Giorno per giorno – 04 Marzo 2011

Carissimi,

“La mattina seguente, mentre uscivano da Betània, ebbe fame. Avendo visto da lontano un albero di fichi che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se per caso vi trovasse qualcosa ma, quando vi giunse vicino, non trovò altro che foglie. Non era infatti la stagione dei fichi. Rivolto all’albero, disse: Nessuno mai più in eterno mangi i tuoi frutti! E i suoi discepoli l’udirono” (Mc 11, 12-14). Era il giorno dopo l’entrata in Gerusalemme, il cui racconto la liturgia rinvia alla Settimana Santa, e Marco inserisce qui questo gesto fortemente  simbolico di Gesù, che Luca proporrà, invece, nel suo Vangelo come parabola, ponendola in un altro contesto (Lc 13, 6-9) e dandole altro svolgimento e altro significato. Là, infatti, sarà per dire l’indulgenza e la longanimità di Dio, qui, invece, ne dice tutta l’impazienza e l’indignazione. Forse per insegnarci che, parafrasando un po’ Qoelet, se proprio vogliamo,  c’è, sì, un tempo per avere pazienza, ma, prima o poi, bisogna anche decidersi a perderla; o, detto altrimenti, se si ha la disgrazia di nascere un po’ don Abbondio, ci sarà, sì, un tempo per tacere, sperabilmente con qualche imbarazzo, ma intanto bisognerà fare le prove davanti allo specchio per tirare fuori la voce e dirgliene quattro ai don Rodrigo di turno. Perché, se arriva Gesù e, del fico, trova solo le foglie (sempre che ne trovi ancora, considerato che ne avranno fatto nel frattempo man bassa per coprire le tante vergogne), la si mette male. Se è vero com’è vero che, proprio nel Tempio, Lui, il mite e nonviolento per eccellenza, mette mano alla frusta, per cacciarne i mercanti. E di mercato, in tutti i sensi, voi ne avete sentito parlare mica poco negli ultimi tempi, nelle istituzioni e tra le istituzioni più alte del Paese. Inclusi alcuni esponenti di quelle religiose. Ma non diamo la colpa e le responsabilità solo a loro. Sarebbe tempo, ove non l’abbiano ancora fatto, che i laici recuperassero la consapevolezza del loro essere chiesa e vi agissero da protagonisti, senza aspettarsi necessariamente l’imbeccata dai loro pastori, una parte dei quali, come succedeva ai tempi del Vangelo (e anche prima), è (ed era) più propensa a frequentare i palazzi degli Erode di turno, che a prendersi a cuore la causa del Regno di Dio e dei poveri, suoi destinatari. Noi non saremo giudicati su ciò che ha fatto o non ha fatto Márcio Caiado, il nostro sindaco, né voi su ciò che ha fatto o non ha fatto il vostro Berlusconi o su cosa ha detto o non detto qualcuno dei suoi solerti cappellani di corte. Ma su ciò che ciascuno di noi e noi tutti insieme avremo fatto e detto per impedire loro di combinare troppi danni. In una lettera inviataci qualche giorno fa, il nostro amico don Aldo Antonelli citava Rocco d’Ambrosio, docente di etica politica alla Gregoriana di Roma: “Si riflette poco sulla natura culturale del berlusconismo, fatto di sete sfrenata di potere e denaro, vilipendio delle istituzioni democratiche, asservimento delle leggi a proprio favore, volgarità, arroganza, razzismo, tv spazzatura, utilizzo strumentale della religione cattolica, offesa della laicità dello stato, infedeltà personali, condotta morale, pubblica e privata, riprovevole, autoreferenzialità. Sono questi elementi che vanno compresi e studiati, a prescindere dalla scena politica: sono il cancro della nostra Italia attuale”.  I cristiani, da soli, probabilmente, non hanno da voi i numeri per spedire a casa i responsabili di un simile sfascio. Devono però avere il coraggio e il decoro di dirgli: il mercato da noi, in chiesa, con la chiesa, no. Grazie. Qui da noi succede. Anche se poi, naturalmente, ci sono dei costi da pagare. Vengono infatti a mancare l’ossequio e i favori dei potenti. Del resto, come ricordava qualche anno fa il card. Martini, citando S. Ambrogio: “Dobbiamo stare attenti a non prestare ascolto a chi ci vuole adulare, perché lasciarci snervare dall’adulazione non solo non è prova di fortezza, ma anzi di ignavia” (S. Ambrogio, I doveri I, 42, 209).

 

Oggi facciamo memoria di Gerasimo del Giordano, anacoreta del V secolo. Ricordiamo anche la figura di Alexander Campbell, co-fondatore del Movimento di Restaurazione, che, sorto negli Stati Uniti, all’inizio dell’Ottocento, per iniziativa di alcuni pastori di diverse denominazioni cristiane, intese favorire, senza troppo successo, il ritorno a un’unica chiesa,  sulle orme della primitiva comunità apostolica, e diede origine alle Chiese di Cristo e a quelle dei Discepoli di Cristo, dette anche semplicemente,  Chiese cristiane.

 

04 GERASIMO DEL GIORDANO.jpgGerasimo era nato in Licia (sulla costa meridionale dell’attuale Turchia), probabilmente verso la fine del IV secolo. Dopo essere entrato in monastero giovanissimo, l’ardente desiderio di darsi tutto a Dio, lo portò a compiere la scelta di una vita eremitica. Dopo aver trascorso un periodo nei deserti della sua regione natale, si trasferì in Palestina, dove, influenzato dal vescovo Teodosio, che si era impadronito della sede episcopale di Gerusalemme, aderì, con molti altri monaci, all’eresia monofisita eutichiana, condannata dal Concilio di Calcedonia (451). Tuttavia, dopo aver incontrato nel deserto di Rouba, nei pressi del Mar Morto,   il santo anacoreta Eutimio, si rese conto del suo errore e tornò alla fede ortodossa. Stabilitosi poi sulle rive del Giordano, nei pressi di Gerico, per vivere lì come anacoreta, fu raggiunto ben presto da un numeroso stuolo di discepoli. Fondò allora un monastero che comprendeva anche una settantina di eremi disseminati nel deserto circostante, provvedendo loro una regola di vita assai severa. I monaci dividevano il loro tempo tra preghiera e lavoro manuale. Consumavano una sola refezione a base di pane, datteri e acqua. Solo il sabato e la domenica, quando si riunivano per partecipare alle funzioni religiose, era permesso loro di consumare cibi cotti e bere poco vino. Osservavano il silenzio più assoluto, dormivano su letti di giunco in celle che non venivano mai riscaldate. La tradizione fissa la morte di Gerasimo il 5 marzo 475. La Chiesa ortodossa ne celebra, però, la memoria il 4 marzo.

 

04 ALEXANDER_CAMPBELL.jpgAlexander Campbell era nato nella Contea di Antrim (Irlanda), il 12 settembre 1788. Il padre, Thomas, di origine scozzese, era pastore presbiteriano; la madre, Jane Corneigle, discendeva da una famiglia ugonotta, fuggita dalla Francia per sottrarsi alle persecuzioni. Nel 1809 Alexander, con la famiglia, raggiunse il padre che due anni prima si era trasferito in America, per svolgere colà il suo ministero.  A partire da allora padre e figlio lavorarono assiduamente, combattendo il settarismo che allignava nelle chiese protestanti e sognando un esodo in massa di fedeli dalle diverse chiese evangeliche allo scopo di formare un solo corpo, la Chiesa del Nuovo Testamento, sulla base della verità della Bibbia come unica autorità in materia di fede e di pratica cristiana.  Compagne fedeli e instancabili di questa sua ricerca furono le due mogli,  Margaret Brown, che morì nel 1827, e Selina Bakewell, sposata nel 1828, che morirà nel 1897. Alexander Campbell  morì il 4 marzo 1866 a  Bethany, nel West Virginia.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro del Siracide, cap.44, 1. 9-13; Salmo 148; Vangelo di Marco, cap.11, 11-26.

 

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

 

Stasera vi chiediamo una preghiera particolare per Riccardo, nipote della nostra amica Nadia di Foligno, che soffre le conseguenze di un brutto incidente in montagna. E anche per le nostre Das Dores, Maria Toró, Maria Rezadeira, e per padre Vilmar e padre Marcos, tutti con gravi problemi di salute.

 

Giovanni Mosco fu un monaco bizantino, vissuto a cavallo tra il VI e il VII secolo, che scrisse vari testi agiografici, tra cui anche “Il prato spirituale”, – edito in Italia con il titolo “Il prato” (D’Auria) -, in cui sono raccolti numerosi aneddoti e massime dei monaci del deserto, compreso il Gerasimo di cui facciamo memoria oggi. Nel congedarci, scegliamo di proporvene un brano come nostro

  

PENSIERO DEL GIORNO

Un giorno, mentre abba Gerasimo passeggiava presso la riva del Giordano, gli si fece incontro un leone. Ruggiva forte a causa della sua zampa, perché era stato punto dalla spina di una canna e la zampa era gonfia e piena di pus. Vedendo l’anziano, il leone gli si accostò e gli mostrò la zampa ferita dalla spina, con aria implorante.Nel vederlo in questo stato l’anziano si mise a sedere, gli prese la zampa e con un taglio tolse la spina e molto siero. Poi gli disinfettò accuratamente la ferita, gli fasciò la zampa e lo congedò. Ma il leone guarito non lasciò più l’anziano. Quando abba Gerasimo se ne andò al Signore e fu seppellito dai padri, il leone vide e sentì abba Sabazio che si prostrava e piangeva sul sepolcro; si prostrò anche lui, batté forte il capo per terra e ruggì. Poi, all’improvviso, morì sulla tomba dell’anziano. (Giovanni Mosco, Il prato).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 04 Marzo 2011ultima modifica: 2011-03-04T23:24:00+01:00da fraternidade
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