumulazione per me), il perdono e la riconciliazione (non il seminare odio, sospetto, diffidenza, favorire incomprensioni, erigere barriere), il superamento vittorioso degli ostacoli che vi si oppongono, (non la desistenza, l’abulia, la rinuncia a lottare), la liberazione da ogni male (non solo nostra a scapito degli altri, ma per tutti). Se questo non diventa il programma che ci imponiamo ogni mattina al nascere di un nuovo giorno, siamo – sempre che ci ostiniamo a dirci cristiani – solo una manica di ipocriti. Meglio, allora, sbattezzarsi.

 

Il martirologio latinoamericano ricorda oggi Nelio Rougier, piccolo fratello del Vangelo, desaparecido sotto la dittatura argentina, e Antonio Chaj, Manuel Recinos e compagni, martiri evangelici in Guatemala.

 

15 Martiri latinoamerica.JPGNelio Rougier era nato nel 1930 in una famiglia di sette figli. Entrato in seminario e ordinato prete, venne nominato direttore spirituale, prefetto degli studi e professore nel seminario maggiore dell’archidiocesi di Paraná (Argentina). Questi incarichi non gli impedirono tuttavia di lavorare in un quartiere povero di periferia  e di svolgere la funzione di cappellano in un lebbrosario, dove celebrava la messa per i malati ed era in mezzo a loro una presenza amorosa. Desideroso di maggior povertà, entrò nella Fraternità dei Piccoli Frateli del Vangelo, a Fortín Olmos, dove divenne taglialegna. In seguito, si recò a vivere per tre anni con gli indigeni in Venezuela e, al ritorno in patria, si recò a Córdoba per fondarvi una comunità. Scelse di abitare in una “villa miseria”, una baraccopoli senza nome né servizi, dove si trasferì nascondendo la sua condizione di sacerdote. Lo battezzarono il “gringo”, per i suoi occhi e capelli chiari. Costruita la sua casetta, prese a cercare i mezzi per vivere, come i suoi vicini, rovistando nella spazzatura delle discariche circostanti. Nei momenti liberi giocava a calcio. Nel 1971 si aggiunsero a lui alcuni laici che ne condividevano la spiritualità e l’impegno. Nelio celebrò allora la sua prima messa all’aperto, all’ombra di un albero. Insieme crearono una societá di mutuo appoggio, costruirono un Pronto Soccorso, e ottennero l’acqua potabile. La comunità pregava, studiava, analizzava e approfondiva la realtà. Il quartiere si guadagnò allora persino un nome, “Barranca Yaco”. Nelio, per la coerenza della sua opzione, cominciò ad essere ricercato da religiosi, politici, giovani. Nella sua ansia di giustizia per i poveri, compì quella che sarebbe stata la sua ultima scelta: si mise in viaggio per Tucumán nel momento peggiore, quando impazzava la repressione governativa. Lì, il 15 marzo 1975,  venne sequestrato e sparì  nel nulla.

 

15 Marzo.JPGManuel de Jesús, di 24 anni, era un militante cristiano dell’Alianza Evangélica Guatemalteca. Il 15 marzo 1986, mentre partecipava ad un culto, uomini non identificati armati di fucili e coltelli entrarono in chiesa e lo uccisero brutalmente sotto lo sguardo impaurito e impotente dei suoi fratelli di fede. Il Reverendo Guillermo Galindo, presidente della Chiesa, attribuì subito al governo la responsabilità di questo e di altri omicidi, sequestri e sparizioni, avvenuti nel dipartimento di Suchitepéquez, tra cui quello del pastore evangelico Antonio Chaj Solís e di altri sei militanti cristiani evangelici, a Chimaltenango, martiri della loro fede nel Signore Gesù.

 

testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Isaia, cap.55, 10-11; Salmo 34; Vangelo di Matteo, cap.6, 7-15.

 

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali africane.

 

Non ci sarà nessun Mar Rosso ad aprirsi davanti al popolo libico in fuga dal suo Faraone. E noi che si pensava che Yam-Suf , il Mare dei Giunchi,  fosse tale per le infinite braccia tese a sostegno di quanti pretendevano di fare della loro, la terra dove scorre latte e miele, promessa da Dio ad ogni popolo amante della libertà. Ma i giunchi sono troppo presto appassiti e i fuggitivi sono rimasti soli. Il mare non ha coperto questa volta cavallo e cavaliere (Es 15,1), ma ha sommerso i suoi figli migliori. Non ci sarà, perciò, domani, nessuna Bibbia che li canterà, se non, forse, come lamento. Il tutto è rinviato a quando Faraone morirà decrepito nelle sue crapule, ucciso dai suoi stessi fantasmi. Ma quanto tempo ci sarà voluto.

 

È tutto per stasera. Noi ci congediamo offrendovi in lettura un brano di Gustavo Gutiérrez, tratto dal suo “Teologia della liberazione” (Queriniana), che aiuta a riflettere su vicende come quella di Nelio Rougier e che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Se la causa ultima dello sfruttamento e dell’alienazione dell’uomo è l’egoismo, la ragione profonda della povertà volontaria è l’amore del prossimo. La povertà cristiana, allora, non può avere senso se non come un impegno di solidarietà coi poveri, con quelli che soffrono miseria e ingiustizia, al fine di testificare del male che esse, frutto del peccato, rottura di comunione, rappresentano. Non si tratta di idealizzare la povertà ma, al contrario, di assumerla come essa è, cioè come un male, per protestare contro di essa e sforzarsi di sopprimerla. Come dice P. Ricoeur, non si è realmente coi poveri se non lottando contro la povertà. Grazie a questa solidarietà, fatta gesto ben definito, stile di vita, rottura con la propria estrazione sociale, si potrà, inoltre, dare il proprio contributo affinché i poveri e gli emarginati prendano coscienza della loro situazione di sfruttamento e cerchino di liberarsene. La povertà cristiana, espressione d’amore, è solidale coi poveri ed è protesta contro la povertà. Questo è il significato concreto e attuale che rivestirà la testimonianza di povertà vissuta non per se stessa, ma come un’autentica imitazione di Cristo che assume la condizione di peccato dell’uomo, per liberarlo dal peccato e da tutte le sue conseguenze. Bisognerà, comunque, stare sempre attenti alle parole che si adoperano. Il termine “povero” può sembrare non solo impreciso e intraecclesiale ma anche un poco sentimentale, con la conseguenza di diventare asettico. Il “povero”, oggi, è l’oppresso, l’emarginato dalla società, il proletario che lotta per i suoi più elementari diritti, la classe sociale sfruttata e spogliata, il paese che combatte per la sua liberazione. La solidarietà e la protesta di cui parliamo, rivestono, al mondo d’oggi, una inevitabile colorazione “politica”, in quanto racchiudono un significato di liberazione. Optare per l’oppresso corrisponde ad optare contro l’oppressore. (Gustavo Gutiérrez, Teologia della liberazione).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 15 Marzo 2011ultima modifica: 2011-03-15T23:52:00+01:00da fraternidade
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