Giorno per giorno – 27 Gennaio 2011

Carissimi,

“Gesù diceva loro: Fate attenzione a quello che ascoltate. Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi; anzi, vi sarà dato di più. Perché a chi ha, sarà dato; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha” (Mc 4, 24-25). I cinque versetti del Vangelo di oggi fanno seguito alla parabola del seminatore  e alla sua spiegazione, che noi ci siamo persi per via delle memorie di ieri e dell’altro ieri. In ballo c’è comunque la Parola e l’accoglienza che le riserviamo, perciò anche i frutti, ovvero i comportamenti pratici, che essa potrà determinare.  La Parola di Dio è sostanzialmente l’evento di Gesù, anzi, più propriamente, la sua Croce, alla cui luce (la lampada sul lucerniere del v.21), ci è reso possibile leggere e interpretare la Storia, quella grande e quella nostra personale. Stamattina ci chiedevamo se la Croce, cioè il dono di sé, sia davvero ciò che ci aiuta, come persone e come chiese, a guardare alla realtà, identificando i crocifissi di oggi, motivandoci nella scelta di farci carico fino in fondo della loro condizione per condividerla , attraverso passi e gesti concreti che dicano la rinuncia ai beni e ai privilegi di cui possiamo godere, o, almeno per cominciare, il loro  ridimensionamento, e lo svuotamento di sé, delle proprie categorie di giudizio, di preconcetti, barriere, ostilità, invidie, risentimenti, ambizioni nascoste, desideri di primeggiare, lasciandoci guidare da uno stile sobrio e da una testimonianza mite, silenziosa, nascosta, volta a creare relazioni nuove di amicizia e fraternità. Che è ciò che noi chiamiamo Regno. Sempre stamattina, ricordando il significato della data odierna – il 27 gennaio 1945 – , ci dicevamo che se l’Europa della prima metà del secolo scorso,  fosse stata davvero appena un po’ cristiana, se, cioè, la Croce fosse stata la luce, la parola decisiva, il metro e la misura del coinvolgimento dei cristiani nella storia che allora si stava scrivendo, non avremmo conosciuto le tragiche aberrazioni che si scoprirono poi in tutta la loro nefanda realtà. Che, invece, avevano potuto contare, ovunque, su un diffuso atteggiamento di complicità, omertà, indifferenza. Proprio come duemila anni prima sul Golgota. Il contrario della parola della Croce in un Europa dalle radici pagane. Anzi no, semplicemente disumane. Dove il comportamento di chi si oppose e si diede da fare per salvare il salvabile, cristiano o non cristiano, è oggi giudicato eroico. E sarebbe invece dovuto essere la norma.     

 

Il calendario ci porta oggi la memoria di Angela Merici, fondatrice della Compagnia di sant’Orsola.

 

27 S. ANGELA MERICI.JPGAngela Merici nacque il 21 marzo 1474 a Desenzano sul Garda (Brescia). Ancora giovane, desiderando seguire più radicalmente il cammino del Vangelo, si fece terziaria francescana, vivendo per il resto, negli anni successivi, come gran parte delle donne di modesta condizione del suo tempo, del suo lavoro di cucito, di filatura e di servizi domestici. Trasferitasi a Brescia, acquisì via via una profonda influenza spirituale sulle molte persone con cui veniva in contatto. Decisa a riproporre in maniera originale l’esperienze delle primitive comunità cristiane, attenta però alle sfide della sua epoca, nel 1533, a quasi 60 anni, presso la chiesa di Sant’Afra, costituì la “Compagnia delle dimesse di Sant’Orsola”, con la finalità di offrire alle ragazze del suo tempo quell’istruzione a cui spesso solo difficilmente avevano accesso, assieme alla proposta di un approfondimento delle esigenze implicate nella scelta cristiana. Lasciò scritto alle sue discepole: “Vi supplico di voler ricordare e tenere scolpite nella mente e nel cuore, tutte le vostre figliole ad una ad una; e non solo i loro nomi, ma ancora la condizione e indole e stato e ogni cosa loro. Il che non vi sarà difficile, se le abbracciate con viva carità… Impegnatevi a tirarle su con amore e con mano soave e dolce, e non imperiosamente e con asprezza, ma in tutto vogliate essere piacevoli. Soprattutto guardatevi dal voler ottenere alcuna cosa per forza; perché Dio ha dato a ognuno il libero arbitrio e non vuole costringere nessuno, ma solamente propone, invita e consiglia…”. Morì il 27 gennaio 1540.

 

Le letture proposte dalla liturgia alla nostra riflessione sono tratte da:

Lettera agli Ebrei, cap.10, 19-25; Salmo 24; Vangelo di Marco, cap.4, 21-25.

 

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

 

27 Giornata della Memoria.jpgIl 27 gennaio 1945, i soldati dell’Armata Rossa entravano ad Auschwitz. Qui da noi, i vecchi, più ancora dei giovani, sanno poco della storia della vecchia Europa e degli orrori che l’hanno costellata, nessuno però come quello che venne alla luce in questo giorno (no, a dire il vero, già nei giorni precedenti, con la scoperta di altri campi di sterminio meno noti). Così, come sanno poco dei massacri della storia di qui, da quest’altra parte dell’Oceano, anche quelli dei decenni più recenti, perché, quando accadevano, la stampa non ne parlava, e quando non sono successi più, la stampa non ne parla uguale. E poi chi legge qui i giornali, in ogni caso? E la Tv ha altro da raccontare. Noi, comunque, quando è possibile, si cerca di rimediare questa lacuna. Per rimediare, invece, ai pericolosi vuoti di memoria di lì da voi, hanno creato la “Giornata della memoria”, celebrata, appunto, oggi, ed istituita, dal Parlamento del vostro Paese, il 20 luglio del 2000, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”. È doveroso ricordare che assieme agli ebrei, era stata avviata una sistematica eliminazione di sinti, rom e handicappati. Noi, nel prendere congedo da voi, scegliamo di offrirvi lo stralcio della testimonianza di una sopravvissuta di quella tragedia, Liliana Segre. La troviamo nel sito di Binario 21 ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Le sorveglianti donne erano ancora più crudeli degli uomini; avevano potere di vita e di morte sulle prigioniere e si scatenavano su di noi con ingiustificata violenza. Vivevo con una incessante paura, mi chiudevo sempre di più in me stessa, cercando di essere invisibile. Sul mio corpo di adolescente la pelle era cascante e le ossa sporgevano da tutte le parti. Non sapevamo che giorno e che ora fosse, non potevamo avere notizie di nessun genere. Vivevamo in assoluta promiscuità, senza rimanere un attimo sole. Dormivamo in 5, 6 per giaciglio, utilizzando i nostri zoccoli come cuscino. Ci servivamo dei gabinetti in 20, 30 contemporaneamente e, senza un cucchiaio, dovevamo inghiottire a sorsate, come animali, la zuppa orrenda che ci veniva data una volta al giorno. La lotta per la sopravvivenza era senza quartiere: le prigioniere affamate e disperate avrebbero fatto qualunque cosa per un pezzo di pane. Passavano i mesi e noi obbedivamo ciecamente agli ordini, poiché volevamo vivere. Cercavamo di non perdere almeno il nostro cervello. Io tentavo di sdoppiarmi, immergendomi in un mondo irreale e mi sforzavo di non vedere e di non sentire. Di non vedere i cadaveri nudi e scheletriti, ammucchiati in attesa di essere bruciati; di non vedere le punizioni, la fiamma del camino, la neve sporca, i fili spinati percorsi da corrente elettrica. Di non sentire di notte le grida, i fischi, i comandi urlati; i racconti delle altre prigioniere sulle atrocità viste o subite. Alla fine del gennaio 1945, con l’avvicinarsi dei russi, il campo fu in parte distrutto dai nazisti in fuga e tutti i prigionieri in grado di muoversi furono evacuati verso altri campi. Fui avviata con altre disgraziate come me, a piedi, sulle strade della Germania. Non mi voltavo a guardare le compagne che cadevano e che venivano finite con una fucilata alla testa. Andavo avanti e comandavo alle mie gambe di camminare. La strada era disseminata di morti senza tomba. Ci buttavamo sugli immondezzai e ci riempivamo come pazzi di qualunque cosa. Arrivai al campo di Ravensbrück e poi ancora altri campi, fino alla primavera del 1945. Vive per miracolo, scheletri senza parvenza di femminilità, vedemmo fuggire i nostri aguzzini e giungere gli americani da una parte e i russi dall’altra. Eravamo testimoni della Storia che cambiava sotto i nostri occhi, sconvolte, stanchissime ed emozionate. (Liliana Segre, La deportazione).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 27 Gennaio 2011ultima modifica: 2011-01-27T23:31:00+01:00da fraternidade
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