Giorno per giorno – 28 Gennaio 2011

Carissimi,

“A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno” (Mc 4, 30-31). Le parabole ascoltate oggi sono state due. La  prima era quella dell’uomo che semina, e poi il seme fa tutto per conto suo, là sotto terra, marcisce, sembra morire, e invece sta nascendo come cosa nuova, cresce, fora il terreno, si fa stelo, mette la spiga, che si riempie di chicchi. E Valdeci diceva che succede un po’ così anche coi figli, che l’uomo semina, e poi può esserci o non esserci, star sveglio o dormire, e quelli come un miracolo ti crescono dentro e poi nascono e sono già anche loro un’altra cosa. Anzi, non smettono mai di esserlo. E cita un salmo che cantiamo spesso: “Tu me teceste no seio materno, e me formaste com tuas proprias mãos” (Sal 139, 13). Lo diciamo a Dio: “Tu mi hai tessuto nel seno materno, e mi hai formato con le tue stesse mani”. Così è anche per il Regno: noi ci mettiamo, quando ce la mettiamo, la materia prima, il resto lo fa Lui, il suo Spirito. La seconda parabola è quella che ci insegna come si manifesta il Regno. È nelle cose piccole, negli eventi a prima vista insignificanti, negli ultimi che accettano di essere il seme più piccolo, quello di senape, che si lascia seminare e che, se potesse ragionare, si dispererebbe e griderebbe al seminatore: Che fai, mi vuoi morto? Come, infatti, Gesù, cioè Dio divenuto il seme più piccolo, muore, ma riveve ogni volta come arbusto alla cui ombra si riparano tutti gli uccelli. Così può essere di noi: ogni volta che davvero riusciamo a morire a noi stessi (che è più difficile e duro del semplice morire), nasce, cresce e si manifesta il regno, come accoglienza e ospitalità offerta a tutti.

 

Due sono le memorie di oggi, per la prima delle quali confessiamo di nutrire un vero e proprio debole, a causa della simpatia del personaggio. Si tratta di Rabbi Sússja di Hanipol, mistico ebreo e folle di Dio, che ricordiamo con Tommaso d’Aquino, prete, teologo e dottore della Chiesa.

 

28 RABBI SUSSJA.jpgMeshulam Sussja era nato nel 1718 nei pressi di Tarnow, in Galizia (nell’attuale Polonia). Discepolo di Rabbi Dov Bär, il grande Magghid (predicatore) di Mesritsch e fratello di Rabbi Elimelech di Lisensk, fu uno dei primi maestri del chassidismo. Raccontanto che, nonostante frequentasse volonterosamente le lezioni del Magghid, non riuscì mai a seguirne una, perché quando il Maestro prendeva il passo della Scrittura che intendeva commentare e cominciava con le parole: “E Dio disse”, Sussja era subito rapito fuori di sé e cominciava a muoversi e a saltare così selvaggiamente che bisognava condurlo fuori dall’aula, calmandosi solo quando  la lezione giungeva alla fine. Tanta era la passione per il solo nome di Dio. Fu sempre uomo semplice, modesto e pieno di misericordia con tutti. Alla morte del Magghid, fu ad abitare ad Hanipol, dove una cerchia di discepoli si riunì intorno a lui. La comunità si ampliò, quando, alla morte del fratello Elimelech, molti dei discepoli di quest’ultimo lo scelsero come loro rabbi. Alla sua morte, i due figli gli successero  come maestri chassidici. I suoi insegnamenti sono raccolti  nel Menorat Zahav. Lasciò detto: “Nel mondo a venire non mi si chiederà: Perché non sei stato  Mosé o Abramo?. Mi si chiederà: ‘Perché non sei stato Sussja?”. A significare l’irripetibilità della vocazione a cui ciascuno di noi è chiamato.  Morì il 28 gennaio 1800 (2 shevat 5560 per il calendario ebraico). Sulla sua tomba furono scritte queste parole: “Uno che servì Dio in amore, che si rallegrò delle sofferenze, che strappò molti al peccato”.

 

28 Tommaso d'Aquino III.jpgTommaso  nacque sul finire del 1225, nel castello di Roccasecca, nella famiglia del conte d’Aquino. Dopo la prima formazione alla scuola dei benedettini di Montecassino, all’età di 18 anni, nonostante l’opposizione della famiglia, entrò nell’ordine dei Predicatori. Completò la sua formazione a Colonia, alla scuola di Alberto Magno,  e, successivamente, a Parigi, dove divenne docente di filosofia e teologia. Scrittore e predicatore fecondo, scrisse oltre venti tomi ponderosi, dallo stile brillante, profondità di argomentazione, chiarezza di pensiero. La sua opera più celebre resta la sua  Summa Theologiae.  Morì il 7 marzo 1274, nel monastero cistercense di Fossanova, mentre si stava recando al concilio di Lione, convocato dal papa Gregorio X.  Tre mesi prima di morire, nel 1273, aveva avuto un’esperienza mistica, dopo la quale non scrisse più nulla, confessando che tutto ciò che aveva scritto era solo paglia rispetto a ciò che gli era stato rivelato in quell’occasione.   

 

Le letture proposte dalla liturgia odierna alla nostra riflessione sono tratte da:

Lettera agli Ebrei, cap.10, 32-39; Salmo 37; Vangelo di Marco, cap.4,26-34.

 

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

 

Noi ci si congeda qui, lasciandovi ad un fioretto di Rabbi Sússja, tratto da “I racconti dei Chassidim” (Garzanti) di Martin Buber. Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Un uomo della città di Sussja vide che egli era molto povero e mise ogni giorno un ventino nella sua borsa dei tefillin, perché potesse sostentare sé e i suoi. Da allora l’agiatezza dell’uomo crebbe ogni volta. Quanto più possedeva, più dava a Sussja, e più gli dava, più possedeva. Ma una volta riflettè che Sussja era un discepolo del Grande Magghid e gli venne in mente questo: se già il dono allo scolaro veniva ricompensato così copiosamente, quale ricchezza gli sarebbe venuta se avesse donato al maestro! Così partì per Mesritsch e con molte preghiere ottenne che Rabbi Bär accettasse da lui un dono cospicuo. Da quel momento la sua agiatezza cominciò a diminuire sempre di più, fino a che tutto il guadagno del tempo benedetto fu scomparso. Allora, nella sua afflizione, andò da Rabbi Sussja, gli raccontò tutto e gli chiese che significasse: gli aveva pur detto sempre che il maestro era infinitamente più grande di lui. Sussja rispose: “Vedi, fino a che tu davi e non guardavi a chi davi, Sussja o un  altro era lo stesso, anche Dio ti dava e non stava a guardare a chi dava. Ma quando hai incominciato a cercare gente più nobile e più eletta a cui donare, Dio ha fatto lo stesso”. (Martin Buber, I racconti dei Chassidim).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 28 Gennaio 2011ultima modifica: 2011-01-28T23:45:00+01:00da fraternidade
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