Giorno per giorno – 05 Marzo 2011

Carissimi,

“Mentre Gesù camminava nel tempio, vennero da lui i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani e gli dissero: Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l’autorità di farle? Ma Gesù disse loro: Vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, vi dirò con quale autorità faccio questo. Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini?”(Mc 11, 27-30). Lettura breve, questa ascoltata stamattina, ma di difficile applicazione alla nostra vita di oggi. Il che, però, ci è di stimolo alla riflessione. Dato che la parola del Vangelo non è mai semplicemente resoconto di un fatto, accaduto allora, ma parola di Dio per ogni tempo. In ballo ci sono la religione (i sacerdoti), la cultura (gli scribi) e la politica (gli anziani), che si sentono questionati (e indispettiti, diciamocelo chiaro) dalla presenza (e dalla proposta) di Gesù. E quando noi udiamo la domanda rivolta a Gesù: Con quale autorità fai queste cose? – e si riferivano al tumulto da Lui provocato il giorno prima nell’atrio del Tempio – ci pare di udire la protesta, non solo e non tanto degli esponenti di punta del giudaismo di allora, quanto piuttosto dei diversi poteri di una società, interessati ad una religione (civile, diremmo oggi), che funzioni come cemento sociale, capace di garantire l’ordine e la tutela degli interessi costituiti. In cui possano ritrovarsi agevolmente e allegramente tutti, atei devoti, prelati miscredenti, disinvolti faccendieri, libertini sostenitori della sacralità della famiglia, compiacenti gazzettieri, adepti della variegata rete di clientele,  e, poi, certo, un buon numero di fedeli disorientati o “debitamente” orientati. Con quello che, di essi (i poteri e perciò anche la protesta), ci possa essere dentro ognuno di noi. E Gesù non risponde. Ci fa però una domanda, che, allora, diceva rispetto al battesimo di Giovanni, oggi, si riferisce, aldilà e sotto ogni maschera che si possa assumere, alla direzione fondamentale della nostra vita: a cosa l’abbiamo convertita? O, anche: a cosa l’abbiamo ridotta? A servizio di chi l’abbiamo messa? Dalla nostra risposta, se davvero sincera, sapremo se, come, e perché sia Lui il Signore della nostra vita, o se invece abbiamo preferito prostituirla agli idoli e ai signorotti del nostro tempo. Lì da voi, per esempio, a quelli di Arcore o di dove preferite. Con le loro squallide ideologie,

 

Oggi facciamo memoria di una santo piccolo e pressocché sconosciuto: Conone, l’ortolano, martire in Panfilia.

 

05 CONONE.jpgOriginario di Nazareth, in Galilea, Conone era, secondo la tradizione, legato da parentela alla famiglia di Gesù. Lasciata la sua terra natale, si stabilì nella città di Mandron, nella Panfilia (una regione dell’attuale Turchia), dove, dalla coltivazione di un orto, ricavava il necessario per vivere. Quando Decio, sconfitto Filippo l’Arabo divenne imperatore, nel 249, e volle riportare in auge la religione romana tradizionale per dare nuova stabilità all’impero, scatenando l’ennesima persecuzione contro i cristiani, ne fu vittima anche il nostro. Per garantirsi la fedeltà dei sudditi, il nuovo imperatore prescrisse l’obbligo per tutti i cittadini di sacrificare agli dèi, con un atto pubblico comprovato da un attestato delle autorità locali. Quando Conone fu invitato a presentarsi davanti al governatore Publio, rispose: Di cosa ha bisogno il governatore da me, visto che sono cristiano? Ditegli di chiamare chi la pensa come lui o ha la sua stessa religione.  Il santo fu allora legato e condotto a forza davanti al Governatore, che tentò ripetutamente di convincerlo a sacrificare agli idoli. Conone rispose però con veemenza che niente e nessuno avrebbe potuto distoglierlo dal confessare apertamente la sua fede in Cristo. Fu così che il governatore ordinò che gli fossero perforati i piedi con chiodi, costringendolo poi a correre davanti al suo carro. Dopo un tratto del cammino, tuttavia, Conone, sentendosi mancare, cadde sulle ginocchia, ed elevata un’ultima preghiera a Dio, morì.

 

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro del Siracide, cap. 51, 17-27; Salmo 19; Vangelo di Marco, cap.11, 27.

 

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

 

02 Shahbaz Bhatti.jpgNoi si è letto solo oggi dell’assassinio di Shahbaz Bhatti, ministro per le minoranze religiose del Pakistan, avvenuto il 2 marzo scorso. Abbiamo trovato in rete il suo testamento. Che ci è parso un esempio straordinario (dovrebbe invece essere del tutto comune) di come il cristianesimo possa essere una scelta esistenziale, capace di orientare tutta una vita (fino al sacrificio supremo) nella sequela del Signore Gesù, e non lo stanco ripetere di e ritrovarsi in riti, professioni di fede, rivendicazioni di radici, appropriazione di simboli, per poi scegliere, concretamente, di vivere, appena usciti di chiesa (se ancora ci si va) il loro esatto contrario. Quel testamento, ve lo proponiamo, nel congedarci, come nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Il mio nome è Shahbaz Bhatti. Sono nato in una famiglia cattolica. Mio padre, insegnante in pensione, e mia madre, casalinga, mi hanno educato secondo i valori cristiani e gli insegnamenti della Bibbia, che hanno influenzato la mia infanzia. Fin da bambino ero solito andare in chiesa e trovare profonda ispirazione negli insegnamenti nel sacrificio, e nella crocifissione di Gesù. Fu l’amore di Gesù che mi indusse ad offrire i miei servizi alla Chiesa. Le spaventose condizioni in cui versavano i cristiani del Pakistan mi sconvolsero. Ricordo un venerdi di Pasqua quando avevo solo tredici anni: ascoltai un sermone sul sacrificio di Gesù per la nostra redenzione e per la salvezza del mondo. E pensai di corrispondere quel suo amore donando amore ai nostri fratelli e sorelle, ponendomi al servizio dei cristiani, specialmente dei poveri, dei bisognosi e dei perseguitati che vivono in questo paese islamico. Mi è stato richiesto di porre fine alla mia battaglia, ma io ho sempre rifiutato, persino a rischio della mia stessa vita. La mia risposta è sempre stata la stessa. Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solo un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è cosi forte in me che mi considererei privilegiato qualora – in questo mio battagliero sforzo di aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del Pakistan- Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita. Voglio vivere per Cristo per Lui voglio morire. Non provo alcuna paura in questo paese. Molte volte gli estremisti hanno desiderato uccidermi, imprigionarmi; mi hanno minacciato, perseguitato e hanno terrorizzato la mia famiglia. Io dico che, finchè avrò vita, fino al mio ultimo respiro, continuerò a servire Gesù e questa povera, sofferente umanità, i cristiani, i bisognosi, i poveri. Vedo che i cristiani del mondo hanno teso la mani ai musulmani colpiti dalla tragedia del terremoto del 2005 abbiano costruito dei ponti di solidarietà, d’amore, di comprensione, di cooperazione e di tolleranza tra le due religioni. Se tali sforzi continueranno sono convinto che riusciremo a vincere i cuore e le menti degli estremisti. Ciò produrrà un cambiamento in positivo: le genti non si odieranno, non uccideranno nel nome della religione, ma si ameranno le une le altre, porteranno armonia, coltiveranno la pace e la comprensione in questa regione. Credo che i bisognosi, i poveri, gli orfani qualunque sia la loro religione vadano considerati innanzitutto come esseri umani. Penso che quelle persone siano parte del mio corpo in Cristo, che siano la parte perseguitata e bisognosa del corpo di Cristo. Se noi portiamo a termine questa missione, allora ci saremo guadagnati un posto ai piedi di Gesù e io potrò guardarLo senza provare vergogna. (Shahbaz Bhatti, Testamento).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 05 Marzo 2011ultima modifica: 2011-03-05T23:55:00+01:00da fraternidade
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