Giorno per giorno – 08 Febbraio 2011

Carissimi,

“I farisei e scribi  interrogarono Gesù: Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure? Ed egli rispose loro: Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me” (Mc 7, 5-6). I farisei erano brava gente, per carità. Ma, a volte, se la cercavano proprio. Perché, Gesù non aveva proprio nulla contro la Legge, né contro le tradizioni, sempre che non si facesse di quella e di queste lo strumento per annullare la parola di Dio. La sua ultima e definitiva, che Lui era venuto ad incarnare: la misericordia. Allora, lasciamo in pace i farisei, e cerchiamo di guardare alla nostra realtà. Se vi capita di navigare in rete, date uno sguardo ai veleni che seminano e le scomuniche che comminano i siti integralisti su chi non la pensa come loro. Le guerre che scatenano per le celebrazioni con le spalle al popolo o meno, una comunione sulla mano o in bocca,  una genuflessione o un inchino mancati, sui canti se non sono come vogliono loro (in genere il gregoriano, che qui, oltre ogni nostro possibile personale apprezzamento, ha il pregio di conciliare il sonno alla nostra gente, il che, per una liturgia, non è proprio il massimo che si possa desiderare), o la proibizione di battere le mani, durante il culto, e di danzare (che poi non è un vero e proprio danzare, è muoversi un pochino) e, a tal fine, citano fior di documenti, di vescovi, papi, e sacre congregazioni. Ma, dove sta scritto nel Vangelo che si debba o non si debba fare così? Quando il nostro fratello Guido celebrava, nei cascinali dei dintorni, solo con la stola o la camicia monastica (mica per cattiva volontà, solo perché si scordava i paramenti), la gente piangeva di commozione. Perché lo sentiva vero e Gesù stava certo lì. Comunque, gli integralisti se la vedranno loro, ma noi, noi a che punto stiamo con il rispetto e la tenerezza che dobbiamo alla maniera concreta di essere, e perciò anche di pregare e di relazionarsi con il mistero, della nostra gente? Perché, poi, è questo ciò che Gesù si aspetta da noi. Il resto, che sia nostro, che sia della chiesa di Roma, è, come dice il Vangelo, “tradizione degli uomini”.

 

Oggi il calendario ci porta le memorie di Bruno Hussar, profeta di pace in Israele, e di Stefano di Muret, testimone dell’Evangelo.

 

08_BRUNO_HUSSAR BIS.jpgAndrea Hussar era nato a Il Cairo il 4 maggio 1911, da genitori ebrei non praticanti. Dopo gli studi al liceo italiano nella capitale egiziana, il giovane, alla morte del padre, si trasferì con la madre in Francia, dove ottenne la cittadinanza francese, completando a Parigi gli studi di ingegneria. Fu in quegli anni che iniziò un cammino spirituale che sfociò nella scoperta del cristianesimo e nella richiesta del battesimo. Battezzato il 22 dicembre 1935, svolse la sua professione per alcuni anni fino a quando nel 1941 fu colpito da una tubercolosi che lo condannò per due anni a completa immobilità. Nel 1945 maturata la vocazione religiosa, entrò tra i domenicani, assumendo il nome di Bruno. Fu ordinato sacerdote cinque anni più tardi ed inviato nel 1953 in Israele per favorire la creazione di un centro di studi ebraici, che vedrà la luce cinque anni più tardi, la Casa di sant’Isaia. Lì, Bruno approfondì la sua coscienza di appartenere al popolo ebraico e contribuì, con la sua attività di riflessione e di studio, negli anni che seguirono, a tessere le fila del dialogo ecumenico tra la Chiesa e il popolo ebreo. Negli anni settanta, assieme ad Anne Le Meignen, diede avvio al progetto di Nevè Shalom/Waahat as-Salaam, Oasi di pace, un villaggio, situato tra Tel Aviv e Gerusalemme, in cui, convivendo insieme, ebrei, musulmani e cristiani delle diverse confessioni, apprendessero a conoscere, rispettare e amare le rispettive identità.  Il frate volle che là sorgesse un luogo di preghiera, privo di qualsivoglia simbolo religioso, chiamato Dumia (Silenzio), dove chiunque potesse raccogliersi in contemplazione. Bruno Hussar morì nel suo villaggio, profezia di un futuro di pace,  l’8 febbraio 1996.

 

08_ESTEVÃO_DE_MURET.GIFStefano di Muret era nato nel 1045 nel castello di Thiers, feudo di famiglia, nell’Auvergne. Poco più che trentenne,  semplice laico, divenne eremita, nella zona di Limoges, nel sud-ovest della Francia, riunendo altri amanti della solitudine al servizio di Cristo. Accogleva allegramente quanti venivano a ricevere una parola, grandi e piccoli, poveri e ricchi, giusti e peccatori. Morì l’8 febbraio 1124.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro di Genesi, cap.1, 20 – 2, 4a; Salmo 8; Vangelo di Marco, cap.7, 1-13.

 

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali dell’Africa Nera.

 

È tutto per stasera. Noi ci si congeda, lasciandovi a una testimonianza su Bruno Hussar, rilasciata da Shai Schwartz, attore e regista di Nevè Shalom. Che troviamo nel sito di Giovani Pace e che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Ritengo di dover parlare di Bruno come mio padre, perché così lo considero: il mio padre spirituale. La Torà inizia dicendo che il Signore ha creato il cielo e la terra, e che prima c’era il caos. Dio poté creare la terra perché aveva una luce interiore, una luce nascosta, una luce molto potente. Dopo aver compiuto la creazione e avere creato anche l’uomo il Signore disse che questa forza che aveva usato non poteva lasciarla dispersa, perché se se ne fosse impossessato l’uomo avrebbe potuto essere pericoloso. Il Signore si rivolse all’arcangelo Gabriele chiedendo come avrebbero potuto nascondere questa forza. L’arcangelo Gabriele disse di nasconderla molto in profondità nella terra. Dio disse: “Non è una buona soluzione perché già so che l’uomo si metterà a scavare la terra alla ricerca di metalli preziosi e potrebbe scoprirla. Non è la soluzione”. L’arcangelo Gabriele: “Mettiamola nella profondità degli oceani, lì è molto umido, figurati se l’uomo va là sotto”. Dio rispose: “No, l’uomo farà delle macchine particolari con le quali riuscirà ad andare sotto l’oceano”. Ma Dio sapeva cosa fare: “Nasconderò questa forza dove l’uomo non potrà mettere le mani. La metterò nel cuore dell’uomo. Lì non la troverà mai!”. Bruno è riuscito a trovare questa forza nascosta. Con questa forza è riuscito a smuovere le montagne, a trasformare una pietraia in una realtà di vita. La prima volta che mi parlò di Nevè/Shalom, il modo in cui ebrei e palestinesi potessero vivere insieme, io non riuscivo a credere alle mie orecchie. La vera difficoltà con cui Bruno si è misurato, non era la pietraia della collina su cui ha fatto il villaggio, ma era il fatto che di una convivenza in pace tra ebrei e palestinesi nessuno aveva mai osato parlare. La stessa parola palestinese in bocca a un ebreo e viceversa erano qualcosa di inaudito. Bruno è passato attraverso molte crisi, ma al culmine della crisi era sempre pronto a ripartire. Ciò che Bruno fece fu sfidare Dio: sfidò Dio a dargli un segnale per andare avanti. Sfidare Dio è un doloroso contratto che ti impegna ogni giorno della tua esistenza: ed è ciò che Bruno fece con grande impegno. Se tu incontravi Bruno non pensavi di avere davanti un frate filosofo, lui ti guardava sorridendo con grande semplicità. Ricordo anche che nelle nostre assemblee molto combattute – gli uni sostenevano una cosa, gli altri un’altra – non prendeva mai la parola, aspettava in silenzio e sorrideva. Alla fine diceva una terza cosa su cui poi finivamo per essere d’accordo! (Shai Schwartz, Ricordando Bruno Hussar).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 08 Febbraio 2011ultima modifica: 2011-02-08T22:06:00+01:00da fraternidade
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